Rifondazione dirà no, crisi più vicina di Alberto Rapisarda

Rifondazione dirà no, crisi più vicina Ieri il faccia a faccia Bertinotti-Cossutta, stamattina il comitato politico Rifondazione dirà no, crisi più vicina Fini: è un giorno fausto. Il premier: vado avanti ROMA. Fausto Bertinotti ha chiesto al suo partito di affondare la legge Finanziaria e di negare la fiducia al governo di Romano Prodi, definito «il signor no». E su questa linea potrebbe ottenere oggi, dal comitato politico nazionale di Rifondazione, una larga maggioranza anche grazie al soccorso dei venti trotzkisti di Livio Maitan. Armando Cossutta sta tentando, nella notte, di tirare dalla sua parte gli indecisi, per garantirsi una minoranza la più ampia possibile. La dimensione del rapporto tra maggioranza e minoranza, che uscirà oggi dal voto (appello nominale, a partire da mezzogiorno e mezzo circa), conterà infatti non solo per il futuro di Rifondazione comunista (scissione o no) ma, soprattutto, per il destino del governo di centro-sinistra. Romano Prodi, che ieri è rimasto a Bologna, ha infatti deciso di controllare in Parlamento se ha ancora la fiducia della sua maggioranza. Tagliando corto alle tante sceneggiature che proliferavano, il presidente del Consiglio ha scelto di affrontare di petto il problema posto da Rifondazione comunista. Con la linea dell'«o la va o la spacca». Ed ha escluso di voler cambiare maggioranza (con i voti dell'Udr di Francesco Cossiga) pur di salvare il suo governo. «Quello a cui non siamo disponibili sono le diecimila capriole che ci vengono proposte da più parti. Noi puntiamo ad avere un voto di fiducia con il consenso delle forze del 21 aprile» ha chiarito il vicepresidente del Consiglio, Walter Veltroni. Ed ha spiegato che se sarà crisi «sarà difficilissima da governare» e che, per questo, ci sono da mettere in conto anche le elezioni anticipate. Prodi, ovviamente, deve essersi fatto i suoi conti e deve avere una ragionevole speranza di ottenere la fiducia delle Camere, malgrado il «no» ufficiale di Rifondazione comunista. Il presidente del Consiglio ha annunciato fin da ora che chiederà la fiducia perché i cossuttiani possano calcolare bene le loro mosse. I gruppi di Rifondazione comunista si riuniranno, molto probabilmente, domani stesso per decidere cosa fare. Accettere o no le decisioni del comitato nazionale? Tocca a loro votare in Parlamento e spetta a loro l'ultima parola. E' questa la speranza di Prodi. I cossuttiani sono maggioranza schiacciante alla Camera rispetto ai bertinottiani (21 a 13) e sono 8 a 3 al Senato. Messi di fronte alla responsabilità di fare cadere il governo di centro-sinistra proprio mentre avvia una politica più popolare, i cossuttiani potrebbero ritenere utile continuare a garantire la fiducia al governo. Decisione ancora tutta da verificare. Se ottenesse veramente i loro voti, più altri due o tre sparsi («glieli daranno i panchinari del gruppo misto, a cominciare dai due ex leghisti» assicura Bossi) Prodi potrebbe sperare di farcela. Ma, comunque, uscirebbe molto meno forte da questa vicenda, perché non potrebbe più giocarsi Bertinotti per respingere le richieste di Marini e D'Alema. D'Alema ci conta su un lieto fine («una ragionevole speranza»). II «verde» Luigi Manconi sostiene che c'è «un filo esilissimo di dialogo, tuttora in corso». E D'Alema ci conta su un lieto fine («ho una ragionevole speranza»). E chissà se pensa all'ipotesi di un governo guidato proprio da lui, nel caso cadesse Prodi. E' una ipotesi che Bertinotti ha abilmente lasciato intuire davanti al comitato politico del suo partito, per presentarsi come uno che non vuole stare all'opposizione ad ogni costo. Ma che sarebbe disposto a portare i suoi voti ad un go- verno di sinistra-centro. Una mossa che ha messo in imbarazzo i cossuttiani. Ai più, però, sembra più probabile un «governo tecnico» per fare approvare la Finanziaria se Prodi cadesse. L importante «è che resista, comunque, un governo» dice il presidente del Senato, Nicola Mancino. Governo tecnico anche per Umberto Bossi («ma noi non voteremo questa Finanziaria, che ci fa schifo»), pur di evitare le elezioni anticipate. La scelta di Prodi di andare a verificare la fiducia della sua maggioranza, escludendo l'Udr, ha fortemente contrariato i cossighiani. Clemente Mastella vede un Prodi che corre «a distruggere tutto» per il timore che D'Alema gli possa succedere. Pare contrariato anche Lamberto Dini, ministro degli Esteri, che ricorda a Prodi che ha il dovere di fare approvare la Finanziaria «prima di vedere come ricomporre il quadro politico». E se Prodi respingesse i voti dell'Udr, «ma fossero necessari, ne tireremo le conseguenze». In tanta confusione ed incertezza, l'opposizione sembra parlare per slogan, ma senza troppa convinzione. Berlusconi e Fini dicono che bisogna subito andare alle elezioni. Berlusconi, forse («la crisi è irreversibile, Prodi è al capolinea»), dice sul serio. Lui ha un partito in ebollizione, che potrebbe esplodere di fronte alla scelta di un governo tecnico. «Noi dobbiamo evitare che la crisi dell'avversario si riverberi su di noi - diceva ieri Casini, preoccupato - come accadde per i moderati europei dopo la caduta del muro». Quindi, il Polo non deve fare «giochi di prestigio in vista della votazione sulla Finanziaria». Fini se la cava facendo battute sul «giorno fausto» (al convegno dei giovani industriali a Capri), e poi replica a Mancino: «Non capisco perché in Italia quando viene meno l'esistenza di un governo uscito dalle elezioni, se pure grazie ad un imbroglio, la prima preoccupazione di certe forze politiche è quella di trascinare questa esperienza, magari con un altro pasticcio. L'unica via, ora, è dare la voce agli elettori». Il risultato è che per il Polo, in fin dei conti, sembra preferibile che sopravviva Prodi pur di non entrare nella selva oscura di nuove sperimentazioni. Alberto Rapisarda Veltroni: verificheremo i numeri a Montecitorio Mettiamo nel conto anche le elezioni anticipate Il presidente di An Gianfranco Fini II vicepresidente del Consiglio Walter Veltroni

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