Il giorno dell'amarezza

Il giorno dell'amarezza La procura sceglie il silenzio. Davigo: non è il momento dei ricordi a Il giorno dell'amarezza CI sono tanti episodi: momenti di tensione, momenti felici. La cena a casa di Colombo con Di Pietro? No, quella l'ho rimossa. La differenza con il giorno delle dimissioni di Antonio? Ricordo che allora Saverio era furibondo, oggi invece era commosso». A Francesco Greco, uno dei magistrati del pool Mani pulite che ha lavorato più a lungo con Borrelli, tra tanti episodi, più o meno gradevoli, ritorna subito in mente quel passaggio delicato per la vita del pool con il suo pm simbolo, Antonio Di Pietro, che annuncia di voler abbandonare la toga. E, richiamato da Borrelli nel suo ufficio, occupa per lunghi minuti la poltrona del procuratore capo per parlare - via batteria del Viminale - con il Presidente della Repubblica Scalfaro impegnato nell'ultimo, inutile tentativo di dissuaderlo dal clamoroso gesto. Altri tempi, altro stile, altre emozioni. A quattro anni di distanza la decisione di Borrelli di lasciare quella poltrona e presentare la domanda per il posto di procuratore generale è stata accolta dai magistrati del pool con evidente dolore ma anche con il distacco di chi era preparato da giorni all'eventualità e ora si preoccupa soprattutto per il proprio futuro e quindi anche per come il gesto di Borrelli verrà interpretato fuori dal palazzo di Giustizia. «Una previsione? Saremo travolti da reazioni di due tipi: c'è chi dirà che il pool è finito e chi ci sommergerà di melassa», sostiene uno dei pm più attivi negli ultimi giorni nel tentativo di scongiurare l'addio del suo capo e che oggi, deluso dalla sua scelta, non vuole commentarla. In questo clima (non tutti i sostituti hanno applaudito Borrelli) pochi hanno voglia di aprire l'album dei ricordi. Sarebbe come ammettere, alla vigilia di processi delicatissimi come quello sulla sospetta corruzione dei giudici romani, che un capitolo della propria vita professio¬ nale è ormai alle spalle. Spiega Greco: «Borrelli ha sempre detto che come capo non poteva fare lui le indagini ma che ci avrebbe sostenuto e aiutato sempre». Lo ha fatto anche quando non condivideva le scelte dei suoi pm. Così Gherardo Colombo rimanda al racconto, nel suo libro «Il vizio della memoria», dell'appello anti-decroto Biondi: un Borrelli spiazzato che «si secca un pochino» ma non fa una sola mossa per bloccare Di Pietro e gli altri. Tutto finito. E ora? La parola d'ordine sembra essere: silenzio e fare quadrato sulla candidatura D'Ambrosio. Tace Ilda Boccassini che Borrelli aveva richiamato a Milano dalla Sicilia e convinto a ritirare la domanda per la procura nazionale antimafia per affidarle l'inchiesta nata dalle dichiarazioni di Stefania Ariosto. Mentre Piercamillo Davigo, com'è nel suo carattere taglia corto: «Non è il momento dei ricordi», e puntualizza con pignoleria: «Comunque ci vor¬ ranno mesi prima della conclusione dell'iter e prima che Borrelli lasci il posto». In questo clima, con una decisione maturata da Borrelli nell'estate e non concordata come in passato con i suoi sostituti c'è chi, attraverso un ricordo, rivendica di fatto non solo la sua parte da protagonista ma anche una stagione che ormai molti e da diverse e inaspettate sponde vogliono archiviare. Gerardo D'Ambrosio, da 9 anni aggiunto di Borrelli e coordinatore del pool, ricorda che nel marzo del '92, Nerio Diodà e Roberto Fanari, i due avvocati del socialista Mario Chiesa, incontrarono i vertici della procura dicendosi pronti a patteggiare: l'inchiesta Mani pulite sarebbe finita lì. «Decidemmo di rifiutare», ricorda D'Ambrosio, «non c'interessava tanto quell'episodio ma tutto quello che c'era dietro Chiesa, insomma Tangentopoli». Chiara Boria di Argentine

Luoghi citati: Argentine, Milano, Sicilia