CHE COSA MANCA A D'ALEMA di Barbara Spinelli

CHE COSA MANCA A D'ALEMA DALIA PRIMA PAGINA CHE COSA MANCA A D'ALEMA bida del previsto. In Europa le socialdemocrazie tornano ovunque ai posti di comando, e D'Alema non è più solo con le sue scommesse. Proprio in questi giorni il capo dei Democratici di Sinistra è a Parigi - per un convegno sul lavoro organizzato dai socialisti francesi - e fin da ieri ha avuto modo di parlare del ciclico ritorno delle socialdemocrazie non solo con Jospin, ma anche con il tedesco Lafontaine. E' significativo questo suo appuntamento europeo, nelle stesse ore in cui Bertinotti a Roma minaccia il governo Prodi, medita l'opportunità di un fallimento delle sinistre riformatrici, sogna l'avvento di una sinistra più pura, più radicale, emancipata infine dal centro, non più obbligata a patteggiare con il liberalismo capitalista. Bertinotti si agita molto e finge atteggiamenti drammatici, ma in realtà non c'è alcun senso di vero dramma, nelle sue mosse. C'è piuttosto una sorta di compiaciuto ottimismo, non molto diverso dall'ottimismo di chi considerava finita la Storia, e seppellito il secolo socialdemocratico: per il capo di Rifondazione le sinistre avanzano perché il rigore si è concluso, perché l'Euro è ormai alle spalle, perché margini nuovamente ampli si aprono per le antiche politiche del socialismo, del comunismo, della spesa pubblica, della crescita dei consumi. Bertinotti si presenta col volto scuro, ma non sa vedere il buio che gli sta davanti. Non vede il dramma delle Borse che da settimane precipitano, non vede l'abisso in cui stanno rischiando di precipitare le economie mondializzate, non vede il panico che si sta diffondendo sempre più cupo sempre più simile al panico del '29 - tra risparmiatori e investitori europei, americani, giapponesi, asiatici. Non vede che è sullo sfondo di tali paure, di tali precipizi, che le socialdemocrazie tornano oggi ai posti di comando. Tornano per gestire questi drammi, non per riposare su corone d'alloro dopo la parentesi dell'Euro e ricominciare le classiche politiche degli Anni 60 o 70: le politiche ottimistiche della piena occupazione, della crescita, dello Stato produttore e redistributore di ricchezze. Tornano perché le incertezze economiche si propagano, perché le speranze di crescita cadono ovunque, perché di fronte al declino della presidenza americana si estende le paura d'incendio, di caos senza più lea¬ dership politica mondiale. I singoli individui nelle nazioni lo hanno presentito prima delle proprie élites, dei propri esperti economici, dei propri sovrani: hanno presentito che il capitalismo mondializzato può essere una grande occasione come una catastrofe; hanno intuito che esso è oggi ingovernato, e forse ingovernabile. Hanno capito che Europa e America non sono beate isole ^vulnerabili, non turbate dai successivi tracolli in Asia, Giappone, Russia. E' sull'onda di questo pessimismo profondo, di questa mondializzazione ormai interiorizzata, che i socialdemocratici europei e anche D'Alema hanno vinto la scommessa. Sicché non è comodo, in questo fine-secolo, reinventare un socialismo democratico. Non è un riposarsi sui successi passati, e vivere in armonia con un popolo di sinistra compatto, arditamente conquistatore. C'è anche paura del nuovo e desiderio torbido di conservazione, nelle adesioni popolari alle sinistre. Spesso le socialdemocrazie governano addirittura in nazioni dove le maggioranze effettive sono di destra, come in Francia o Inghilterra o Italia. Le socialdemocrazie vincono, ma nel preciso momento in cui vincono sono costrette a mutare precipitosamente, se non a fare harakiri. Questo è vero per Jospin, per Schroe¬ der, per Blair, e anche per il capo dei Ds. Infatti anche per D'Alema si avvicina il momento delle decisive scelte. Diverrà davvero socialdemocratico, o resterà a metà strada tra sinistra vecchia e nuova? Parteciperà al revisionismo permanente cui sono costretti Schroeder, Blair, Jospin? Si parla spesso di staffetta in questi giorni, e non sempre è giochino partitocratico della Prima Repubblica. In realtà si parla di staffetta perché potrebbe non essere lontano il momento in cui D'Alema sarà chiamato a terminare la propria socialdemocratizzazione, e ad assumersi quindi la responsabilità di governare il Paese in coordinamento con gli altri