LA MUSICA CI LASCIA SULLA SOGLIA DEL MISTERO

LA MUSICA CI LASCIA SULLA SOGLIA DEL MISTERO LA MUSICA CI LASCIA SULLA SOGLIA DEL MISTERO Un'interpretazione filosofica di Jankélévitch L carattere ambiguo e paradossale della musica è dimostrato dall'ambivalenza dei giudizi che la riguardano. Da un lato infatti essa è considerata una delle espressioni più alte della civiltà umana, dall'altro però alcuni tra i più insigni rappresentanti della cultura occidentale hanno visto in lei un pericolo da cui l'uomo dovrebbe essere protetto. Da Platone a Tolstoj, esiste un robusto filone di pensiero che associa la musica - questo diletto senza scopo - a un incantesimo malsano, a un fascino irrazionale che sottrae all'uomo la lucidità dello sguardo e conduce nelle tenebre. Di qui, l'esigenza di correggerla, depotenziarla, regolamentarla, e la distinzione tra una musica «buona» ed una «cattiva»: da una parte la cetra di Apollo, dall'altra il flauto dionisiaco del satiro Marsia. E' destino della musica esser chiamata come testimone nel conflitto tra le diverse visioni del mondo: così non vi è dubbio che la svalutazione radicale della mu- i l i di Pl è il sica nel pensiero di Platone è il risultato di una visione unilineare, che corrisponde ad una semplificazione della realtà, a una sua riduzione al razionale e all'etico; in definitiva, un gesto apotropaico volto ad allontanare, quando non a negare, l'aspetto oscuro, caotico, innominabile della vita. Che la musica, più di qualsiasi altra arte, sia stata eletta a segno di contraddizione è la conseguenza della asemanticità del suo linguaggio, cioè del fatto che essa propriamente non significa nulla, non rinvia a niente che non sia contenuto nello stesso discorso musicale. Essa si apre dunque su di un abisso, che è il mistero stesso della vita; questa spesso si presenta a noi con modi persuasivi e apparentemente comprensibili, ma nel momento stesso in cui tentiamo di imprigionarla in una formula, o anche di porle domande ultimative, si sottrae alla presa e si fa remota ed enigmatica. Così è la duplicità contraddittoria della musica, il suo fascino illimitato che infinitamente ci affatica; giacché si tratta di un oracolo cui è possibile rivolgersi innumerevoli volte e che sempre risponde, ma anche sempre rinvia la risposta definitiva. Mentre scrivo noto che mi sto facendo influenzare dal caratteristico stile di Vladimir Jankélévitch, il filosofo francese di origine russa cui si deve La musica e l'ineffabile, un saggio insieme denso ed arioso dedicato appunto al mistero della musica. Lo stile è avvolgente, sinuoso, vibrante, partecipe di quello charme, inteso come potere persuasivo, che l'autore attribuisce appunto alla musica. Ma non è solo per lo stile che questo bel libro (preceduto da una acuta introduzione di Enrica Lisciani-Petrini) andrebbe letto da tutti quelli per i quali il senso della vita passa attraverso la musica. Prima di ogni altra cosa, esso è un atto di amore entusiastico per la musica, per quel canto che non rende saggi ma che «può riaccendere in ogni uomo, per il tempo di un istante, la scintilla della gioia», che è evasione dalla finitezza. Ma è anche un saggio di analisi finissime, condotte in modo non tecnico ma discorsivo, dedicate a una particolare area della musica moderna: quella francese (e in parte slava) tra Ottocento e Novecento, con una particolare, tenera attenzione all'amatissimo Fauré. La predilezione per questa stagione del gusto si confonde con una dichiarazione di poetica, che potremmo genericamente definire intimista: amore per la musica «frugale», cioè contenuta, allusiva, sobria, pudica, che si oppone all'esibizionismo affettivo e all'«indecente e loquace sincerità». Jankélévitch - e questo è un suo limite - tende a generalizzare questa particolare modalità stilistica, elevandola a volte a criterio dell'eccellenza musicale, se non addirittura dell'essenza della musica, voce in penombra che condensa nel breve giro di una frase la dolce malinconia dell'irreversibile. Ma egli contraddirebbe il suo stesso assunto se si accontentasse di una definizione della musica troppo tributaria di un particolare momento storico. E difatti il libro è tramato di sondaggi ed esplorazioni che tutti portano a dire l'impossibilità di cogliere l'essenza della musica. Lo charme della musica, caratterizzato da una appassionante precarietà, non è in grado di dirci la soluzione di alcun problema; rappresenta però uno «stato di infinita aporia che suscita nell'uomo una feconda perplessità». Questo è forse il punto di arrivo di un tragitto sinuoso e straordinariamente ricco, che trova nel rapporto tra musica e utopia il suo sfondo variegato. Giacché non sarebbe possibile amare tanto la musica se non ne facessimo la sostanza di un mito, che è il mito della trascendenza, considerata non come possesso ma appunto come utopia: quando inline tacciono le vane parole, la musica ci porta sulla soglia di un mistero ineffabile, nel quale è nascosta la nostra radice. «Questa chimera di un al di là sopravvive a tutte le disillusioni». Augusto Romano Da Platone a Tolstoj, fu descritta come un diletto senza scopo, incantesimo malsano e irrazionale; ma è un oracolo che nasconde il senso della vita Quando tacciono le parole, il suono può esprimere con pudore la ricerca deir ineffabile LA MUSICA E L'INEFFABILE Vladimir jankélévitch Bompiani pp. 140 L 28 000 Vladimir Jankélévitch, il filosofo francese di origine russa cui si deve «La musica e l'ineffabile»

Persone citate: Augusto Romano, Enrica Lisciani-petrini, Platone, Tolstoj, Vladimir Jankélévitch