L'anno terribile del riso

L'anno terribile del riso Gli agricoltori: ostaggi della politica di aggressione americana e delle produzioni extraeuropee L'anno terribile del riso La concorrenza fa precipitare i prezzi VERCELLI DAL NOSTRO INVIATO In questa cascina una volta ci lavoravano, crescevano, sposavano, soffrivano, godevano, morivano cento persone tra uomini, donne, bambini, vecchi. D'estate arrivavano dall'Emilia centocinquanta mondine che si mescolavano alle zanzare, ai tafani, alle rane, alle tinche in un afrore indistinto di caldo, sudore, vapore, urli, pianti e passioni. «Una tempesta ormonale», taglia corto con una risata Marco Oletti mentre spegne il grande essiccatoio della cascina ora deserta e ci mostra la montagna di risone parboiled che venderà ai francesi e che sarà impacchettato e rivenduto come «Riso di Camargue»: «Mica si fanno tanti problemi, là». E qui? Riso amaro. Anzi amarissimo. Qui a San Genuario, Crescentino, in quel Piemonte dove si parla ancora di Cavour (che aveva la tenuta a Leri, qui accanto) come di un vecchio zio saggio, misuriamo gli effetti di una guerra mondiale in cui agiscono attori globali. Clinton, protettore non solo di stagiste ma dei risicoltori dell'Arkansas. I bambini-schiavi del Sud-Est asiatico che vengono innaffiati dagli aerei spargidiserbanti mentre reggono le bandierine che segnano il confine dei campi. Gli gnometti di Bruxelles che misurano la politica agricola d'Europa con una calcolatrice che fa sempre i conti a favore dei più forti, Olanda e Germania. Marco Oletti, 43 anni, risicoltore colto, ci racconta lo scenario in cui si muove la sua mietitrebbia: «Il '97 è stato terribile, il '98 sarà ancora peggio». La crisi del riso è nera, i prezzi precipitano, mai così in basso dall'inizio del secolo: 53 mila al quintale il «greggio» ieri alla borsa di Vercelli. L'anno scorso era 60 mila; nel '96, 77 mila; nel '95, 83 mila; nell'84, 103 mila, nel '78, 141 mila. Converrebbe non vendere un bel niente e aspettare aprile, quando l'«intervento» della Comunità europea pagherà 65 mila lire a quintale l'invenduto. Ma deve avere caratteristiche di qualità che il raccolto di quest'anno non assicura. C'è poco da fare: i risicoltori sono in un angolo. Oletto, che è presidente dell'Unione agricoltori di Vercelli, ci spiega che la pressione delle industrie è ossessiva («Volteggiano avvoltoi sulle risaie») ed esorta i produttori a «non svendere». Mica facile. Si tratta al ribasso. Si porta a casa quel che viene. L'acqua in risaia è sempre più giù, anche la terra vale sempre di meno: 6 milioni e passa per ettaro fino al '60; 5 milioni e mezzo tra l'80 e il '90; 4 mi- «F rimsolper iMade lioni e 200 mila oggi. Ci dice Carlo Bodo, produttore di Villarboit: «Chi ha investito in terreni vent'anni fa, ha una perdita secca del doppio il capitale investito». Senza «prospettive di guadagno» il mondo del riso boccheggia. «Se va bene, quest'anno si va in pari», dice Bodo. E Oletti: «Molte aziende rischiano di chiudere». E' un mondo che si trasforma, sconta gli anni grassi e una trasformazione incompiuta. Le leggende delle mondine sono morte e sepolte da quarant'anni. Solo qualche amatore affonda i gambali nella risaia chinandosi alla ricerca delle piantine di riso «erodo», selvatico, da estirpare ad una ad una. C'è chi, come Giuseppe Oppezzo, si fa aiutare da lavoranti extracomu- La Borsa del nitari: «Dei nostri, nessuno o nessuna lo fa più. Loro si prestano, sono bravi e non hanno paura delle zanzare». Ma sono casi rari. «Scomparse le mondine, sono fiorite le mondane sulle strade delle risaie», ridacchia Bodo. Nella cascina di Oletti dove vivevano e lavoravano cento persone, adesso l'azienda la portano avanti in due: lui e suo cognato, più due pensionati, di tanto in tanto, a giornate, quando c'è bisogno. Il Risicoltore ha fatto il conto del «portentoso incremento» della produttività