PENNATI, UN POETA RANDAGIO CHE RINCORRE LE NUVOLE di Giovanni Tesio

PENNATI, UN POETA RANDAGIO CHE RINCORRE LE NUVOLE PENNATI, UN POETA RANDAGIO CHE RINCORRE LE NUVOLE UNA DISTANZA INSEPARABILE Camillo Pennati Einaudi pp. 134 L. 22.000 TODI A Porta Fratta il «viale delle piagge» scende il colle a precipizio e 0 «casale del ciliegio» è sul fondo. Camillo Pennati ha 67 anni ma i tratti un po' incongrui dell'anticonformista di gusto, capelli lunghi che scendono sul viso, un nodo a raccogliere sulla nuca il vezzo di un codino, l'espressione distaccata degli occlù che esprimono una lieve ironia. Ci sono voluti 15 anni per arrivare a Una distanza inseparabile, l'ultimo suo libro poetico. Verso lungo e universo di natura, mondi di nubi e d'acque che si compenetrano in volumi di metamorfosi continuate: «Vedo l'aria come mare, cerco un guardare obiettivo come un rinvio ad altro, mirando a un'esattezza e a una lucidità che escludano ogni riverbero sentimentale». Nulla del vecchio gentiluomo di campagna. Solo una lieve sprezzatura che si rivela nell'eleganza del vestito di lino color paglia, con panciotto indiano e cravatta ton su ton. Entrando in casa appena un sussurro: «E' tutto un accumulo». E sembrerebbe un modo per scusare il disordine, mentre è già una dichiarazione di poetica: «Forse questo non dovrei dirlo, ma io sono uno che lavora in aggiungere, non in levare. D'altra parte resto un poeta anomalo e quindi di scarso interesse da parte della critica». Acquerelli, quadri, un disegno a colori di Lester Elliot, molte stampe francesi in cornici inglesi, cuscini sparsi, libri dovunque, nella parte più profonda dell'unico grande pianoterra la cucina con la stufa, una foto di Ezra Pound, un'altra di Ted Hughes, uno dei tre io sono uno che lavora in aggiungere, non in levare. D'altra parte resto un poeta anomalo e quindi di scarso interesse da parte della critica». Acquerelli, quadri, un disegno a colori di Lester Elliot, molte stampe francesi in cornici inglesi, cuscini sparsi, libri dovunque, nella parte più profonda dell'unico grande pianoterra la cucina con la stufa, una foto di Ezra Pound, un'altra di Ted Hughes, uno dei tre poeti inglesi (gli altri due sono Philip Larkin e Thom Gunn), che Pennati ha più contribuito con le sue traduzioni a far conoscere in Italia. Pedigree eccellente. Dopo l'esordio da Guanda nel '57 e l'attenzione tempestiva di Quasimodo e Sereni, nel '64 l'ingresso tra i poeti dello «Specchio» con L'ordine delle parole e poi altri due titoli einaudiani: Erosagonie (1973) e Sotteso blu (1983). Curriculum randagio. A Milano studente di lettere e di medicina, a Londra bibliotecario dell'Istituto italiano di cultura, a Torino redattore di anglistica all'Einaudi, a Todi l'approdo, passando per Roma. Come un timido signor Palomar che rincorra nuvole e vento da un osservatorio minore. Il risultato è una poesia di ritmo ampio e complesso e di sintassi avviluppata che ha per paradosso la limpidezza e la trasparenza di un haiku di Basho: «Una volta Calvino mi scrisse da Parigi per dirmi che i miei testi sono molto aggrovigliati ma che non si sarebbe mai sognato di farmeli sgrovigliare». Contro ogni elogio della vita rustica, certo è che la città dei sospiri rimane New York, a cui è riservato un entusiasmo capace di rompere la flemmatica compostezza: «Ci sono stato in due o tre tempi diversi e una volta tre mesi di seguito abitando in un grattacielo di Manhattan. Se avessi soldi andrei a New York». Ma mtorno al richiamo della vecchia Europa e della piccola Ita¬ lia continuano a ruotare i ricordi più tenaci. La generosità di Quasimodo, ia signorilità di Umberto Morra di Lavriano, gobettiano di qualità, e i molti scrittori incontrati (tra i tanti Neruda, Paz, Seamus Heaney), i buchi presi dalla casa dello Struzzo (clamoroso il Pirsig «bocciato da Roscioni perché non metteva conto parlarne»). Gli aneddoti più curiosi sono tuttavia legati al faticoso baliatico di Ungaretti, invitato a Londra per il Pen Club. Pennati ricorda il suo proclama in un ristorante italiano: «Io vendo più di Montale»; la sua nervosa attesa di un taxi: «Sono il più famoso poeta italiano, non si può fermarne uno?»; la sua sosta nella King's Road davanti ad un negozio di frutta e verdura: «Prese a tastare le mele, la fruttivendola uscì infuriata, ma appena lei si girò Ungaretti allungò maliziosamente la mano a toccarle il sedere». Mentre acquerella i suoi aneddoti, Pennati osserva dalla finestra dello studio il profilo di Todi e riflette: «Il problema che potrà angosciarmi di qui alla fine è che là fuori la natura è silenzio, il suo desiderio di crescere è tutto racchiuso in sé e non ha bisogno di altro. La natura basta a se stessa, mentre noi no e viviamo della nostra malattia. La poesia stessa è malattia. E' la retorica della perla: bellezza che nasce da un fastidio». Giovanni Tesio Camillo Pennati, 67 anni, pubblica da Einaudi la sua nuova raccolta di versi «Una distanza inseparabile»: un mondo di nubi e acque, una lucidità che esclude ogni riverbero sentimentale UNA DISTANZA INSEPARABILE Camillo Pennati Einaudi pp. 134 L. 22.000