«Rushdie non speri, morirà»
«Rushdie non speri, morirà» Il presidente Khatami non cede: «Dialoghiamo con l'Occidente», e nomina un progressista ambasciatore a Londra «Rushdie non speri, morirà» Islamici all'attacco in Iran e Pakistan TEHERAN. La stampa conservatrice iraniana è insorta ieri contro la decisione del governo di «ignorare» la fatwa, la condanna a morte lanciata nel 1989 dall'ayatollah Khomeini contro lo scrittore britannico Salman Rushdie. E nel vicino Pakistan tutte le organizzazioni sunnite radicali hanno colto la palla al balzo per attaccare l'Iran sciita, accusandolo di avere tradito l'Islam. Martedì scorso il presidente iraniano, il moderato Mohammad Khatami, aveva dichiarato «definitivamente chiuso» il caso Rushdie, e giovedì, in un incontro a New York con il collega britannico Robin Cook, il ministro degli Esteri Kamal Kharrazi aveva detto che il suo governo avrebbe «preso le distanze» dalla taglia posta sul capo dello scrittore. In quell'incontro i capi delle due diplomazie avevano concordato la ripresa delle relazioni diplomatiche e lo scambio di ambasciatori. Ieri Teheran ha annunciato che il portavoce del ministero degli Esteri Mahmud Mohammadi, uno dei più brillanti diplomatici del «nuovo corso» khatamista, assumerà entro pochi giorni le funzioni di ambasciatore a Londra. Ma nella capitale iraniana, dove gli integralisti non hanno mai accettato la schiacciante vittoria elettorale di Khatami (maggio 1997), i conservatori hanno chiamato a raccolta le proprie truppe. In prima fila il quotidiano «Jomhuri islami» (Repubblica islamica), organo della «Associazione dei mullah combattenti», secondo cui la taglia di due milioni e mezzo di dollari posta sul capo di Rushdie dalla potente Fondazione 15 aprile, «è stata approvata dall'Imam Khomeiny e nessuno può annullarla». Il giornale, sconfessando apertamente il presidente ed il ministro degli Esteri, afferma che «quando alcuni esponenti iraniani parlano di un mutamento di rotta, esprimono un punto di vista personale, non quello del sistema». E aggiunge minaccioso: «Quello che aspetta Rushdie è nient'altro che la morte, o una lenta agonia nel luogo dove si nasconde». In realtà, la fatwa lanciata da Khomeini è teologicamente e giuridicamente irrevocabile. Solo se il clero sciita riconoscesse un nuovo grande ayatollah come Marjah-e Taqlid, «fonte di emulazione», questi potrebbe reinterpretare la fatwa. Per questo, rispondendo alle brucianti accuse dei musulmani radicali in Pakistan, l'ambasciata iraniana ad Islamabad ha precisato che la condanna a morte non è stata revocata, ma che semplicemente il governo di Teheran si disinteressa alla sua attuazione, pur riconoscendo che ogni oltraggio arrecato all'islam è intollerabile. All'origine dell'anatema lanciato da Khomeini sono «I versetti satanici», l'opera che Rushdie pubblicò nel 1989 attirando su di sé l'accusa di blasfemia. Lo scrittore chiese pubblicamente scusa, ripudiando la sua opera, ma la Fondazione «15 Khordad» («15 aprile», pose comunque sul suo capo una taglia di due milioni di dollari, poi aumentata l'anno scorso a 2,5 milioni (circa 4,5 miliardi di lire). La Fondazione prende il nome dalla data della fallita insurrezione khomeinista del 1963 contro l'allora scià di Persia Reza Palliavi, ed è guidata dall'anziano ayatollah Hassan Sanei, membro del potente «Consiglio per la determinazione delle scelte», un organismo dominato dai conservatori che delinea gli orientamenti generali della «Repubblica islamica». Malgrado tutto il presidente Khatami, forte di un massiccio appoggio popolare, non sembra avere intenzione di recedere, ed anzi proprio ieri, in un articolo pubblicato dal quotidiano tedesco «Frankfurter Allgcmeine Zeitung», ha esortato il mondo islamico ad «aprire un dialogo con la civiltà e la cultura dell'Occidente», che rappresenta «una potente realtà dei nostri giorni». Khatami ha criticato «lo sfruttamento economico e politico dell'Occidente», ma ha auspicato «l'apertura dei cancelli della discussione», perché «nessuno può rivendicare di essere in possesso della verità assoluta». [f. sq.] Un sorridente Salman Rushdie durante la sua prima apparizione pubblica dopo la fatwa del 1989
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