Brasile, regge lo diga di Cardoso

Brasile, regge lo diga di Cardoso Grazie alla sua leadership il Paese ha resistito finora alla tempesta finanziaria internazionale Brasile, regge lo diga di Cardoso Domani il voto. Nei sondaggi il Presidente al 47% RIO DE JANEIRO. Se perfino l'imperturbabile e inamidato «Economist» un paio di giorni fa, parlando dell'America Latina, esortava: «Incrociamo strettamente le dita», allora davvero siamo a un passo dalla catastrofe, e ormai soltanto gli dei possono impedirla. Prima erano caduti i dragoni dell'Oriente, poi è toccato alla Russia di Eltsin; ora, dicono i santoni della finanza, «deve» essere il turno dell'America Latina. E invece, l'America Latina tiene ancora. Tiene malconcia e sfasciata come forse non mai, con le sue Borse che ormai trattano carta straccia e con le sue economie che non hanno in cassa una sola monetina da investire; però, intanto tiene. Poiché appare difficile credere a un interessamento degli dei, la spiegazione del nuovo «miracolo latinoamericano» sta tutta nella storia, o comunque nella memoria. Bioy Casares diceva che nelle terre del Sud America «l'oblio corre più leggero della storia»; però poi vai a leggere i sondaggi sul voto che i brasiliani daranno nelle elezioni presidenziali di domani, e i risultati sono sorprendenti: a Cardoso, capo dello Stato in servizio, va ancora la maggioranza dei consensi (47 per cento), mentre l'opposizione di Ignazio Lula da Silva (24 per cento) e dell'ex ministro Ciro Gomes (9 per cento) non riesce a capitalizzare granché dei legittimi malumori di un Paese in crisi dura. Ecco, allora, che interviene la memoria. Nel senso che l'intera società latinoamericana - pur con tutte le differenze che separano ogni Stato e ogni processo autonomo di sviluppo - sta attraversando un lungo tempo di stabilità politica, consentendo alle economie nazionali di sottrarsi al vecchio costume dell'iperinflazione. Le politiche di governo imposte da una democrazia vera (anche se talvolta fortemente debilitata) hanno creato dinamiche sociali nuove, segnate dal dovere del consenso; e i mercati finanziari hanno registrato questo recupero di credibilità, aprendo flussi d'investimenti non più soltanto speculativi. I successi della macroeconomia non si sono ancora riversati nel vissuto quotidiano dei popoli che vivono a sud del Rio Bravo, e anzi la frenesia scatenata del neoliberismo ha accentuato squilibri e disuguaglianze che già penalizzavano un terzo, almeno, del Sud America. Ma le tensioni sociali sono state contenute, e la capacità di sopportazione non pare ancora esaurita nell'attesa di una più ampia (se non equa) redistribuzione dei redditi. E' questo il «miracolo», che nasce dal ricordo degli anni - tuttora recenti - della megainflazione e del costo che i più poveri dovevano pagarle. Governi stabili significano politiche programmate e piani di svi luppo, ed è così anche quando le spese sociali non ricevono l'at tenzione che le aspettative delle classi marginali legittimamente richiedono. Prendiamo ad esempio il Brasile che, appunto, domani va a votare e che deve scegliere se confermare Cardoso (e le sue politiche di stabilizzazione) oppure lasciarsi tentare dalle critiche e dai programmi alternativi che propone la sinistra «trabalhista» di Ignacio da Silva. Quando intervistai il presidente, alcuni mesi fa, disse: «L'inflazione era un'imposta pagata dai più poveri. Con la stabilità, 13 milioni di brasiliani sono usciti dalla miseria. L'aumento dei consumi alimentari tra le classi di basso reddito è un segnale che stiamo correggendo davvero le ingiustizie». Passare da un tasso d'inflazione del 2700 per cento a un tasso costante del 9 per cento è poco meno di una rivoluzione. Mutano scelte, costumi, la cultura di un popolo. Il Brasile, che produce il 60 per cento dell'intera ricchezza latinoamericana e che ha un potenziale di risorse inferiore soltanto a quello della Russia, era il simbolo di questa «rivoluzione silenziosa». Il vecchio guru della sociologia carioca Helio Jaguaribe prevedeva per il suo Paese - un gigante grande quanto tutta l'Europa un futuro straordinario, il ruolo di quinta o sesta economia mondiale già nel 2005. E Cardoso aggiungeva: «Noi non siamo un Paese sottosviluppato, siamo soltanto un Paese ingiusto». Con il piano di stabilizzazione monetaria che parifica il real con il dollaro (lasciando il margine di una lieve correzione dettata dall'indice dei prezzi), l'economia ritrovava fiducia, cresceva di un tasso annuo vicino al 4 per cento, e attirava finalmente capitali d'investimento non più corsari: 8 miliardi di dollari nel '96, 12 miliardi nello scorso anno, molti di più nelle previsioni del '98. Ma lo sviluppo di un Paese non è promosso soltanto dall'utilizzo ottimale delle sue risorse interne. La globalizzazione ha trascinato nella tempesta anche il tranquillo Brasile, e per il nuovo anno si prevede una drammatica flessione nel trend di crescita, che sarà in negativo tra lo 0,5 e 1' 1,5 per cento. In poco più di tre mesi le riserve valutarie si sono ridotte di 24 miliardi di dollari (siamo ancora a una rassicurante cassaforte, 48 miliardi), la fuga di capitali ha bloccato molti progetti, e il deficit statale si è ulteriormente impennato fino al 7 per cento del Pil. Insomma, siamo al livello di guardia. Però la lezione del «tequilazo» del '94, e i principi di salvaguardia e di efficienza introdotti dopo la costituzione del mercato comune Mercosur (Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay, con Cile e Bolivia associati), hanno consentito finora alle regioni più sviluppate dell'America Latina di assorbire l'impatto della crisi dei mercati orientali. Il real, ma anche le monete dell'Argentina e del Cile, non sono state svalutate; tuttavia i tassi d'interesse sono stati più che raddoppiati e ormai vanno tra il 45 e il 60 per cento. Il rischio di un'asfissia è molto elevato, il Fondo Monetario ha calcolato che l'America Latina abbia bisogno urgente di almeno 60 miliardi di dollari (con le casse del Fmi vuote). Occorrono misure immediate d'intervento. E' fortemente significativa, allora, questa previsione di conferma per Cardoso. Significativa all'interno, per la delega che concederebbe di una continuità nelle politiche del rigore e della modernizzazione; ma significativa anche all'esterno, per l'impegno di credibilità che segnalerebbe al mondo dei capitali finanziari. Ce da sperare che a Washington si sappia apprezzare il valore di questo voto, e si assumano le resposabilità che ne conseguono. Brasile e America Latina sono a un passo dal recupero, o dallo sfascio. Incrociamo pure le dita, ma anche usiamo una testa fredda. Mimmo Candito L'eterno rivale della sinistra Ignacio da Silva detto Lula è staccatissimo L'inflazione sembra tornata sotto controllo ma i tassi potrebbero risalire Un poster di Cardoso e un fan di Lula che raffigura il Presidente col naso da Pinocchio