Per il Carroccio zero in secessione di Paolo Guzzanti

Per il Carroccio zero in secessione Per il Carroccio zero in secessione HE fine ha fatto la secessione leghista? O meglio: il fattore «S», esse come secessione, ha sempre un peso in politico? Oppure è un bluff? La domanda viene spontanea dopo aver letto il libro di Enzo Carnazza, «Il Carroccio tradito» (editore Bietti) preceduto da una trentina di pagine fulminanti di Saverio Vertone, una delle menti più libere e anche delle più indignate dell'intellettualità italiana. Vertone scrive, credendoci, che dietro la Lega di Bossi si agiti un disegno imperiale tedesco, già «parallelo» alla politica di Kohl e oggi pronto ad esprimersi attraverso Schroeder e certe banche bavaresi. Vertone accompagna il saggio di Carnazza, ricchissimo di intuizioni e spiegazioni, con immagini sferzanti e rassodanti della questione italiana. Rassodanti perché Vertone è l'unico che abbia il coraggio di dire che l'Italia, diversamente dalle grandi nazioni europee nate dall'incubazione e anche dagli incubi medioevali, non è venuta al mondo con la Lega dei Comuni, ma che l'Italia, come nazione, cultura, storia e geografia, è vecchia di più di duemila anni, battendo così qualsiasi altra nazione del mondo, essendo già stata amministrata unitariamente da un «Praefectus Italiae» quando i celti non erano diversi dai Cheyennes o dai Seminoles. Ed ha guidato - aggiungiamo noi - ben due (fatto unico nella storia) grandi cicli di civiltà, impero romano e Rinascimento, che hanno consentito all'occidente di essere quel che è. Dunque l'Italia come una nazione, Stato, unità, memoria antichissima, anche se dispersa nella miriade di dialetti e ora lobotomizzata da scemenze selezionate dai fumetti di Asterix e da una Weltanschauung bar dello sport. Carnazza va giù di piatto snervando e muminando radici leghiste che sono fasciste, repubblichine, razziste, ordinoviste, fondamentaliste in unico torpedone della domenica che unisce anche radici sbarazzine, ribelliste, sinistresi e movimentiste. Il tavolo anatomico, alla fine I della lettura, appare lordo di inI teriora e di metastasi, ma tutto ciò non basta, secondo noi, a liquidare la Lega soltanto come una collezione di ignoranze e follie al soldo del tedesco invasore, anche se bisogna pur dire, per aver visto e udito, che fanno una psichiatrica impressione i leghisti che girano come matti gridando «Raus!» ai turisti. Insomma il libro è convincente anche perché è rabbioso di provocazioni tratte dal vero e dalla storia. E spinge a formulare la domanda di cui dicevamo all'inizio: quanto vale concretamente la minaccia della secessione? A lettura conclusa si sente il bisogno che qualcuno dichiari con garbo, ma anche in modo convinto, che la minaccia vale meno di zero. E non perché non possa essere autentica. Ma per un motivo del tutto esterno alla Lega. E cioè che, come disse Pier Capponi quando andò a parlare ai franzosi che occupavano Firenze, senza iattanza, tenendo il famoso discorso delle trombe e delle campane: qui bisogna pur sapere che noi ci s'ha delle teste calde fra il popolo, gente che ci crede, degli sconsiderati che oggi o domani, messi alle strette, uno tira giù un forcone, un altro - Dio ne guardi - prende uno schioppo, e tu dammi uno strattone, io ti do uno schiaffo, finisce in una catastrofe. Il libro di Carnazza e il saggio di Vertone inducono a proprio a queste conclusioni, che hanno una valenza reale e dunque politica e che così si possono riassumere: l'oggetto di nome Italia, non soltanto esiste e resiste, ma ha solidi cultori che non resterebbero tutti zitti e docili se qualcuno desse mano alla sega per smembrare davvero lo stivale. Paolo Guzzanti liti |

Luoghi citati: Firenze, Italia