L'Apocalissi? E' una vera industria

L'Apocalissi? E' una vera industria Nel monastero di Patmos, l'«isola santa», dove l'ascesi viene a patti con la tecnologia più sofisticata L'Apocalissi? E' una vera industria Meditare sulla fine del mondo tra computer e cellulari PPATMOS ROGRESSO? E come sarebbe possibile? Le cose del mondo vanno sempre per il 1 peggio. L'uomo, qualunque cosa faccia, peggiora». Amfilochio, l'igùmeno del monastero di Patmos, sorride ironico sotto la barba nera, mentre sorseggia un caffè nel grande studio che è anche sala del conclave dei monaci ortodossi. E' circondato dai ritratti dei proigùmeni, i predecessori, che ritorneranno nella conversazione quasi fossero vivi e il tempo fosse schiacciato come la prospettiva nelle icone. «L'unico progresso concepibile», precisa, «è quello che spinge l'uomo fuori dalla sua naturale cattiveria. Ma il progresso materiale, tecnico, lo spinge in direzione contraria. Ed è solo un peso per il progresso vero, spirituale, psichico. Non aiuta la conoscenza, ma la scienza, o quella che oggi chiamiamo tale». Il monastero di Patmos, fondato dall'imperatore Alessio I Comneno, porta il nome di Giovanni il Teologo, l'autore del quarto Vangelo e dell' Apocalissi, la Rivelazione che si dice abbia ricevuto in una grotta fra le rocce dell'isola, dove le miniature antiche lo raffigurano accovacciato, la penna in mano, in alto l'aquila, suo simbolo. Amfilochio, prima di diventare igùmeno, è stato, nell'isola, diacono del santuario di Apokalypsi, costruito nel Medioevo su quel millenario luogo di culto. Quando lo interroghiamo sul significato dell' Apocalissi e sul nuovo millenarismo ispirato alla profezia di Giovanni, appoggia la tazza sul tavolo e fa scorrere le dita sui contorni. «Vede, la profezia non è un oggetto, non è fatta di terra, non ha contorni concreti. Sul piano dogmatico, nell'astrazione, la Fine del Mondo si colloca appena prima della speranza della Resurrezione. Accolgo il contenuto della profezia dell' Apocalissi perché ho fede nella Resurrezione, accolgo la sua lettera perché il libro dell' Apocalissi è recepito nel canone neotestamentario. Ma credo che l'anno 2000 passerà tranquillo come il 1000 e come, non ho dubbi, il 3000». Eppure dall'alba al tramonto, neU'imminenza del terzo millennio, la grotta dell' Apocalissi è assalita da un pellegrinaggio di massa, un turismo variopinto e superstizioso dal risvolto New Age, coltivato nel merchandising delle nuove imprese commerciali, e pubblicizzato nei numerosi siti web che ogni giorno fioriscono su Internet. «Questo turismo materialista è una grave insidia per tutti noi. L'unico lato positivo è che fa sbarcare qui molti giovani e la mia sola speranza è che la presenza del monastero li aiuti in segreto ad ascoltare la vera Rivelazione anziché le favole apocalittiche». Un tempo, i possedimenti fondiari del monastero di Patmos si estendevano fino alla Romania e all'Asia Minore. Oggi rimangono i metòchia di Leros, di Creta, delle Cicladi. Il monastero continua a essere molto potente e dieci anni fa Patmos è stata proclamata «isola santa». Da tempo si mormora di un possibile avvicendamento tra l'Esarchìa e il seggio patriarcale di Costantinopoh, vacillante nel degrado del Fanario a Istanbul, in una Turchia modernizzata ma tentata dall'integralismo. «Il Fanario», mormora Amfilochio scegliendo attentamente le parole, «è oggi l'icona del Gòlgota. Porta la croce del martirio. Ma l'ortodossia insegna che essere messi alla prova è necessario. Nella passione e nel dolore è la condizione dell'amore. Patmos ha una posizione geografica predestinante, sull'esatta linea di frattura tra i due popoli. L'amore di Giovanni può saldare la faglia sismica, unire greci e turchi. Non ne abbiamo paura». Dall'XI secolo i kalòghiri di Patmos abitano la monumentale rocca battuta dal vento, che presidia nera come un'aquila le case bianche dell'antico villaggio di Chora. La loro formazione è sempre stata superiore al resto del mondo monastico ortodosso, la loro biblioteca ha sempre avuto più filosofi, più classici e un formidabile atelier di