SLUCCA l'onorevole segnale

SLUCCA l'onorevole segnale Nuova (dis)awentura per il parlamentare portaborse di F. & L.: messaggero di pace, all'oscuro di tutto SLUCCA l'onorevole segnale SESSUNO si sogna», concedevo pacatamente all'on. Vasone, mio collega parlamentare e mio convivente in un bilocale di Monteverde Nuovo, «nessuno si aspetta che in prospettiva il traghetto Follonica-Piombino possa assumere l'importanza del tunnel sotto la Manica, diciamo, o del ponte sullo Stretto di Messina. Il problema è un altro». Eravamo nel nostro cucinino in comune, piccolo ma soleggiato, a bere il caffè, il mio con una goccia di latte, e Vasone aveva steso sul tavolo di fòrmica una carta dell'Italia centrale. «Ma non è nemmeno un traghetto», diceva facendo scorrere il dito tra le due città, «Guarda qui, scusa, Follonica e Piombino sono già servite da una rete stradale più che adeguata, ci si può arrivare in mezz'ora, e soprattutto sono tutte e due dalla stessa parte, sono sulla terraferma, mi spieghi che senso ha collegarle per via mare?». «Che c'entra, anche Venezia e Trieste, anche Marsiglia, Barcellona sono sulla terraferma tutte e due, eppure tra questi porti c'è sempre stato un traffico fiorente a partire dal XVI secolo, e anche da prima». «Io», diceva Vasone con la tipica smorfia delle personalità poco costruttive, «un traffico marittimo tra Follonica e Piombino proprio non riesco a vederlo, né fiorente, né avvizzito». «Ma è pur sempre una nuova infrastruttura, no?» ribattevo io. «E con la carenza di infrastrutture che abbiamo in Italia questo traghetto rappresenta di fatto un passo avanti verso la modernizzazione del Paese». «E quanto è venuto a costare questo bel passo avanti?» diceva Vasone, roso da un'attenzione quasi morbosa per gli aspetti contabili della vita pubblica, Con uomini come lui in Vaticano, al posto della basilica di San Pietro avremmo oggi un prefabbricato e Michelangelo avrebbe dipinto al massimo delle insegne per osteria. «I dati definitivi sono in corso di elaborazione», rispondevo io, «ma l'investimento è stato comunque contenutissimo. Una carretta probabilmente cipriota che trasportava 196 clandestini si è arenata tempo fa sulla costa pugliese. Nes suno ne ha rivendicato la prò prietà e allora, visto che era anco ra in condizioni passabili, si è pen sato di rimorchiarla a Follonica e affidarla a una cooperativa di gio vani impiegati in lavori socialmente utili. Quelli ci si sono butta ti alla grande e adesso, dopo 18 mesi, il "Che" è pronto a riprende re il mare». «Il "Che"?» ha detto Vasone con la tipica smorfia di chi non ne può più di sentir nominare Elvis Presley. «Sarebbe a dire "Che" Guevara?». «Sì, certo l'hanno voluto battezzare così, col nome stesso della loro cooperativa. Tu capisci, la leggenda, il mito è più vivo che mai tra questi giovani, e gli piaceva l'idea di vederlo di nuovo andare per mare con le vele al vento». «Ma è un traghetto a vela?». «Ovviamente no, dicevo in senso simbolico». Vasone ha alzato le spalle nel tipico gesto dell'uomo non di terra ma di terraterra. «Non ci viaggerà nessuno», ha profetizzato. «Niente affatto. Sarà una minicrociera piacevolissima e praticamente gratuita, destinata a migliorare la qualità della vita delle fasce socialmente deboli», ribattevo io, ripetendo quanto mi aveva spiegato Migharini. Ma non dicevo tutta la verità, naturalmente. Vasone però è sospettoso. «E sei tu che vai a varare questo "Che", questo traghetto?». «Non esattamente. Io vado per così dire a farmi vedere». «E chi e che rompe la bottiglia, chi è il padrino?». «E' una