Pioggia di profughi su Tirana di Vincenzo Tessandori

Pioggia di profughi su Tirana Pioggia di profughi su Tirana Una nuova mina per l'Albania in crisi TIRANA. Quello che resta di una famiglia: padre, madre e tre bimbi fra i 2 e i 7 anni. Era notte e pioveva fitto, l'altro giorno, quando Hamet Krasniqi, 45, sua moglie Drita, 38, e i tre piccoli hanno bussato al portone scuro di Arra e Madlie, il Grande Noce, centro di accoglienza della Caritas. Il patriarca, Petrit, di 70 anni, aveva incontrato il suo autunno lungo la strada da Mitroviza, nel Kosovo, e neppure Ylli, il fratello di Hamet ce l'ha fatta. Lo sanno che Scutari, lì a pochi chilometri dalla frontiera con il Montenegro, non è un punto d'arrivo ma soltanto di passaggio. Hanno camminato per quattro giorni e i loro piedi sono piagati in modo orribile. «C'è da temere che non torneranno più a camminare come prima», dice sorella Enza, francescana e medico. Anche a Tirana, alla clinica universitaria, i profughi arrivano ogni giorno. «E non si fermano, appena possono tentano il balzo verso Otranto per poi raggiungere la Germania o la Svizzera», osserva il cardiologo Petrit Vargu. Per questo, perché non affrontino il mare che non è più amico, la Fondazione Scanderbeg porterà a Scutari una tenda sotto la quale insegnanti kosovari faranno lezione. L'eco della guerra combattuta lassù al Nord, fra monti e gole, rimbomba anche in questa Tirana alla ricerca disperata di normalità. Arriva così la notizia che 5 soldati jugoslavi, nel Kosovo occidentale, sono stati uccisi da pallottole sparate, si dice, dal territorio albanese e il fresco leader, Pandeli Majko, sottolinea come non ci siano speranze per la pace «se Milosevic non ritira il suo esercito, non ordina il cessate il fuoco e non accetta di sedersi al tavolo delle trattative con i rappresentanti del Kosovo». L'Albania non avanza pretese territoriali: lo aveva già assicurato Fatos Nano e con ciò ha messo un punto alle accuse serbe per i presunti aiuti forniti a quelli dell'Uck, l'esercito irredentista. Nessuno si illude: il conflitto è anche a Tirana. La prova, l'agguato di alcuni giorni fa in cui è caduto il ministro della Difesa del governo in esilio kosovaro: lui pure si chiamava Hamet Krasniqi. Sembra un groviglio inestricabile, questo delitto, anche se la polizia assicu- J II neopremier albanese Pandeli Majko commissariato numero 3 ha bloccato 40 persone, 24 kosovari». Secondo lei esistono punti di contatto fra l'omicidio di Krasniqi e quello di Azem Hajdari che ha provocato l'insurrezione di metà settembre? «Non posso dirlo, per ora, ma non posso neppure escluderlo. Purtroppo... » Che cosa, comandante? «Abbiamo perso una grande opportunità, nel caso Hajdari: per colpa di quelli del partito democratico non abbiamo potuto esaminare da vicino né il suo cadavere né quello della sua guardia del corpo e neppure abbiamo parlato con l'unico testimone, che è ricoverato in ospedale. In ogni modo, le indagini pro: cedevano rapide, quando c'è stato il golpe. E ora sono riprese». E hanno portato a una pista che punterebbe assai lontano dalla politica: Hajdari, lasciano intendere gli inquirenti di Tirana, avrebbe pagato con la vita vecchi odii fra famiglie. Insomma, sarebbe morto perché qualcuno avrebbe applicato la legge arcaica del Kanun. Certo, non sarà facile far accettare questa tesi a Sali Berisha e a quelli del partito democratico che sulla morte del pretoriano hanno poggiato la loro collera e costruito il colpo di Stato. Al quale, per ore, la polizia ha assistito immobile. Perché comandante? «Da vent'anni sono militare ed era la prima volta che vedevo in Albania una cosa del genere, con una folla così numerosa e arrabbiata che non era possibile fermare subito. D'altra parte, dalla Casa Bianca e Prodi ci hanno detto che abbiamo fatto un buon lavoro. Noi siamo collegati con la polizia italiana, e non da ora ma da quando c'era Parisi». Rischi di attentati? «Ci lavoriamo». Tutti sospettati, par quasi voler dire: briganti di strada, kosovari fuoriusciti, oppositori del governo, che poi sarebbero quelli del pd, soprattutto i servizi segreti serbi che fornicherebbero a tempo pieno. Perché è l'ombra di quell'inferno su a Nord, oltrefrontiera, che si allunga fino a Tirana, e chi fugge ignora se gli apriranno il portone a cui bussa. Ha scritto Eda Malaj, poetessa ventunenne: «La notte chiuse le porte / e mi lasciò fuori. Esitai a bussare / pure fuori era buio». Vincenzo Tessandori