LA SEDIA VUOTA di Mario Deaglio
LA SEDIA VUOTA LA SEDIA VUOTA bile e meglio articolata di tutte le Borse, aveva superato in aprile i 9300 punti; ieri sera si collocava poco al di sopra dei 7500 punti, fornendo l'ennesima smentita a chi, fino a poche settimane la, sosteneva, in Italia e all'estero, il carattere inevitabile di un rialzo continuo. Al di là delle cifre, le quali, per quanto allarmanti, rientrano nella dinamica dei mercati, numerosi segnali qualitativi mostrano che siamo alla rottura di un sistema finanziario costruito, nel corso degli ultimi dieci anni, all'insegna della totale libertà di movimento dei capitali, anche per brevissimi periodi, e di una sostanziale mancanza di regolazione esterna. I mercati, come mostrano i dissesti di alcune grandi società operanti in prodotti finanziari ad alto rischio, non sono riusciti a darsi sufficienti strumenti di autocontrollo. Alla vigilia della riunione annuale del Fondo Monetario, questo crollo potrebbe significare la sconfitta concettuale e operativa di un liberismo senza freni, secondo il quale i mercati debbono semplicemente essere lasciati a se stessi. Gli avvenimenti degli ultimi mesi mostrano, al contrario, abbastanza chiaramente la grande difficoltà dei mercati a funzionare efficientemente da soli, soprattutto in momenti di difficoltà. Essi risultano facilmente preda di un «nervosismo» incontrollabile che si traduce nell'estrema instabilità delle quotazioni, un'instabilità tale da danneggiare seriamente le imprese quotate che sovente hanno relativamente poco a che fare con meccanismi puramente finanziari. In realtà, nelle ultime settimane, le autorità di tutto il mondo hanno cominciato, sotto il pungolo dell'emergenza, a intervenire pesantemen- te sui mercati, sia pure in maniera episodica e non coordinata. Si va dal caso della Cina, che ordina alle proprie imprese di rimpatriare i capitali detenuti all'estero senza controlli, alla Banca Federale di New York che, di fatto, impone alle principali case finanziarie il salvataggio di un grande Fondo in difficoltà, il cui dissesto potrebbe destabilizzare ulteriormente i mercati. Ormai, come ha affermato il ministro americano del Tesoro, Rubin, occorre costruire un nuovo sistema finanziario e monetario mondiale. E questo sistema, ammesso che arrivi in tempo per evitare davvero una crisi finanziaria mondiale con una forte ricaduta sull'occupazione e il tenore di vita anche in quel giardino riparato che è l'Europa, non potrà che essere basato su qualche limitazione ai movimenti di capitale. Sempre che arrivi in tempo, è un'occasione per dare al mercato un volto umano prima che il mercato stesso venga travolto, nonostante i grandi vantaggi che comporta. Esiste quindi un compito storico dei maggiori Paesi che consiste nel modificare il mercato senza stravolgerlo. E' un peccato che l'Italia, che ha sempre goduto, al tavolo della diplomazia monetaria, di un peso superiore a quello che ha fatto registrare al tavolo della diplomazia politica, si presenti, in qualche modo, dimezzata alla riunione del Fondo Monetario e a quella successiva del G-7. Il governo italiano non dispone oggi di una maggioranza parlamentare chiara e non potrà quindi far sentire chiaramente la sua voce. Le nuove regole saranno quasi certamente fatte senza una grande partecipazione italiana e, non potendo nei fatti essere neutrali, non favoriranno certamente la nostra finanza e la nostra economia la quale, come mostrano i casi recenti di una grande banca, rischia di perdere la propria identità. Mario Deaglio
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