madrina. L'onorevole Mimma Malvolio». Mi aspettavo che Vasone si mettesse a ridere sguaiatamente e così infatti è avvenuto. «Ma non mi dire!» singhiozzava tra le lacrime. «Non mi dire!». Ora, io stesso non metterei la frequentazione dell'on. Mimma Malvolio tra le priorità della mia vita. Non tanto per divergenze ideologiche (anche se le sue posizioni, specie sul problema del rilancio dell'economia mondiale, mi lasciano freddo), quanto perché è una donna fisicamente preponderante, verbalmente assillante, che dà l'impressione, nella foga del discorso, di volerti prendere per il collo e scuoterti come un ombrello bagnato. Così dicevo all'incirca all'on. Migliarini quando, l'altra mattina, su una panchina del Pincio, mi ha parlato del varo di questo traghetto. «Anche tu», gli facevo notare, «non puoi soffrirla, hai perfino detto che se si decidesse a crepare andresti al funerale solo per aver modo di applaudire all'uscita della bara dalla chiesa». Migharini annuiva col suo sorriso ambiguo. «Tutte le volte che la incontri», gli rammentavo, «le chiedi galantemente come vanno i suoi noduli». Migharini ridacchiava bonario. «Io non so da che cosa abbia origine questa vostra conflittualità», dicevo, «se ti ha fatto qualche carognata politica o se è una semplice questione di pelle...». «Non di pelle, Slucca», correggeva Migharini, «la Mimma non ha pelle, ha squame. Ma detto questo», riprendeva con un sospiro, «detto questo, Slucca, l'on. Malvolio un suo peso politico ce l'ha e io devo mandarle un segnale». «Ma perché devo portarglielo io, scusa? Mandale un fax, falle una telefonata., no?». Migharini mi ha sventolato la mano davanti agli occhi, abbassando la voce. «Ma dove vivi, Slucca, dove vivi? Tutti i miei canali di comunicazione normali, dico tutti, sono sistematicamente intercettati. Di giorno e di notte». «Ma non i miei, vieni a telefonare da casa mia, usa il mio fax, Vasone non c'è mai, dice che si annoia di meno a Montecitorio». Migharini ha prodotto un sibilo disgustato. «Slucca, tu non ti rendi conto, tu sei un contiguo». «Contiguo a chi?». «A me, Slucca, a me! E come tale sei sotto controllo anche tu, le tue comunicazioni sono tutte intercettate e trascritte». Sarà, non sarà, ma comunque capirai l'interesse. Lui intanto si guardava in giro guardingo, passava una mamma spingendo una carrozzina doppia con dentro due gemelli, dei giapponesi facevano fotografie. Poteva essere tutta una messinscena. Questa idea di essere controllato era venuta a Migharini dopo l'avviso di garanzia e il lungo colloquio col giudice inquirente. S'era fatto «ripulire» casa sua da un amico ex agente dei servizi segreti, talmente deviato (dice il sarcastico Vasone) che imbocca tutti i sensi unici di Roma dalla parte vietata e prende un sacco di multe. Il bonificatore non aveva trovato niente, ma Migharini è tuttora convinto di essere circondato da microspie, nel tostapane, nel rasoio elettrico e, quando vado da lui, prima di parlare mette sempre su al massimo il Bolero di Ravel. «Va bene», dico, «ma cosa le porto, una lettera, una cartolina, un biglietto? Cosa le devo dire, cos'è questo segnale?». «Il segnale», dice Migharini, «sei tu». «Che tipo di segnale?» dico io palpandomi il muscolo del braccio, dubbioso. «Mica un segnale forte?». Perché a volare tra noi politici ci sono anche segnali deboli, segnali trasversali, segnali indecifrabili, segnali di rottura, di crisi, di scollamento, non c'è che da sceghere. «Non devi far niente, dir niente, Slucca. Solo essere presente al varo. Lei capirà». «Ma se mi chiede?». «Sarà troppo