socialdemocratici d'Europa. Tutto sta a vedere se i Democratici di Sinistra sono pronti per questa socialdemocratizzazione delle abitudini, dei comportamenti, delle scelte economiche, strategiche. In parte lo sono , sicuramente. L'Italia è stata ammessa nell'Euro grazie a Ciampi, a Prodi, ma anche alla costanza revisionistica del leader del Pds. I tentativi di modernizzare la Costituzione son pur sempre opera sua, anche se l'opera è stata poi vanificata da un capo dell'opposizione, Berlusconi, che con i suoi immani conflitti d'interesse fatica a divenire un politico europeo. Ma la social¬ democratizzazione dell'ex Pei è solo in parte riuscita, e l'idea del revisionismo permanente non è ancora entrata nel bagaglio di D'Alema. Restano alcuni automatismi ideologici d'un tempo, restano rigidità per quanto riguarda la democrazia nel partito, o le questione dei diritti individuali nei processi di Mani Pulite. Ma soprattutto permane l'incapacità di accettare un partito, alla propria sinistra: accettazione che riesce naturale nelle socialdemocrazie, ma che un ex comunista non sopporta. Un vecchio comunista non può tollerare l'esistenza a sinistra di Bertinotti, e farà di tutto per assorbirlo, per persuaderlo, per evitare una lacerazione delle sinistre che giudica esiziale, immorale. Un socialdemocratico soffre quando ha rivali a sinistra ma infine li ignorerà, sapendo che la vittoria è ottenibile solo conquistando il centro e parlando direttamente agli elettori di estrema sinistra. D'altronde le socialdemocrazie non hanno altra scelta, nella sempre più stretta a disciplinante Unione europea. A partire dal gennaio '99, i governi della Moneta Unica dovranno fare i conti con un ordinamento affatto nuovo, che mutilerà le antiche sovranità dello Stato-Nazione. La politica monetaria sarà gestita dalla Banca sovrannazionale di Francoforte, e anche le politiche di bilancio dovranno rispettare i criteri non più nazionali ma europei del Patto di Stabilità. Agli Stati non resterà che un campo sul quale operare - il campo del lavoro, dei salari, di nuove forme d'impiego flessibile più o meno regolato, più o meno protetto giuridicamente - ed è in questo campo che si imporranno prima o poi ulteriori revisionismi dottrinari a sinistra. E' un campo in cui i socialdemocratici si sentono più preparati di democristiani o liberisti, e per questo son oggi favoriti dalle urne. Ma per ritrovare la legittimità perduta degli Stati e un qualche primato della politica, sarà probabilmente necessarie parlare più chiaro, a elettori e militanti. Sarà necessario per Schroeder, per Jospin. Finora solo Blair è relativamente sincero, quando descrive le difficoltà dell'economia-mondo. E sarà necessario per D'Alema, il giorno in cui guidasse personalmente un governo di centro sinistra. Questo parlar chiaro non è sempre percepibile, nel leader italiano. U peso di Rifondazione impedisce a D'Alema di dire -in sintonia con Blair, con Schroeder - che «non esiste un'economia di destra e di sinistra, ma esiste solo un'economia che funziona, o non funziona». Il duplice peso di Rifondazione e del cattolicesimo politico gli impedisce di esser chiaro sulle questioni strategiche, a cominciare dal Kosovo. Su questi punti Cicchetto sembra più avanzato - e assai più vicino alle posizioni di Blair, di Schroeder - quando chiede l'mtervento Nato contro Milosevic, e critica il neutralismo tipicamente cattolico del ministro degli Esteri Dini. Anche questa, d'altronde, è una revisione richiesta oggi al socialismo democratico: il patto postbellico tra cattolici e socialdemocratici è stato superato, in Olanda, da inedite alleanza tra sinistre classiche e liberiste. Lo stesso potrebbe accadere ùi Germania, se i Verdi non estremizzeranno le proprie domande e si trasformeranno in un partito liberaldemocratico. Infatti questo sembra essere lo Spirito dei Tempi, dopo tante premature profezie. Il secolo finisce non con la morte delle socialdemocrazie, ma delle democrazie cristiane che hanno creato nel dopoguerra l'Europa, e l'economia sociale di mercato.Ora la staffetta passa a Schroeder, a Jospin, a Blair, a Prodi, e un giorno forse a D'Alema. Toccherà a questi ultimi continuare un'opera europea che fu grande, e guardando in faccia i drammi odierni, trasformarla profondamente senza del tutto sfasciarla. Barbara Spinelli