L'arresto riaccende le speranze dell'uomo in cella per l'omicidio

L'arresto riaccende le speranze dell'uomo in cella per l'omicidio L'arresto riaccende le speranze dell'uomo in cella per l'omicidio LA DIFESA DAL CARCERE SROMA 1MEONE era già morto, e gli inquirenti stavano tentando di capire come e perché. Il pm Pietro Saviotti stava interrogando C, la sorella quattordicenne del bambino ucciso. «Ma papà - chiese a un tratto il magistrato - voleva bene a voi ragazzi? Ouando tuo fratello non si trovava, era preoccupato?». Con l'aria un po' stupita per la domanda, C. rispose: «Papà? Ma quella sera lui dormiva, non s'è preoccupato proprio di niente». Cercare un verbale di interrogatorio di Franco Nardacci nel voluminoso fascicolo giudiziario sull'omicidio del figlio Simeone è una fatica inutile. Non c'è. Né il magistrato ne i poliziotti hanno ritenuto necessario ascoltare il papà di Simeone. Hanno sentito la madre, le sorelle e il fidanzato di una di loro - più e più volte - su quanto accadde quella sera di luglio, ma Franco no. E' una persona con problemi di mente, un «ex 180» come vengono chiamati in gergo quelli che sarebbero passati dal manicomio se la legge 180 non lo avesse chiusi. A che serviva interrogare uno così, che secondo C. non s'era accorto di nulla? Forse bastano questi due dettagli per comprendere il clima in cui e cresciuto Simone e nel quale è piombata la sua morte. Una situazione di degrado e anormalità accettata con rassegnazione da chi è costretto a subirla perché c'è nato dentro, e accettata perfino dalla giustizia penale che ritiene una perdita di tempo interrogare un «ex 180». Al giudice C. non disse niente sulle violenze di suo padre, così come tacque R. l'altra figlia ora maggiorenne che due mesi dopo ha deciso di parlare, spedendo in galera il signor Franco. Cambierà, questo colpo di scena, il destino dell'inchiesta sulla morte di Simeone che stava filando liscia verso una corte d'assise? Lì ci sono due indagati per omicidio, Vincenzo e Claudio F., padre e figlio, il primo accusato dal secondo, con Vincenzo che continua a proclamarsi innocente e Claudio che invece ha confessato. In più c'è Danilo, il figlio undicenne che ha sollevato il velo. Alla procura di Roma sono convinti che i nuovi orrori scoperti in casa Nardacci non spostino di una virgola quanto acclarato finora sulla morte di Simeone: «L'inchiesta è solida, ci sono le confessioni, bisogna attendere i risultati di alcune perizie e poi ci sarà la richiesta di rinvio a giudizio». Eppure dalla sua cella d'isolamento a Regina Coeli, dove in due mesi non ha ricevuto nemmeno la visita di un familiare, Vincenzo F. ripete che lui non ha ammazzato Simeone: «Io non so nemmeno do¬ ve sta la baracca dove l'hanno trovato - ripete al suo avvocato ad ogni incontro -. Non riesco a capire perché mio figlio Claudio mi accusi. Lui ha dei problemi, sembra che gli piacciono gli uomini, io ero proeccupato e ne parlavo con mia moglie. E Danilo deve dire la verità, a lui ho sempre voluto bene». Saputo dell'arresto di Franco Nardacci, l'avvocato Pasquale Longo, difensore di Vincenzo, annuncia: «Per noi è molto importante, si possono riaprire molti giochi. I fatti che ha ricostruito l'accusa non sono per nulla chiari, ci sono indizi nebulosi e molti elementi che non combaciano. Le stesse dichiarazioni accusatorie di Claudio e Danilo sono cambiate nel tempo». Il legale chiederà un confronto tra Vincenzo e Claudio, ma intanto il tribunale della libertà ha stabilito che il suo cliente deve restare in galera. «Il nuovo arresto potrebbe far emergere un'altra verità sull'omicidio di Simeone», insiste l'avvocato Longo, e a pensarla così è anche un'altra «parte» del processo: il criminologo Francesco Bruno, incaricato dalla difesa di Claudio F. di redigere una perizia sullo stato di salute mentale dell'uomo che, come ha confessato lui stesso, areggeva Simeone mentre suo padre lo picchiava a morte. «Nell'inchiesta non tutto è chiaro, se fossi un giudice oggi avrei dei dubbi a condannare gli imputati», dice Bruno, secondo il quale «le responsabilità di Claudio sono comunque ridotte dal suo stato mentale; la sua attendibilità non è certo elevatissima, così non lo è quella di un bambino di 11 anni come Danilo». Dopodiché, il professor Bruno sostiene che l'arresto del padre di Simeone dimostra una sua antica teoria: «Spesso le famiglie delle vittime della pedofilia non sono totalmente innocenti. Perché i bambini sono abbandonati a loro stessi, e i genitori non si accorgono nemmeno di quello che accade ai figli; quando poi si rendono conto di qualcosa tendono a coprire. Inoltre molte volte nelle stesse famiglie si verificano relazioni che se non incestuose sono quanto meno promiscue». Questa miscela, secondo Bruno, è destinata ad esplodere se ci si aggiunge un po' di alcol, com'è accaduto per l'omicidio di Simeone: «Un omicidio casuale, un "incidente di percorso", dove gli stessi carnefici sono comunque vittime del degrado in cui vivono. La cosa più spaventosa dimostrata dall'arresto del papà del bambino è che esistono interi agglomerati urbani in cui certi comportamenti sono quotidiani. E tutto rimane sotto la cenere dell'omertà, finché non scoppia una tragedia». Giovanni Bianconi Il difensore: i giochi adesso si riaprono Ma i pm: per noi l'accusa è solida II criminologo Bruno «Fossi il giudice avrei dei dubbi oggi sugli imputati» Una scena del delitto del luglio scorso: il cadavere del piccolo Simeone viene portato via dal luogo in cui è stato assassinato

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