CROTTE DI STRAMBINO

CROTTE DI STRAMBINO CROTTE DI STRAMBINO L'ultimo giorno di scuola la maestra ci baciò a uno a uno WALTER Mauro Bellis scrive. «Il mio paese Crotte, frazione di Strambino, a 50 km da Torino, nel Canavese, è parte anch'esso della storia del Piemonte; verso la fine del 1500 dette i natali a tal Antonio Guidetto, che fu segretario alla corte Sabauda. La chiesa è dedicata a San Carlo Borromeo, perché tornando questi dalla visita alla Sindone (durante una delle prime esposizioni pubbliche) si fermò in piazza per recarsi poi al castello ospite dei Signori di Masino. La foto risale all'anno scolastico 1958/1959; assieme sono la prima classe in cui i maschi avevano il grembiulino col collare inamidato e il fiocco azzurro come le ragazze, e la seconda, con i maschi con la maglia con le palline blu di lana. Con il camice nero e lo sguardo sicuro è la maestra Giuseppina Bellis. Da sinistra in alto: Caterina, Margherita, Gianna, Assunta, Maria Rosa, Adriana, Ines; al centro: Battistino, Margherita, Germana, Maria Teresa, Ines, Loredana, Rosa Maria, Giuseppe, Caterina, Candida, Solutore; in basso: Francesco, Nino, Walter (D sottoscritto), Adriano, Nicolino e Sergio, manca Marianna, probabilmente assente per malattia. Osservando questa foto viene un groppo alla gola. Ci siamo ancora tutti, solo la povera Germana è volata in cielo in giovane età. Con questi compagni si è fatto il quinquennio delle elementari, si sono divise le prime difficoltà, le prime delusioni. Allora non c'erano i videogames, o gb' impianti Hi Fi, bastava un album con le matite colorate per farci contenti, oppure l'archetto con l'asse del traforo Amati per realizzare una casetta di campagna, un aeroplano o il carretto siciliano, mentre alle compagne toccava l'ingrato (per noi) compito di ricamo o cucito. Ricordo molto bene le maestre che ci preparavano alle scuole superiori. La signora Giuseppina Bellis che ci seguì in prima seconda quinta. Severa ed esigente, equa nel rimprovero come nell'encomio, interrogava me e Rosamaria tutti i giorni ed erano quasi sempre nove-dieci. Ricordo il tormento che mi procurò un sette in storia sugli eventi del Settecento, voto per me bruttissimo, inaccettabile. Come pure ricordo verso la fine dell'anno scolastico 1962-1963, quello della quinta, quando la stessa maestra dopo aver interrogato con esito negativo i miei compagni su «Il passero solitario» del Leopardi volle sentire la mia recitazione. Tremando come una foglia raggiunsi la lavagna e feci come ne fui capace la mia dizione: «Walter, tu sarai promosso...», raggiunsi il mio posto orgoglioso di quella certezza. Nell'anno 1960-1961 avevamo una (allora) signorina maestra di Torino che ci raccontava che andava in barca a vela sul Po. Non conservo un bel ricordo di lei perché mi fece un gran dispetto, non mi portò in gita con la classe a vedere Italia 61, anche perché allora non conoscevo il Capoluogo, c'ero stato sola¬ mente con mio padre alla stazione di Porta Nuova, quando al termine della prima e seconda elementare mi accompagnava al treno (ancora a vapore da Strambino sino a Torino) che mi portava alle colonie della Coltivatori Diretti a Legino di Savona. Mi recai poi a Torino, da solo, nel settembre del 1971 al Distretto Militare per la visita di leva. Nell'anno 1961-1962 quello della quarta avevamo una maestra della Puglia, la signora Livia Morrone. Una mattina di novembre mentre con un'insegnante supplente facevamo lezione, entrò nella nostra classe presentandosi: «Sono l'insegnante assegnata alla quarta elementare di Crotte», sembrava volesse scusarsi con l'altra insegnante e con noi della sua irruzione. Come tanti miei compagni di allora, ho un bel ricordo di quella brava signora. Arrivava al mattino a piedi dalla stazione ferroviaria di Strambino (3 km) col Torino-Aosta-Pré-Saint-Didier e si presentava in classe con ogni tempo, a volte col fiatone ma con un enorme sorriso e per tutti aveva premure e parole di conforto. La sera dopo le 16, terminate le lezioni, raggiungeva (sempre a piedi) la stazione di Strambino per il treno delle 16,20 e fare ritorno a Torino. Ogni tanto ci portava dei regalini, caramelle e cioccolatini, quaderni da colorare, giornalini, mascherine di carnevale. Aveva i capelli neri con qualche filo bianco, aveva 28 o 30 anni, non aveva figli. Un giorno sentimmo bussare alla porta della classe, entrò un uomo in divisa azzurrogrigia con nastrini e stellette, era un graduato dell'Aeronautica Militare in servizio a Caselle o Cameri: «Bambini secondo voi chi è questo signore?», «Tuo padre», rispose qualcuno di noi, «No», disse lei di rimando, «è mio marito». L'ultimo giorno di scuola, un mattino di giugno, la maestra aveva grandi occhi lucidi: terminata la lezione, mentre ci recavamo all'uscita con la nostra piccola cartella odorante di cuoio, ci abbracciò e ci baciò uno ad uno sulle guance; e piangeva, la maestra Morrone. Vorrei tanto incontrare quella cara signora per ringraziarla e restituirle quell'abbraccio: più che l'aritmetica e la sintassi, quanta bontà, che lezione di vita ci ha trasmesso. Spero abbia avuto tutti i figli che desiderava, spero che sia in vita e goda ottima salute (dovrebbe avere circa 65/70 anni); e se così non fosse il buon Dio le ha certamente riservato uno dei posti migliori in Paradiso. Quanti ricordi guardando questa vecchia foto; a distanza di quaranta anni non mi riconosco più in quel gracile bambino dai pantaloni di fustagno, gli scarponcini e le calze di lana confezionate dalla nonna Rosina, a detta dei miei colleghi e conoscenti sono un «armadio di 110 kg»! A volte si dice se tornassi indietro farei questo non farei quell'altro: io credo che rifarei le stesse cose senza alcun rimpianto ed attendo serenamente quello che sarà il mio traguardo. la prima e la seconda elementare con al centro la maestra Bellis