La politica in grande del Presidente dimezzato di Igor Man

La politica in grande del Presidente dimezzato ANALHS1 La politica in grande del Presidente dimezzato NO, Clinton non ha fatto ammaina convocando Arafat e Netanyahu. Ha finalmente fatto politica. Non più pitting bensì politica: forte, intelligente. E' riuscito a impedire che Arafat, frustrato, indignato, proclamasse all'Onu la sua intenzione di annunciare (unilateralmente) la nascita dello Stato palestinese il 4 di maggio (quando scadono gli accordi di Oslo), e questo è già un grosso successo poiché la reazione israeliana avrebbe spazzato via, forse per (almeno) i prossimi dieci anni, ogni speranza di salvare il cosiddetto processo negoziale. Ha fatto di più il giovine, chiacchierato Clinton: ha convinto Arafat a sacrificare, «sull'altare della pace», ogni e più che giustificata remora, e così è successo che il vecchio Abu Ammar, da grande animale politico qual è, abbia ingoiato quella pillola «amara» (per lui) e «ributtante» (per Netanyahu) eh e il compromesso americano. Dopo lo sgombero (rinegoziato) di 4 quinti di Hebron, Netanyahu decise di ignorare le pressioni americane e le rivendicazioni palestinesi stabilendo di sgomberare, nella prima tappa fissata a Oslo, soltanto il 7% della Palestina occupata. Iniziando, contestualmente, la costruzione di Har Homa al fine di impedire ogni possibilità di comunicazione tra Gerusalemme e la Cisgiordania. Fingendo di ignorare la forsennata corsa agli insediamenti destinati a quei neosquadristi che sono i cosiddetti «coloni» (longa manta della destra integralista, madre funesta dell'assassino di Rabin), gli Usa avanzano il compromesso fino a ieri respinto dagli israeliani, dai palestinesi: ritiro dal 13% dei territori (solo come «misura provvisoria», si lascia intendere ad Arafat), in cambio dell'impegno, da parte dell'Olp, di garantire la sicurezza degli israeliani. Alle scontate perplessità di Arafat, alle sue accorate richieste di rispettare gli accordi di Oslo, alle denunce palestinesi in sede internazionale del deliberato sabotaggio del «processo di pace», Netanyahu, sordo persino ai richiami dei suoi amici migliori, schiaccia l'acceleratore lanciando la macchina del rifiuto a folle velocità. «Bibi» non pensa certo di finire fuori strada, al contrario è convinto che di rifiuto in rifiuto, I di fatto compiuto in fatto comI piuto, Arafat alla fine scompaia: Yasser Arafat se non fisicamente se non altro politicamente. Allora «Bibi» avrebbe buon giuoco nel dire alt ad ogni e qualsiasi trattativa: paradossalmente per la mancanza di un «interlocutore valido». Vale a dire Arafat. Ma codesto piano che i palestinesi definiscono «diabolico» sembra essere andato in pezzi: grazie a una rincuorante opera di persuasione, esercitata da un Clinton di nuovo statista Arafat ha accettato lo sgombero del 13%, s'è calata la famosa «riserva naturale» del 3%, destinata a far da tampone di sicurezza per i «coloni». Si dirà che avendo bruciato alle spalle i suoi poveri vascelli, altro non rimaneva ad Arafat che prendere «poco ma subito», secondo l'antico detto: bukra (domani) vedremo. Ma quel che conta è il risultato. Questa nota rimarrebbe incompleta se non dicessimo che la vittoria politica di Clinton, invero incoraggiante, porta anche la firma della signora Albright che potrebbe aver intinto la sua acuminata penna nel calamaio di Primakov. Il neo-premier russo è sempre stato convinto che la grande battaglia della cosiddetta «pace per tutti» la si combatte, e bisogna vincerla, là dove batte il cuore del mondo: in Palestina. Quanto è (inopinatamente) accaduto nelle ultime ore non può non rallegrarci anche se la prudenza è d'obbligo. Se è vero che «Bibi» nel suo dichiarato odio verso gli arabi (si veda la tensione in atto con gli arabi-israeliani) farà di tutto per ostacolare la ripresa del negoziato, è anche vero come il suo margine di manovra sia molto ristretto e ce il rischio che nella sua folle corsa al rifiuto finisca col rimanere prigioniero degli integralisti, di quei partiti religiosi per i quali chiunque ceda un lembo della «terra promessa» è un rinnegato, e come tale passibile di morte. (Alla pari di Rabin, per intenderci). Purtroppo, il polline dell'odio sparso a piene mani è diventato una pianta robusta, non facile da svellere. Clinton ha riproposto gli Usa come arbitri degli equilibri che sembravano perduti. Tuttavia ha vinto solo una battaglia. Lo attende una guerra difficile e per vincerla avrà bisogno di un po' tutti, anche della Russia di Primakov. I tempi cambiano, le situazioni mutano ma la Storia somiglia sempre di più a se stessa. Igor Man Yasser Arafat

Luoghi citati: Cisgiordania, Gerusalemme, Oslo, Palestina, Russia, Usa