occupata con quella bottiglia di spumante, non ti rivolgerà nemmeno la parola. Vai tranquillo, Slucca, in fondo devi solo essere te stesso». Così sono andato. In treno, perché la mia Fiat Croma del '92 manda fortissimi segnali di decadenza dal motore a da una coalizione di altre parti e io non ho ancora deciso se farla rimettere a posto o se non mi convenga prenderne una nuova, magari non blu. Alla stazione di Follonica c'è il Ciacci, uno del nostro partito incaricato di accompagnarmi direttamente al porto, che nessuno si sogna di paragonare al porto di Amburgo, con buona pace di Vasone, o di Rotterdam. Moltissime barche da diporto, però, piccole e grandi, che dondolano lungo i moli, e in fondo a una banchina si nota subito una specie di enorme fagotto galleggiante. «E' quello», dice il Ciacci. E mi spiega che un varo tradizionale qui non era praticabile per l'assenza delle strutture necessarie, il traghetto è stato trasportato su gomma dal vicino cantiere, messo senz'altro in acqua e poi impacchettato mediante teloni di plastica. «Mancherà l'effetto solenne del "Che" che scivola in acqua e così hanno pensato di ripiegare sull'effetto scopritura di monumento». «Niente bottiglia, allora?». «La bottiglia ci sarà comunque, ma dopo che il pacco sarà stato per così dire aperto, liberato dai fogli di plastica. Più che un "effetto varo" verrà a essere un "effetto par to"». «0 Babbo Natale». Io non m'intendo di imbarcazio ni ma questo pacco, tutto legato da grosse funi, una sua imponenza ce l'ha, sarà lungo quindici o venti metri e si muove appena nell'acqua torbida con la tranquilla sicurezza di chi ha vissuto ben altre avventure. Manca meno di mezz'ora alla cerimonia del varo e i ragazzi della cooperativa sociale sono già tutti raccolti lì davanti nei loro jeans più o meno a brandelli e nelle loro maghette multicolori con stampato sul petto ora la testa del «Che», ora quella di Cristoforo Colombo, ora quella di un austero ufficiale di marina che dovrebbe essere, secondo il Ciacci, il capitano del Titanic. «Gli piace scherzare», mi dice vedendo che faccio le corna. «Sai, qui in Toscana si scherza volentieri». Noto infatti nel gruppo un uomo sulla quarantina che scherza, ride, si agita più degli altri. Ha stampata sul torace una testa di donna non immediatamente riconoscibile (attrice, cantante, scienziata, eroina rivoluzionaria?) con sotto una scritta che dice «I V MIMMA». Non afferro. «Quel cuore», mi spiega il Ciacci, «sta per love, amore». E dunque vorrebbe dire I LOVE MIMMA, sarà una tenerezza privata, fatta fare per la sua compagna, sua zia? No, no, Mimma è l'onorevole Mimma Malvolio, la madrina, che tanto si è adoperata per il successo di questa iniziativa, un piccolo, simpatico omaggio. Quando mai, rifletto con subitanea malinconia, vedrò su una maglietta la mia testa, la scritta IV SLUCCA? La T-shirt è rossa, la testa stampata è nera, mentre la Malvoho ha una robusta capigliatura castana, ma in effetti è proprio lei, tratta da una fotografia in cui naturalmente sorride, è una donna di carattere stoico, dice Migliarini, che sorride perfino quando vede la propria faccia in uno specchio. E infatti di lì a un minuto arriva un'auto blu, l'autista apre lo sportello, due vigili si mettono sulT attenti, lei scende e sorride a diversi funzionari comunali, abbraccia sorridente il vicesindaco (il sindaco non è potuto venire, è a Friburgo per il congresso dei sindaci delle città europee che cominciano per F, Fulda, Fossombrone, Francoforte, Fontainebleau, Foggia, Fuentes de Onoro ecc.) Viene verso il pacco