NON E' VERO: PECUNIA OLET di Giovanni Giudici

NON E' VERO: PECUNIA OLET NON E' VERO: PECUNIA OLET APPARTENGO a una generazione, forse l'ultima, perla quale la parola «soldo» ha fatto in tempo a significare la ventesima parte di una lira, entità ai giorni nostri meramente teorica se non addirittura simbolica. Per la generazione di cui parlo, invece, un soldo (pari a cinque centesimi) era ancora una moneta spendibile. Un tondino di rame, due centimetri scarsi di diametro... Non mi ricordo più con precisione di cose che costassero proprio un soldo (forse, un cartoccio di semenze di zucca o un mazzetto di prezzemolo). Ma era piuttosto difficile che un bottegaio sorvolasse su un soldo in meno o un soldo in più. Venti soldi accumulati con laboriosa pazienza facevano pur sempre una lira che valeva, da un punto di vista d'infantile ghiottoneria, dieci gelati da due soldi, cinque da venti centesimi o due super-coni da mezza lira. Un soldo aggiunto a un altro ne faceva due, che erano (crescendo con gli anni) il prezzo di una sigaretta (sfusa) delle più a buon mercato, le gloriose «Popolari»: vere «mozzafiato» nel senso letterale del termine, le «Popolari» schiudevano a legioni di gquattordicenni i paradisi della nicotina. Ma se la parola «soldo» evoca queste patetiche memorie, non altrettanto potrà dirsi della sua versione al plurale. Se parlare di «soldi» è diventato un dire pane al pane, è infatti vero che la parola ha in sé qualcosa di aggressivo, di violento: quasi implicando una mancanza di pudore tale da far arrossire (se non fosse già rossa) la lingua di chi la pronuncia. Come per gli inglesi, forse in altri tempi, le parole di quattro lettere attinenti al sesso. Il bisogno di «soldi» è diventato però così diffuso e sfacciato che quasi nessuno più lo dissimula, specialmente quando sia mosso da bieca avidità o (analogamente) da finta indigenza. Nessuno si preoccupa di edulcorare la crudezza della parola ricorrendo a sinonimi ora vagamente togati («denari» 0 «danari», «liquido», «mezzi», «contante» e infine il riduttivo «spiccioli», l'arrogante «soldini») ora mascherati dalla falsa bonomìa gergale di arcaiche monete («dané» «schei», «palanche», «baiocchi» «svanziche») o di ardite metafore («Ho 1 pneumatici a terra)) diceva un tale che bussava a prestiti). «Pecunia non olet», i soldi non puzzano, proclamavano gli antichi. Ma spesso puzzano e come: persino di cadaveri. Però, nel senso materiale e letterale, si dà anche il caso che emanino un delicato e accattivante profumo: quello, appunto, delle fragranti banconote con disinvoltura sfornate dalle banche centrali di tutti i Paesi del mondo, compresi i più derelitti: debitori insolventi e sempre più indebitati, reparto cronici del «male dei creditori»... Giovanni Giudici

Persone citate: Pecunia