del lavoro umano: fino al '50 ogni ora/lavoro produceva 3-4 chilogrammi di risone; oggi 150-200. Le macchine e gli erbicidi fanno il resto. Anche un'azienda di cento ettari può essere condotta da una sola persona. I risajoe, figli e nipoti di risaioli, si sono diplomati, laureati ed evoluti, ma non costituiscono un blocco sociale compatto: la crisi li sballotta, l'industria li schiaccia. Come mai sono calati tanto i prezzi del riso alla produzione e sono rimasti uguali, o cresciuti, i prezzi del riso per i consumatori? Oletti dice che bisogna organizzarsi. La sua associazione offre prefinanziamenti a chi resiste alla svendita. Ma il il ciclo è infernale. A san Martino, ( 11 novembre, scadenza contadina) si pagano gli affitti dei campi. Adesso si raccoglie e bisogna subito dopo cominciare ad arare. Poi si deve comprare il seme. In primavera si deve seminare; per tutta l'estate lavorare. In autunno si raccoglie e se non si riesce a vendere, i soldi di Bruxelles arriveranno soltanto nel maggiogiugno dell'anno dopo. E intanto? Il cuore del ciclone è Vercelli, 4 milioni e mezzo di quintali prodotti nel '97 sui 14 italiani e sui 27 europei. Qui si sono riverberati tutti gli accidenti del mondo: i 3-4 milioni di quintali arrivati in Europa dai «territori d'oltremare» (Guyana, Suriname, etc) e commercializzati come «europei» (ma in realtà americani, Arkansas e California) e come tali sgravati di dazi. Si sta arrivando a tappe al traguardo di abbassamento del prezzo in consenguenza degli accordi «Gatt» dettati dall'imperia lismo agricolo Usa sulla prospettiva di un'omogeneizzazione globalista che dovrebbe teoricamente limare gli inciampi alla concorrenza e invece livella la qualità. Il «nostro» riso (qualità tondajaponica) non è mica quello americano o thailandese (qualità lunga, indica) che va bene per fast-food, insalate e contorni. «La verità - dice con una battuta Enrico Sacco, segretario dell'Associazione risicoltori - è che per continuare a stare sul mercato internazionale dovremmo esportare la cultura del risotto e del gusto». Nell'assordante silenzio contadino dei risaioli che, ciascuno nella sua cascina, scaldano i motori di mietitrebbiatrici che costano 400 milioni e che lavorano appena 20 giorni all'anno, la guerra del riso sta spargendo veleni che hanno la tossicità da cambio d'epoca. Mesta e grigia nella sua architettura fascista, la Borsa risi di Vercelli appariva ieri il riflesso di un mondo disorientato. E' il ring dove i mediatori (per conto dei risajoe) si scontrano con gli acquirenti (gli industriali). Un match che è un impasto di sguardi e di annusamenti, scontro di parole e di sensi. Dalle borse dei sensali spuntano i pacchettini con i campioni di riso; tra le dita dei compratori rotolano chicchi di «risone». E in uno scambio di smorfie si combina. Ha commentato il tecnico: «Seduta grigia». Il vecchio Limberti, da cinquant'anni «sensale» di riso, col Tuttosport infilato nella tasca della giacca e disincanto piemontardo, l'ha presa con filosofia: «Siamo sopravvissuti alla crisi della guerra di Corea, passeremo anche questa...». Forse. Cesare Martinetti REPORTAG LA CAPO RETTO NEI CAMPI «F rimasto uguale soltanto il costo per i consumatori Molte aziende adesso rischiano di chiudere» «Per rimanere sui mercati mondiali dovremmo esportare la nostra cultura del risotto e del gusto» 1930 79.449 1935 109.847 1941 • *9X"t7 1946 125.465 1948 161.906 1954 139.546 1963 99.385 1966' 107808 1930 79.449 1935 109.847 1941 • *9X"t7 1946 125.465 1948 161.906 1954 139.546 1963 99.385 1966' 107.808 1973 115.524 1977 128.014 1978 141.052 1980 98.256 1981 110.203 1982 112.503 1983 92.305 1984 103.540 1985 96.936 1986 85.700 1987 81.178 1988 83.960 1989 83.853 1990 67.886 1991 62.427 1992 61.627 1993 78.240 1994 76.058 1995 83.609 1996 77.315 1997 60.000 1998 53.000 FONTE: IL RISICOLTORE «mdl La Borsa del riso di Vercelli