copia. Per tutta l'età bizantina e durante la turcocrazia Patmos, con la sua scuola teologica, la Patmiàs, è stata uno dei grandi centri d'irradiazione della cultura ellenica, forse il più importante. Oggi le celle monastiche hanno telefoni di rete e cellulari, computer e modem, riproduttori di suono e d'immagine, ogni sorta di attrezzature digitali e di apparecchiature fotografiche. Nei due avanzati laboratori di restauro - uno per i dipinti, l'altro per i codici manoscritti della famosa biblioteca - i tesori del monastero del Teologo vengono mantenuti e restaurati con strumenti di alta tecnologia. In questi ergastìria studiosi di tutto il mondo collaborano con monaci formati nelle migliori università. Ma alla domanda se possano, lui e i confratelli, contarsi fra i «resistenti» - così definiamo ad uso di Amfilochio i solitari che resistono al progresso usando però alcuni dei suoi mezzi - lo ieromonaco risponde deciso: «Resistere al progresso sfruttando le sue tecnologie non può essere un'ideologia, ma un'ipocrisia. E né il monastero né tanto meno il suo igùmeno ammettono ipocrisie. Si tratta semplicemente di un compromesso, al quale dobbiamo piegarci». E allora i laboratori, l'ergastìrion per il restauro dei codici, e quello di pittura, che Amfilochio stesso dirige? Non ne è orgoglioso? «Non sia¬ mo iconoclasti e usiamo le nuove tecniche pragmaticamente. La biblioteca, U tesoro, i dipinti sono la ricchezza fisica del monastero, che va conservata materialmente. Ma per la ricchezza vera, quella spirituale, i mezzi tecnologici sono e saranno sempre deleteri. Ed è per questo che il monastero non deve diventare un museo perfettamente ambientato, né il monaco solo un sofisticato restauratore». I pessimisti gnostici, i ribelli al progresso hanno spesso voluto prendere a modello di vita, di pensiero o di arte il regime ascetico degli antichi monaci greco-orientali, la loro diaita, per usare il lessico dei Padri. Nel monastero di Patmos questo regime è ancora la realtà di tutti i giorni. La regola bizantina del primo monaco, San Cristodulo, è stata tramandata e mantenuta per secoli. «Direi con un certo fanatismo», osserva Amfilochio. «Le cose non sono così semplici. Se siamo al mondo, seguiamo le ^quietudini del mondo», fa, parafrasando San Paolo. «Così, ci sono monaci e monaci. Alcuni amano un fasto bizantino. Altri sono di natura più adatta alla semplicità monastica. Tutti, comunque, sono uomini, e la natura umana non è latta col regolo». Eppure ogni notte alle tre, al suono del simandron, tutti i monaci di Patmos si svegliano per la liturgia: più o meno la stessa ora in cui, nel resto del mondo, vengono consumati milioni di sonniferi. Perché, altrove, quest'ossessione del riposo? «Il riposo viene all'uomo che fa ciò che ama», sorride Amfilochio, citando Tolstoj. «Oggi questo non capita quasi più a nessuno. E chi cerca lo stato perfetto nelle medicine perde la cognizione del suo vero stato, e insieme tutti gli altri sensi: la percezione dei colori, l'olfatto, il tatto. Anche la sofferenza fisica è una sensazione che non va persa. Preferisco soffrire che prendere un antidolorifico. Oggi, se un uomo muore, prendiamo medicine per non piangere. Ma, non piangendo, noi stessi ci ammaliamo. Il dolore guarisce e le lacrime purificano». Si tocca gli occhi e fa scorrere le dita giù per le guance. «Gli occhi sono stati creati per piangere». Silvia Ronchey Pregare e restaurare codici e dipinti mentre il turismo insidia lo spirito Il progresso è visto come un compromesso al quale i monaci devono piegarsi edimenti fon di Patmos si lla Romania e gi rimangono i gmo paura». Dall'XI secolo i kalòghiri di Patmos abitano la monumentale rocca battuta dal vento, che presidia nera come un'aquila le case bianche istt Tolstoj (foto in alto) è lo scrittore che i monaci di Patmos amano citare: «Il riposo viene all'uomo che fa ciò che ama» Qui accanto una miniatura che raffigura un gruppo di soldati bizantini scampati ai Serbi

Persone citate: Silvia Ronchey, Tolstoj

Luoghi citati: Asia Minore, Istanbul, L'aquila, Leros, Romania, San Paolo, Turchia