città ai piedi del Cancelliere virtuale di Emanuele Novazio

città ai piedi del Cancelliere virtuale città ai piedi del Cancelliere virtuale la prima volta sulleorme All'Eliseo sottobraccio al presidente francese PARIGI DAL NOSTRO INVIATO Quando sale i sei scalini dalla guida rossa ed entra all'Eliseo, Gerhard Schroeder toglie la mano dalla tasca della giacca e la appoggia al braccio di Chirac. Sussurra qualcosa al Presidente, indica a mano tesa il cortile d'onore del palazzo e si volta verso la grandine dei flash, che lo inseguono fino al Salone dei Ritratti: dove prima del pranzo, attorno a un tavolo rotondo con dodici coperti, cadranno di nuovo a pioggia su di lui, mentre su un divano damascato conversa col suo ospite francese. Salendo i sei gradini, ieri, il Cancelliere virtuale ha compiuto probabilmente il suo capolavoro, l'annuncio di uno stile che potrebbe diventare un culto. Entrando nel palazzo che più di qualsiasi altro in Francia simboleggia una consuetudine politica rispettata da tutti i suoi predecessori - fino a farne un puntiglioso elemento di racconto e di memoria - l'uomo che ha sconfitto Helmut Kohl ma ancora non ne ha preso il posto ha fatto della virtualità del proprio ufficio provvisorio un'arma, un'occasione di visibilità e di intervento in un presente ancora privo - per lui - delle garanzie di ufficialità e di forma. • Un gioco d'anticipo, l'irruzione in uno spazio politico nel quale Schroeder, ieri, è sembrato recuperare la fruttuosa confluenza linguistica della sua campagna elettorale: una miscela di complicità mediatica e di disponibilità pragmatica nei confronti del suo futuro ruolo. Di certo, mentre conversava con Jacques Chirac sul divano damascato della Sala dei Ritratti, l'uomo di Hannover scelto dai tedeschi per mandare in pensione il Cancellere dell'Unificazione e dell'Europa ha dimostrato di trovarsi a suo agio nei luoghi, e fra i rituali, del potere. Ha sostituito alla mobilità gestuale satore tornerà da Cancelliere; ma sufficientemente forbito ed eloquente grazie al piccolo drappello di cavalieri disposti a «V» ad attenderlo. Lo si è visto durante la visita all'atelier nel quale Auguste Rodin lavorò, visse e morì nel 1917, a Meudon. Una tappa breve, mezz'ora appena rosicchiata ai colloqui politici con il primo ministro Lionel Jospin; ma voluta per ritrovare il luogo magico della collaborazione fra lo scultore e Rainer Maria Rilke, il poeta austriaco del quale Schroeder ha fatto un'occasione di entusiasmo e di culto. Un mito germogliato in gioventù e che da allora lo accompagna: davanti a una scultura imbiancata, ieri, Schroeder ha recitato a richiesta, ma non senza una convinzione che evocava la sincerità della passione, i versi di «Autunno». Lo si è visto più tardi, alla conferenza stampa congiunta con Jospin nella Sala Rossa di Palazzo Matignon: quando di nuovo si è esposto alla grandine di flash salutando qua e là fra il pubblico di giornalisti, alzando o curvando il sopracciglio destro e mostrando di comprendere e aprezzare le ricadute, anche politiche, di quelle salve. Come sul divano all'Eliseo, nella Sala Rossa di Palazzo Matignon Gerhard Schroeder ha dimostrato il suo istinto per la provocazione e il gesto, definendo per esempio con lievissima ironia Chirac «un socialdemocratico moderato», uno dei nostri. Ma ha confermato soprattutto di essere un pragmatico che crede ai sogni: «La domenica delle elezioni è successo che mi sembrava di non aver capito bene. Poi è venuto il lunedì mattina, e poi il mercoledì e ci si ritrova qui a Parigi», ha detto senza esserne sollecitato ma portando naturalmente la risposta verso la serata del risultato elettorale e poi il risveglio. «Sono contento, molto contento davvero di aver vinto e di poter fare il Cancelliere, e voglio dirlo anche qui: lo farò bene», ha detto deviando ancora una volta dal corso del discorso al quale una domanda lo aveva indirizzato. «Helmut Kohl avrà il suo posto nella storia. La dignità con la quale ha accettato la sconfitta, la sera del voto, parla per lui», ha detto afferrando l'occasione che gli offriva un suggestivo lapsus di Jospin («Qui a Parigi lavoreremo benissimo con Gerhard Schroeder come abbiamo lavorato molto bene, finora, con Helmut Schmidt»). Adesso che è l'ora del congedo, Jacques Chirac scende con lui in giardino. Mentre passeggia col Presidente fra i prati del palazzo, seguito da lontano da teleobiettivi e guardaspalle, Gerhard Schroeder sembra racchiuso anche fisicamente nella virtualità che ha fatto di questo viaggio una prima, nella storia delle relazioni fra Parigi e Bonn: lo spazio mediatico messogli a disposizione da un Presidente impegnato in una partita ancora aperta - di fronte alla teorica complicità dei due partiti socialisti - si dilata nel prato del palazzo. Visto dagli scalini con la guida rossa e mentre discende nel giardino, l'uomo arrivato dalla provincia settentrionale e protestante per sostituire un Cancelliere cattolico e renano tocca la spalla di Chirac, fa cenno di sì, riprende a camminare. La complicità, reciproca, si esibisce in gesti che richiamano da soli l'intimità di due potenti: la passeggiata è già un'incoronazione. Emanuele Novazio

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