UN ITALIANO VERO
UN ITALIANO VERO UN ITALIANO VERO o a o a i r a o n a a a] derate di sponsor e batticuore, miliardi e passione, telecamere e fatica. Di questo Tomba sentiremo il vuoto, o come dice la sua mamma - c'è sempre mamma nelle storie di Tomba - «saremo tristi perché è l'ora della nostalgia». Ma c'è ancora un omaggio da tributargli e davvero non serve né il naso né il fazzoletto. L'omaggio a questo ragazzone di città e Appennino che ha ingaggiato - nei lunghi dopo gara - lo slalom tra i vizi e le virtù dell'anima italiana. Dice che farà l'attore. Ma nessuno sceneggiatore sarà così bravo, così realista, così perfettamente metaforico, da scrivergli quella commedia che lui ha già recitato, probabilmente a sua insaputa. Vari e complementari sono stati i personaggi che ha interpretato, le sfumature che ci ha regalato, le invenzioni che ci ha infilato. Tanto è stato multiforme, Albertone, da rendersi unico e in un certo senso paradigmatico: spaccone, timido, sciupafemmine, irruente, furbacchione, esibizionista, generoso, forte, debolissimo. Principiò, intenerendo i cuori delle fanciulle, con il pennacchio da vicebrigadiere. Bravo figlio di mamma, ben sbarbato, servitore della patria. Allegro. Tantissimo cuore, tantissimo appetito: «Sono venuto su a tortellini e Nutella». La parlata semplice, mai una parola astrusa, mai un libro letto. Un'unica stravaganza linguistica quando prese l'abitudine di declinare in inglese il suo grido di gioiosa giovinezza: «I'm the super!». Bravo, tanto bravo. Non abbastanza (però) da rinunciare alle debolezze di un qualunque riccastro italiano incastrato nel traffico, a Cortina, anno 1993, che sgomma via dall'ingorgo con la paletta dell'Arma e la luce blu del privilegio. Lo accusano, lui nega, ce l'avete con me, dice. Poi ci ripensa, ammette, si scusa. Paga la multa. E promette: «Mai più». Bravo, tanto bravo. Non abbastanza (però) da rinunciare alle debolezze di un qualunque riccastro italiano incastrato dal fisco, l'orribile fisco, anno 1997. «Un 740 I troppo leggero» gli dicono. Indagano, lui nega, ce l'avete con me. E addirittura: «E' perché non sono più carabiniere». In che senso? «Non posso dire». Lasciando intendere chissà quale complotto, chissà quale ordito di cattiverie altrui, che è ricorrente e italianissima mania. C'è l'Albertone che saluta in diretta la mamma e quello che sparisce con la bimba di turno, si lascia intercettare dai paparazzi, racconta di essere stato alle Hawaii, ma aggiunge: «Pensavo meglio: ci si diverte di più a Riccione». Perché in fondo nessun paradiso tropicale vale i rigatoni. O la discoteca, dove si arriva in comitiva, sgommando con il Ferrarino e la nuova bimba e il cellulare. Sempre (però) lagnandosi dei fotografi e delle altre bimbe e della curiosità di tutti che per anni hanno inseguito le sue abbondanti tracce. Pescandolo, addirittura, rivestito di sudore e nient'altro dentro alla sauna - anno 1988 fotografia venduta a peso d'oro, ma costata al reporter una gran botta alla mano per via della coppa (d'oro? di bile?) che l'intemperante gli lanciò la bellezza di 7 anni più tardi. Botte pure a un altro paparazzo, litigi con i giornalisti, ma tantissimi servizi fotografici, tantissime interviste. Per dire (dopo tutto): «Sono lo stesso ragazzo di sempre». E però con contratti ultramiliardari, valanghe di spot, valanghe di sponsor: «Un giorno o l'altro mi compro un jet». Ma intanto, perché no, accettare la nobile carica di ambasciatore Unicef per fare del bene ai bimbi del mondo. Intanto farà film: è l'ora dei fazzoletti. Pino Corrias
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