ALCATRAZ di Fulvia Caprara

ALCATRAZ Appena iniziato, è già diventato cult il programma in onda su RadioDue ALCATRAZ avoceeacavera ROMA. Sono bastate dieci puntate, mandate in onda in un orario, le 14,15, che per la radio Rai è particolarmente difficile, a lanciare il personaggio di Jack Folla, dj intorno ai quarant'anni, rinchiuso nel braccio della morte in attesa che il 25 giugno, giorno della fine del programma, venga eseguita la sua condanna. La situazione estrema che fa da scenario alla trasmissione, il linguaggio anticonvenzionale usato dal conduttore-detenuto che «dice tutto quello che gli pare perché non ha niente da perdere», gli ampi riferimenti cinematografici hanno reso «Alcatraz» (RadioDue) un appuntamento di culto, praticamente l'ultimo fenomeno dell'etere. «Abbiamo inventato il tamagochi radiofonico - dice l'autore e produttore della trasmissione Diego Cugia -, una specie di grande gioco virtuale a cui la gente partecipa con un entusiasmo incredibile: molti credono effettivamente che Jack sia chiuso in cella in attesa della morte e già annunciano manifestazioni contro l'esecuzione, proprio come quelle che ci sono state di recente per veri detenuti americani; altri si rivolgono a Jack senza porsi domande, semplicemente affidandogli le loro emozioni più sincere». Sul motivo per cui la figura di Jack Folla ha colpito così profondamente l'immaginazione del pubblico, Diego Cugia ha avuto poco tempo per riflettere, sommerso com'è dalle manifestazioni di entusiasmo, dai fax, dai messaggi Internet dei fan del condannato: «Alla radio funzionano i "plot" molto semplici e qui il primo gancio che tiene avvinto l'a- scoltatore è nella domanda "Jack è innocente oppure colpevole?". Proprio come in "Dead man walking", un film che, naturalmente, c'entra molto con questa idea. Poi c'è la novità del linguaggio, particolarmente diretto, libero, mai consolatorio, lontanissimo da quello che di solito viene usato alla radio. Jack è un duro e con la sua totale franchezza riesce a scuotere il pubblico, a convincerlo della verità delle sue affermazioni». Basta ricordare il discorsetto dell'esordio, pronunciato dal condannato nel primo giorno di trasmissione e concluso da un'esortazione a effetto: «...Conta i giorni. Conta le ore che mancano. Conta i minuti. Ma non illuderti. La tua gabbia è solo un po' più grande della mia. Sei ad Alcatraz, tesoro». Subito dopo sono partite le note di «Waiting for the miracle», il brano di Léonard Cohen che fa parte della colonna sonora del film di Oliver Stone «Naturai boni killers». Tanto per ribadire, come dice Diego Cugia, che «il cinema c'entra sempre». Così come la letteratura: «Il mio riferimento è "Il vagabondo delle stelle" di Jack London». Romano, quarantacinquenne, di quelli che a un certo punto hanno deciso di trasferirsi in campagna, Cugia lavora ai microfoni del- la radio da vent'anni e questa approfondita conoscenza del mezzo gli ha pennesso di affidare a Jack Folla, tra i molti messaggi, anche un avvertimento che riguarda proprio l'universo dei disc-jokey e delle emittenti private. Con le sue spietate analisi del mondo, dice Cugia, Folla tenta di «svegliare la propria generazione, addomesticata dal consumismo e dalla televisione, educata all'indifferenza e al cinismo, abbrutita dal denaro e ammaestrata dai DJ delle radio libere. "Alcatraz" è anche la loro condanna artistica». Dal carcere di massima sicurezza in cui consuma i suoi ultimi giorni, nel cuore delle Montagne Rocciose, Folla spara a zero contro «i dj tipo Linus e Albertino e contro i "rave-party" dove i giovani si danno appuntamento per impasticcarsi e poi ballare come scimmie. Il suo messaggio di quarantenne che ha sbagliato suona più o meno così: «anche noi abbiamo fatto degli errori, ma se non altro avevamo delle idee, non cadevamo così facilmente nelle trappole di dj bravi solo a rimbambire i più giovani». Il proclama di Jack Folla ha talmente colpito nel segno che, racconta Cugia, l'altro giorno ha telefonato in trasmissione una ragazza che voleva dedicare a Jack un gospel. Finito il coro, ha confessato: «Faccio la dj, ma da quando ti ascolto sono entrata in crisi». Insomma, adesso il problema è solo uno: che cosa succederà con l'avvicinarsi, mese dopo mese, della fatidica data in cui Jack dovrà sedersi sulla sedia elettrica? Fulvia Caprara Il successo di Jack? Usa un linguaggio diretto, libero mai consolatorio molto lontano da qualunque altra trasmissione Un «dj nel braccio della morte» che attacca il mondo addomesticato Gli ascoltatori pongono domande e c'è anche chi si mobilita per salvarlo

Luoghi citati: Alcatraz, Roma