PAURA DEL NUOVO di Barbara Spinelli

PAURA DEL NUOVO PAURA DEL NUOVO questa volta, il solitario destino di impotenza che fu riservato a Sclimidt da una socialdemocrazia ancora abbarbicata alla sua idea di Germania-provincia pedagogica: provincia animata da forti etiche della convinzione, e da smilze etiche della responsabilità nazionale, europea, o mondiale. Non è molto diversa infatti la situazione di oggi, se paragonata ai primi Anni Ottanta. Ecco ancora una volta la Germania chiamata a divenire nazione non solo responsabile ma strategicamente indispensabile, nel cuore del continente. Allora si trattava di rispondere alle minacce militari e psicologiche dell'Urss con una volontà inequivocabile di difendere nuclearmente le nazioni della Comunità europea: volontà che Schmidt impose di persona a un'America in¬ debolita dalla presidenza Carter, allergica alle funzioni di guida occidentale, tentata dalle ricorrenti sue introversioni. Già allora apparve chiaro che la Germania era un Paese in mutazione - non più afflitto dal duplice morbo di nanismo politico e gigantismo economico, diagnosticato dal cristiano-sociale Franz Joseph Strauss - e che un capitolo del dopoguerra europeo schiudeva, con il consenso di Giscard e poi di Mitterrand. Ma si chiudeva senza che il partito del cancelliere fosse preparato alla svolta decisiva, senza che fosse pronto a fare i conti con una nazione che smetteva di essere passiva marca di confine dell'Europa post-bellica: marca elvetizzata, installata in una sorta di neutralità, provvidenzialmente deresponsabilizzata grazie alle sue storiche colpe, e agli obblighi delle sue speciali espiazioni. Lasciato solo con le sue intuizioni, Schmidt dovette dunque passare la staffetta a Kohl, e il compito di fondare una nuova Germania cadde per intero sulle spalle di quest'ultimo, come in fondo la socialdemocrazia aveva voluto. Sicché fu Kohl a unificare le due nazioni tedesche, dopo la caduta del Muro nell'89. Fu Kohl a volere con tenacia l'Europa della moneta unica, edificata in modo tale che la Repubblica tedesca divenisse di fatto nazione egemone, ma senza più allarmare i popoli circostanti. Fu Kohl a mostrare la maturità di una classe politica che anche nel malessere sa darsi un grande compito, e superare difficili prove della storia: una classe politica senza paragoni, in Europa. Ed è su questa Germania profondamente trasformata dal leader democristiano che il futuro cancelliere dovrà edificare, quale che sia il risultato del voto. E' su questa Germania che esercita ormai un suo primato nell'Unione Europea, ma che è ancora tentata da retrattili immobilità economiche, sociali, sindacali. Che è ancora attratta dalla confortante quiete che promette lo statuto di provincia pedagogica. La cocciuta ostilità popolare all'Euro conferma l'esistenza di queste immobilità narcisiste, percepibili soprattutto nelle regioni dell'Est che due dittature successive - prima nazista, poi comunista - hanno diseducato al senso della libertà soggettiva, della responsabilità individuale, dell'emancipazione da collettivi familiari, partitici, statalisti. Questa Germania diseducata da 56 anni di dittatura ininterrotta, all'Est dell'Elba, non conosce oggi che l'urlo protestatario del minorenne politico, abituato a riversare sistematicamente sugli altri responsabilità che son sue. E' un urlo colmo di ressentiment, di domande di tutela, di paure del nuovo come dell'età adulta. Questa Germania post-nazista e post-comunista cercherà forse rifugio nei partiti specializzati in ressentiment - come il postcomunista Pds, o le nuove destre xenofobe della Dvu, e sarà lei a disegnare la Germania che gli europei avranno di fronte nei prossimi anni. Il che significa che non sarà agevole il compito del futuro cancelliere, qualunque esso sia. Non sarà semplice né per la democrazia cristiana né per la socialdemocrazia, e ambedue saranno costrette ad apprendere l'arte del governo nel preciso momento in cui l'Europa ha più che mai bisogno di una Germania forte e l'Occidente è più che mai privo di una guida americana sicura, proprio come negli ultimi anni di Schmidt. A quei tempi la socialdemocrazia non era pronta per la metamorfosi decisiva, e ancor oggi il mutamento mette paura. Mette paura congedarsi dalle abitudini al ressentiment, anche quando i classici comportamenti protestatari trasmigrano dal socialismo ai partiti d'estrema destra, o ai partiti neocomunisti. Mette paura cambiare discorso sulla crisi economica o la disoccupazione o gli esclusi, e parlare finalmente non più di crisi ma di mutazione durevole e profonda del lavoro che non è più fisso, del contratto fra generazioni che va rifondato, del contratto sociale che aspetta di essere reinventato. Fa una così grande paura che Schroeder è costretto a nominare un ministro ombra dell'Economia - Jost Stollmann, ex imprenditore che non ha rapporto alcuno con la socialdemocrazia e che può parlare in piena libertà senza tema di esser ingabbiato da apparati. Di questa maggiore libertà hanno bisogno tutti i politici in Germania, se vogliono imitare le resurrezioni di Kohl ed evitare a se stessi le mortificazioni, le paralisi, che Schmidt ebbe a subire al crepuscolo della sua carriera. Barbara Spinelli