Ridurre le tasse va bene ma attenti allo sviluppo di Alfredo Recanatesi

Ridurre le tasse va bene ma attenti allo sviluppo OLTRE LA LIRA Ridurre le tasse va bene ma attenti allo sviluppo NA trentina di economisti di varia scuola che a fine settimana si sono incontrati in un seminario organizzato dal Ceis e dalla Q8-Italia hanno convenuto sulla opportunità di ridurre la pressione fiscale - in primo luogo quella sulle imprese - al fine di sostenere sviluppo e occupazione. La tesi non sorprende; anzi almeno in questa ultrasintetica forma, era addirittura scontata. Soprattutto in seguito ai più recenti rovesci delle prospettive economiche mondiali, sviluppo e occupazione hanno assunto la dimensione di una sempre più pressante emergenza economica e sociale. In quanto un alleggerimento della tassazione sulle imprese accresce la redditività dell'investimento che in esse è stato fatto e riduce i loro costi, la direzione dell'effetto che può produrre è evidente, almeno nel breve periodo sul quale l'emergenza che abbiamo detto spinge a concentrare l'attenzione. In un'ottica di lungo periodo, però, la questione si pone in termini diversi, forse addirittura antitetici. Anche se il livello medio di profittabilità delle imprese risulta ancora buono, un'area del sistema produttivo che soffre esiste, ed è destinata ad ampliarsi con l'inasprimento della concorrenza conseguente alla crisi che ha colpito tanta parte dell'economia mondiale. Anche prescindendo da questi aspetti più recenti e specifici, la sofferenza della competitività delle imprese può essere almeno in parte collegata alla maturazione del periodo intercorso dall'ultima svalutazione della lire (1992-93), ossia del tempo che sistemi economici più arretrati - e perciò in grado di conseguire incrementi di produttività più consistenti - impiegano per rag giungere e incalzare larga parte della produzione italiana. Si av vicinano, insomma, le condizio ni nelle quali, per ridare slancio alla competjJ^^dLmolte no• stre imprese; sarebbe necessa ria una svalutazione. Questa possibilità, però, i preclusa, non solo perché la mutazione della lira in euro ì cosa ormai sostanzialmente fat ta, per cui di fatto una moneta da svalutare non esiste più. E' preclusa anche dall'affermazio ne, almeno per gli aspetti mone tari e finanziari, di una cultura della stabilità che rifiuterebbe comunque una svalutazione co me soluzione di un qualsivoglia problema. E tuttavia, se questo è chiaro ed assodato quando si parla di moneta e di finanza, lo è assai meno per ogni altro aspetto che concerna la compe titività delle imprese, ivi com preso l'aspetto fiscale. Una ri duzione della fiscalità che abbia lo scopo di accrescere la compe titività delle imprese produce se lo produce, un effetto non molto dissimile da quello deter minato da una svalutazione Come tale, a parità di ogni altra condizione, sarebbe destinato ad essere riassorbito in tempi 1 relativamente brevi, così come I è sempre stato riassorbito l'ef¬ fetto, pur positivo in un primo momento, delle svalutazioni della lira. Il danno più sostanziale, strutturale, che il lungo tempo dell'instabilità monetaria e valutaria hanno determinato è stato quello di spingere il sistema produttivo a fare i propri calcoli di convenienza su situazioni contingenti e per lo più inaffidabili: quindi piccola dimensione perché più manovriera, innovazione di processo piuttosto che di prodotto, competitività di prezzo piuttosto che di qualità, scarsi investimenti in ricerca, scarsa presenza nei settori ad alta tecnologia. Le eccezioni sono molte, s'intende, ma il grosso del nostro sistema ha queste caratteristiche. E allora, che questo sistema ora soffra non può sorprendere: le sue produzioni si confrontano con quelle del Sud Est asiatico o dell'Est europeo per cui, se si esclude il cambio, l'aggiustamento non può che avvenire sui costi. I costi finanziari si sono già ridotti, sul costo del lavoro più di quel che si è già ottenuto anche riducendo l'occupazione è difficile ottenere, ora quindi si arriva alla fiscalità. Ma una boccata di competitività che venisse dalla riduzione dell'imposizione tonificherebbe il sistema di imprese strutturato ed orientato «alla vecchia maniera», ma ritarderebbe il suo riposizionamento in funzione del nuovo contesto operativo dominato dall'integrazione monetaria. Senza questo riposizionamerit'ó, la sofferenza continuerà ad essere ricorrente per l'ovvio motivo che non è possibile competere con le produzioni dei Paesi emergenti stando in Europa, con i costi e la fiscalità propri dell'Europa. Molte imprese lo hanno già compiuto, ed infatti non soffrono (o soffrono per altri motivi). Occorre stimolare tutte le altre a seguire la stessa strada. Ciò considerato, se si concludesse che la fiscalità non debba essere ridotta sarebbe sadismo economico. L'esigenza di riduzioni è data da confronti con il resto d'Europa, e dalle emergenze dette all'inizio. Ma senza trascurare che lo scopo finale è un sistema produttivo che più dell'attuale abbia forza e fiato per assicurare sviluppo e occupazione, e che un sistema siffatto può essere indotto anche per via fiscale se, ad esempio, verranno favorite le concentrazioni, la ricerca, le attività ad elevato valore aggiunto; in definitiva, tutto quanto si confronta con Germania e Francia anziché con l'Albania o l'India. Alfredo Recanatesi BsJ

Luoghi citati: Albania, Europa, Francia, Germania, India, Italia