Emigrazione come utopia di Lietta Tornabuoni
Emigrazione come utopia Per Amelio non fu un fenomeno negativo ma un'occasione di arricchimento Emigrazione come utopia D~ ROMA OPO il film, il documento: Gianni Amelio, il regista di Così ridevano, Leone d'oro alla Mostra di Venezia, è di nuovo al lavoro, sta realizzando per la Rai Poveri noi. Nella serie «Alfabeto italiano», che affida a nostri cineasti il compito di utilizzare i materiali d'archivio radiotelevisivi per tracciare una nuova storia d'Italia (e che ha già coinvolto tra gli altri Marco Bellocchio, Silvano Agosti, Giuseppe Bertolucci, Daniele Segre, Davide Ferrario, Fiorella Infascelli, Alessandro Benvenuti), Amelio fa un film di montaggio lungo cinquanta minuti sugli anni 1956-1964, sulla grande migrazione interna di quel tempo: «Ma vista in tutto il Paese, anche nel Nord, a esempio pure nel Veneto, da sempre una regione di emigranti». Ne Lamerica, Amelio è stato il primo, forse l'unico artista e intellettuale italiano a raccontare il dramma degli albanesi decisi a sbarcare in Italia, a capire l'importanza cruciale di quel fenomeno della migrazione mondiale da Sud a Nord, da Est a Ovest, dai Paesi della fame ai Paesi dell'obesità, che insieme con la fine del lavoro resterà a segnare questa fine secolo e il secolo nuovo. In Così ridevano, ha scelto la grande migrazione interna dal meridione al settentrione che negli Anni Cinquanta e Sessanta rappresentò il primo vero incontro fra le due parti del Paese e che mescolò culture, linguaggi, identità, come sfondo determinante e bellissimo d'una tragedia famigliare: la storia di due fratelli sici¬ liani emigrati a Torino, esempio dei legami di sangue intesi come possesso e sopraffazione «a fin di bene», della prepotenza e asocialità di quelle famiglie che anche oggi producono solidarietà e delitti. Se i profughi albanesi de Lamerica evocavano gli emigranti italiani del principio del secolo, gli emigranti siciliani a Torino di Così ridevano vogliono far riflettere sugli attuali immigrati extracomunitari in Italia. Gianni Amelio è calabrese, nato a San Pietro Magisano, in provincia di Catanzaro. Suo padre fu emigrante in Argentina per quindici anni. Diversamente da altri, il regista non ha mai considerato la migrazione interna degli anni '50-'60 un fenomeno distruttivo: «Al contrario. Mentre l'emigrazione italiana dell'inizio del Novecento verso le Americhe è stata terribile, ha dissolto famiglie, individui e tradizioni, la migrazione interna ha arricchito enormemente Nord e Sud, è stata un passo avanti per l'Italia. Certo, la prima generazione di meridionali emigrati a Torino o a Milano ha patito, ma anche nel Sud si pativa: noi mangiavamo ogni giorno cicoria raccolta nei campi, la pasta comprata a etti era il cibo della domenica, la carne era un evento raro. Arrivo a dire che dovremmo coltivare l'utopia dell'emigrazione: il dramma è chiudersi da benestanti di fronte a chi viene verso di noi, senza considerare che quei poveri possono darci molta ricchezza». Lietta Tornabuoni
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