galleg giante e abbraccia tutti i compo nenti del Ciesseciesse (Cooperativa Sociale «Che» Siempre), abbraccia e bacia generosamente l'uomo di I V MIMMA, poi mi vede e viene di slancio ad abbracciare anche me. «Slucca, ma quale onore!». Non ti parlerà, mi aveva assicurato Migliarini; e invece eccomi qua che non so cosa dire. Mento. «Sai, passavo da queste parti e ho pensato...». Lei mi molla un gancettino al fianco, ridendo. «Non c'è bisogno d'inventare scuse, Slucca, lo so che sei un segnale, e un segnale che non mi aspettavo». Mi ha già smascherato. Sempre ridendo mi prende sottobraccio, si allontana con me dal gruppo degli altri, abbassa la voce. ((Allora Migliarini non se l'è presa troppo?». «Ali, be', non so, non credo», nuoto io nel vago. Ma intuisco che sono stato mandato qui come segnale di pace. Tanto meglio, tanto meglio, l'ostilità di questa donna alta, forte, energica, vestita di un ampio tailleur a scacchi neri e nocciola non è cosa cui convenga aspirare come verso un jackpot del totogol. «Sono contenta che abbia capito anche lui che il progetto era impraticabile», mi dice affettuosa. «Io mi sono attivata, ho fatto quanto potevo, ma i due ministeri coinvolti si sono tirati indietro e a quel punto...». A quel punto io ne so meno di prima ma farfuglio un diplomatico «Già, già» e mi lascio riportare alla nave-pacco davanti alla quale s'è raccolto, oltre alle autorità e alle loro parentele, un piccolo assembramento di rappresentanti delle fasce sociali deboli, bambini, pensionati, vecchiette, curiosi. C'è anche un prete vestito da baleniere di Nantucket con una croce di legno africana pendula sul maglione grigio. Tutto sembra pronto, tre o quattro ragazzi del Ciesseciesse salgono agili sul fagottone e cominciano laboriosamente a slegare le funi che tengono fermi i grandi lenzuoli di plastica, a prua e poi via via verso la poppa dove noi stiamo aspettando. Il traghetto emerge a poco a poco in tutta la sua sgargiante vitalità strappando alla folla un lungo «Ooooh!» di meraviglia. Dall'on. Mimma Malvolio prorompe un «oooh!» più forte di tutti, il mio personale «oooh!» è subissato ma sincero e fa comunque numero. Quei giovani artisti dello spray hanno coperto la chiglia e le sovrastrutture di curve, spirali, bitorzoli, bubboni coloratissimi, come si vedono su certi vagoni ferroviari, sui muri di fabbriche abbandonate e anche sui tram. Come tipo di decorazione non è nuovissima e è sempre un po' anche la stessa, ma applicata a una nave non l'avevo mai vista e sul momento non rimpiango di essere venuto fin qui per questo vernissage. Ma un momento dopo rimpiango. Dal fondo della banchina irrompe a scostumata velocità una moto di rabbiosa potenza che si fa largo rombando tra le fasce deboli. Tutti saltano via spaventati, i vigili accorrono, ma i due motociclisti casco nero, tuta nera, guanti neri li scartano, s'impennano ancora in avanti, arrivano fino a noi raccolti intorno al tavolino pieghevole che regge la bottiglia di spumante. Un estremo, altissimo rantolo e il motore si spegne, i due scendono, il pilota si toghe il casco, scuote i riccioli biondi. ((Ah, Slucca, menomale, eccoti qua!». E' Lauretta, la telecronista d'assalto, col suo cameraman. E' un segnale, ma non certo di pace. Carlo Frutterò Franco Lucentini (Continua) «Non devi far niente, dire niente. Solo essere presente. Lei capirà» «Ma se mi chiede?». «Sarà troppo occupata con la bottiglia di spumante, non ti rivolgerà neppure la parola» Invece non andò così Mandato dal suo capo al varo di una nave per incontrare la madrina Mimma Malvolio