Storie di Città

Storie di Città Storie di Città MOLTI cari saluti da Cirio, ridente cittadina alle porte di Torino, 19 mila abitanti, a 344 metri di altitudine. Sono venuto qui per farmi raccontare una storia curiosa ed esemplare. Protagonisti Caterina Calza e Attilio Bonci da una parte e dall'altra uno dei più famosi pittori italiani del '700, Pietro Francesco Guala. Caterina Calza, nata e vissuta alla frazione Devesi di Ciriè, fin da bambina prova un particolare attaccamento ad una piccola chiesa, dedicata al culto mariano, che si trova nella frazione e che fa parte del complesso di una cascina seicentesca che prende il curioso nome di Robaronzino, forse in ricordo del fatto che in quei paraggi un tempo erano molto abili a rubare cavalli. Caterina ricorda che andava con le donne della frazione a pulire la chiesetta alla vigilia della festa della Madonna degli Angeli quando il parroco di Ciriè vi celebrava la Messa. La chiesa di Robaronzino, a una sola navata, è dotata di quattro grandi tele, due per lato, e di una pala d'altare e tutte riproducono scene della vita della Madonna. Tutti i quadri hanno subito l'azione del tempo e uno in particolare è molto deteriorato. Caterina Calza cresce, si laurea in Giurisprudenza, collabora ai giornali locali, si sposa; ma non dimentica il fascino di quelle grandi tele nella chiesa della sua infanzia. Un giorno convince il restauratore Giancarlo Rocca, che si trova a Ciriè per occuparsi della straordinaria galleria di ritratti della famiglia D'Oria, a visitare la chiesa e il suo verdetto è che si tratta di opere di notevole pregio. Siamo nel 1995 e Caterina riesce a raccogliere fra i borghigiani, tutte persone che vivono di uno stipendio o di una pensione, i 50 milioni necessari per restaurare il quadro più deteriorato, l'Annunciazione, sotto il controllo di Claudio Bertolotto della Sovrintendenza. Le foto del quadro restaurato e degli altri tre vengono portate in Sovrintendenza da Caterina e fatte esaminare dagli esperti. Un collega del Bertolotto, Paolo Venturoli attribuisce, basandosi sullo stile, le opere a Pietro Francesco Guala; ma sembra incredibile che un pittore di quella importanza abbia lavorato per una piccola chiesa annessa a una cascina. A questo punto avviene il secondo colpo di teatro di questa storia; sfogliando una monografia di Silvia e Sergio Martinotti dedicata al Guala, i funzionari scoprono le fotografie di due dei quadri di Robaronzino, la «Purificazione di Maria» e la «Presentazione di Maria al Tempio». Sembra un episodio della serie «X-Files» perché i quadri della chiesa non erano mai stati prima fotografati ed erano in cattivo stato a differenza di quelli riprodotti nel libro, senza contare che questi ul¬ timi sono molto più piccoli, 160x120 invece di 300x250. Il mistero viene chiarito dalla scoperta che in un caso precedente il committente aveva chiesto al Guala di dipingergli un modello in piccolo del quadro e di sottoporglielo prima di iniziare l'opera. Ormai è matematicamente certa l'attribuzione al Guala delle cinque tele di Robaronzino; resta solo da spiegare come mai siano finite lì. Caterina Calza trova nell'archivio storico di Ciriè un documento da cui risulta che nel 1740 il banchiere Antonio Faccio, proprietario della cascina, aveva istituito presso la chiesa di Robaronzino una cappellania con 500 lire di dotazione annua e lo segnala alla Sovrintendenza dove Claudio Bertolotto ricorda di aver incontrato più volte il nome di questo banchiere benefattore, a Carignano, dove ha finanziato la costruzione del Santuario del Vallinotto e l'Ospizio di Carità, che oggi si chiama Opera Pia Faccio-Frichieri. Entrambi gli edifici sono abbelliti da opere del Guala; ovvio quindi che il banchiere, devoto alla Madonna, abbia chiesto al Guala di lavorare alla chiesa di Robaronzino, pretendendo di ve¬ dere prima i bozzetti, non si sa mai. Questa scoperta permette di fare un altro passo avanti: il santuario e l'ospizio di Carignano sono entrambi opera dell'architetto Bernardo Vittone, il che autorizza a ritenere che se non al progetto della chiesa di Robaronzino che risale al '600 il Vittone abbia lavorato a risistemarla, in particolare l'altare sembra opera sua. Antonio Faccio morirà proprio a Robaronzino il 4 novembre del 1743, lasciando eredi i poveri di Carignano e il notaio Frichieri che porterà a termine la sua opera. Quest'ultimo è un personaggio straordinario, che meriterebbe di essere segnalato a Giovanni Paolo II perché lo faccia santo e patrono dei notai. Scrivono Caterina Calza e Attilio Bonci: «La sua vita fu impeccabile, scandita da digiuni, dall'uso del cilicio e, benché laico, dal voto di castità e dal rifiuto di possedere beni materiali, che destinava sempre ai poveri». Ve lo immaginate al giorno d'oggi un notaio con queste caratteristiche? Mentre le opere del Guala vengono man mano sottoposte a restauro bisogna pensare all'edificio della chiesa che è ricca di stucchi che rappresentano angeli collocati in posizione tale che sembrano una continuazione dei quadri e che in origine erano policromi. Questa storia è raccontata, con ampiezza di particolari e molte illustrazioni, nel libro che Caterina Calza e Attilio Bonci, esperto di storia piemontese, hanno pubblicato presso la Grafica Santhiatese Editrice; i proventi del libro contribuiranno al finanziamento dei restauri della chiesa di Robaronzino.

Luoghi citati: Carignano, Ciriè, Torino