Appello del pool a Borrelli: non andartene
Appello del pool a Borrelli: non andartene Milano, il procuratore capo deciderà domani sull'eventuale trasferimento alla Procura generale Appello del pool a Borrelli: non andartene D'Ambrosio: se mi segano anche stavolta, potrei abbandonare MILANO. «Cosa mi trattiene? Beh, 15 anni passati qui e l'affetto che porto a questo ufficio possono essere un buon motivo per ascoltare le ragioni del cuore e rimanere ancora un po'». Scherza e da buon napoletano fa appello ai sentimenti il procuratore Francesco Saverio Borrelli. Ma dietro l'inusuale vena romantica, si muovono ben altre ragioni che gli impediscono di prendere una decisione, ormai imminente, circa il suo trasferimento alla procura generale. Prima tra tutte la tempesta che potrebbe travolgere la nave di Mani Pulite, giunta ormai in vista delle acque agitate dei processi per le tangenti sulle Ferrovie (Pacini, Necci, il mondo delle coop) e per la corruzione dei giudici della capitale (Berlusconi, Previti, la Sme, Mondadori). Ed è per questo che ieri mattina il pool, ovvero Ilda Boccassini, Gherardo Colombo, Francesco Greco, Paolo lelo, per la prima volta dopo qualche mese, si è presentato compatto nel suo ufficio per discutere il problema, figurare scenari e convincere il capo a rimanere. Senza Borrelli, non se lo nasconde nessuno, verrebbe a mancare uno «scudo politico», un pimto di riferimento importante, soprattutto adesso che è diventato chiaro come Gerardo D'Ambrosio, il suo vice, l'unico in grado di rappresentare la continuità con la gestione Borrelli, avrebbe ben poche possibi¬ lità di succedergli, battuto sul filo di un anno di anzianità dal procuratore della Circondariale, Giovanni Caizzi: ottima persona ma stile decisamente diverso. E in ogni caso a digiuno dei meccanismi e degli equilibri sottili che governano da quasi un decennio la procura milanese. Uno scompaginamento delle carte, anche soltanto a livello organizzativo, che potrebbe nuocere al futuro delle inchieste e dei processi di Mani Pulite. E poi, dice lo stesso D'Ambrosio, «a livello politico credo che sarebbero in pochi ad accettare questa doppietta: io procuratore e Borrelli procuratore generale... Non è un mistero: è la stessa sinistra che non mi vuole. Non la base, che immagino mi voglia bene, ma i vertici. Comunque, se mi segano anche stavolta, mi sa che me ne vado». I moduli prestampati, con la richiesta al Csm per il trasferimento a procuratore generale di Borrelli e a procuratore della Repubblica di D'Ambrosio, sono lì, sulle rispettive scrivanie che attendono una firma, un tratto veloce d'inchiostro con il quale cambiare per sempre gli equilibri della procura più temuta d'Italia. Mancano ormai soltanto 48 ore allo scadere del termine utile per la presentazione delle domande, l'una conseguente all'altra. Ma Borrelli, cui spetta la prima mossa, temporeggia. «No, ancora non ho firmato - dice alle cinque del pomeriggio -. Sono indeciso, lo confesso. E poi, quando deciderò, non lo verrete certo a sapere da me...». Sorride: «Sono tranquillo». E agita le mani in segno di diniego. Ma a tanta serenità esteriore non corrisponde certo lo stato d'animo di questi giorni, combattuto tra rimanere nella procura che ha dato vita a Mani Pulite oppure andarsene, traslocando soltanto di un piano che però sembra distante anni luce. Che fa dottore, sceglie una poltrona più comoda o rimane in trincea? «Che tormentone! Non vado mica in pensione. E poi chi lo dice che fare il procuratore generale è un mestiere così comodo? Si possono fare ancora tantissime cose». Paolo Colonnello li procuratore della Repubblica di Milano Francesco Saverio Borrelli
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