« Il mio asso nella manica? Lavorare ancora a 90 anni»

« Il mio asso nella manica? Lavorare ancora a 90 anni» Il Nobel Levi Montalcini: odio le vacanze, lo studio è la mia vera vocazione « Il mio asso nella manica? Lavorare ancora a 90 anni» LA signora Rita Levi Montalcini indossa mi tailleur blu scuro ancora estivo, pochi gioielli tra cui un braccialetto d'oro antico. Professoressa, qual è il segreto per arrivare a 90 anni così vivaci? «Un totale disinteresse alla mia persona, e un forte interesse scientifico e sociale». Lei non è assolutamente vanitosa, eppure è sempre così elegante. «Ammetto di essere sempre stata attenta ai mei abiti, ma non ho mai fatto nulla per evitare le rughe o per nascondere gli anni usando dei maquillages. Inoltre, godo di ottima salute, anche se ho perso la vista da un occhio». E come vive? «Lavoro da mattina a sera. Un tempo mi alzavo alle 4 o alle 5, ora un po' più tardi. A causa dei problemi di vista, invece di scrivere, registro. Non leggo quasi più e non guardo la televisione. Ma mi sembra una fortuna avere un buco negli occhi e non nel cervello. Mi occupo molto della mia fondazione». Che scopi ha la fondazione? «Ho fondato vari centri di consultazione per i giovani in luoghi poco centrali come Pinerolo, Rovigo, Scandiano, Abano Terme, Catanzaro... Ci si dedica ai ragazzi per indirizzarli verso un futuro. Sono orgogliosa di aver aiutato 4000 ragazzi fino a oggi. Recentemente abbiamo dato cinque borse di studio per 120 milioni. Di solito quello che guadagno con le conferenze lo dò alla mia fondazione». Lei fa molte conferenze? «Moltissime. Quattro o cinque al mese in Italia e anche in giro per il mondo. Sono appena stata a Stoc colma e a Bruxelles». Perché lavora tanto? «Per me non esiste il divertimento. Era la mia vocazione. Avevo deciso fin da piccola di non sposarmi. Già a 3 anni non volevo né sposarmi né avere figli. Trovavo umiliante esse re nata donna. Non avrei mai potu to sottostare al dominio maschile Non conoscevo la scienza ma volevo andare in Africa con il dottor Schweitzer. Ho studiato medicina a Torino con il professor Giuseppe Levi e mi sono specializzata in psi chiatria». Cosa le è successo nel '38 con le leggi razziali? «mì chiedevo come potevo portare avanti la ricerca. Avrei voluto andare in America ma non potevo separarmi dalla mia famiglia, così sono andata per un anno da mia sorella a Bruxelles, poi in Danimarca. Nel '40 tornai a Torino. Non potevo frequentare l'università e così feci il laboratorio in camera da letto. Poi quando siamo sfollati in campagna le mie ricerche le facevo in cucina. Ho fatto molte scoperte in cucina». E com'era la vita a Torino prima della guerra? «A partire dal '39 si cominciarono a leggere oscenità sui giornali a proposito degli ebrei. Chi era filosemita diventò antisemita, per poi ridiventare filosemita dopo la guerra». Quando andò in America? «Nell'ultimo anno della guerra andai a Firenze sotto falso nome con i miei. Ero legata al partito d'azione ma non potevo certo fare atti eroici. Dovevo stare con mia madre. Diventai poi medico con gli alleati per i profughi della Linea Gotica. Poi, l'America». Quanti anni ha vissuto là? «Dal '47 al 77, ma a partire dal '63 cominciai a fare anche la sponda con Roma». Le manca l'America? «No. Sono grata all'America ma non mi appartiene per l'affannosa ricerca di successo economico. Mi sembra una civiltà malata di successo materiale. Là manca il piacere di vi- vere che abbiamo in Italia. In America si lavora bene e si vive male; qui si vive bene e si lavora male». Cosa la lega all'Italia? «E' un Paese simpatico. Mi piace l'ambiente, il clima e il rapporto che si ha con i giovani. Alla mia età in Italia parlo a volte a più di mille giovani riuniti in una sala. Non ere do che in America succederebbe lo stesso. Qui sento un forte senso di appartenenza». Lei torna ogni tanto a Torino? «Due o tre volte all'anno perché ho ancora una sorella e dei nipoti». Aveva molti amici a Torino? «Molti, ma sono morti. Avevo come compagni di scuola Dulbecco e Luria. Poi attraverso mia sorella Paola frequentavo Casorati, Vittorio Foà, Franco Antonicelli, Giorgina Lattes». La cosa più importante per lei è il lavoro? «Non è proprio così vero. La cosa importante per me è l'aiuto al prossimo, l'aiuto nella vita». Non va mai in vacanza? «No, ho odiato le vacanze da quando sono nata». E quando non lavora cosa fa? «Lavoro. Sapevo cucinare bene, anche se non mi piaceva molto. Ricordo che in America stavo con molti fisici ebrei russi e facevo loro una cucina piemontese che in realtà era totalmente inventata». Lei non ha mai rimpianto di non essersi sposata? «No, non ho mai cambiato idea». Non si è mai sentita sola? «No, perché ascoltavo molta musica, leggevo, studiavo. Ho sempre amato la solitudine». Però è legata alla sua famiglia. «Sì, quasi in modo protettivo so¬ prattutto verso le mio due sorelle». E quanti libri ha scritto? «Cinque, più uno in preparazione». Lei è religiosa? «No, sono laica ma credo nei valori, un po' come Spinoza». Si sente ebrea? «Sono diventata ebrea con le leggi razziali. Come diceva Primo Levi "ebreo di complemento". Da ragazza dicevo sempre "sono una libera pensatrice". Ma a dire la verità penso che le religioni abbiano fatto molto male». Come le sembra il mondo oggi? «Siamo sotto un'infinità di pericoli, però non mi piace essere pessimista. Io non sono mia persona catastrofica, penso che i pericoli vadano affrontati con serenità». Quali pericoli vede? «Il degrado, sempre più gente che muore di fame, odii razziali, e forme di ritorno all'isterismo collettivo, con gente che crede agli spiriti del male. Insomma, un ritorno inedioevale di credenze in cose assurde». E la medicina? «Sta bene sotto certi aspetti, male sotto altri. Non si è trovata soluzione per il cancro o per la sclerosi multipla, però oggi si vive meglio». La medicina va avanti? «Sì, e non si ferma. Purtroppo ci sono pericoli da combattere come la clonazione, che ha portato alla forma delirante della famosa Dolly. Non si può proibire, però si può rendere più difficile». Ma cosa succederà? «Alla clonazione umana spero non si arrivi mai, sarebbe terrificante. Gli uteri in affitto sono per me una cosa ripugnante». Come trascorre la domenica? «Lavorando da mattina a sera. Per me la domenica non esiste». Le è mai successo di innamorarsi? «Forse una volta, ma è durato poco». Quale è la sua città, oggi? «Senz'altro Roma. Era la città dove volevo vivere. A Torino ho passato un'infanzia triste, avevo una pessima opinione di me e non sapevo bene a che cosa dedicarmi». Alain Elkann Ho deciso da piccola che non mi sarei sposata e non avrei mai avuto bambini $ nm» HML~J .1... I 1 o:..TPRINQ i 1 GlttdnonK,:JlAHAM..... \ Stufo dvrttì-. 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