Armando & Francesco Esplode il «fattore C» di Paolo Guzzanti

Armando & Francesco Esplode il «fattore C» FUORI DAL CORO Armando & Francesco Esplode il «fattore C» ERTO, il giorno in cui Cossiga e Cossutta dovessero trovarsi sui banchi della stessa maggioranza, l'effetto sarebbe curioso anche per via di quell'allitterazione fra i loro nomi. Ma non è difficile dimostrare come questo connubio fra due signori che rappresentano in chiave anche cavalleresca la memoria della guerra fredda, non si farà né oggi né mai. E tuttavia sulla sua ipotesi si gioca oggi la politica italiana, ovvero il futuro del primo governo cui partecipi l'ex Pei, detto pudicamente «di centro sinistra» come quelli di Fanfani e Moro con Saragat e Nenni, dileggiati da Togliatti. Il connubio non si farà perché entrambe le strade possibili sono in realtà vicoli ciechi. La prima ipotesi è che Cossutta riesca a portarsi via almeno 21 deputati da offrire a Prodi, quanti ne servono per far passare la Finanziaria e dare eventualmente la fiducia al governo. Se ci riesce, bene: l'ostacolo Bertinotti è per il momento superato, anche se a caro prezzo sia per Cossutta che per D'Alema, costretti ad abbandonare al subcomandante Fausto il florido Chiapas della sinistra che rifiuta il capitalismo liberale in qualsiasi pozione e proporzione. Se Cossutta non ce la fa a portare la ricca dote, e se alla fine mancasse anche un solo voto e se quel voto dovesse essere chiesto apertamente a Cossiga, si aprirebbe allora nella maggioranza un vaso di Pandora. Accadrebbe cioè esattamente quello che l'ex Presidente della Repubblica ha dichiarato di volere: il governo potrebbe superare infatti la Finanziaria, ma vedrebbe la sua maggioranza alla guerra civile perché tutti sanno che l'ex Presidente della Repubblica, ben lungi dall'essere la De rediviva (come si seguita a ripetere con pigrizia), rappresenta lo scardinamento della maggioranza di governo in cui stanno insieme, come l'olio e l'acqua, l'anima liberale e liberista con quella dei cattolici dossettiani e di molti ex comunisti. Cossiga insiste inoltre (lo disse a Telese tre settimane fa e lo ha ricordato ieri) nel volere lo scalpo delle trentacinque ore da levare in alto in segno di vittoria sul bertinottisrno. Ammesso e non concesso che una tale maggioranza di governo reggesse per un breve momento oltre la Finanziaria, Massimo D'Alema sarebbe di nuovo nei pasticci, con un Prodi spostato fortemente al centro, lo spazio a sinistra occupato dalla riserva indiana bertinottiana e la destra raggiante di aggressività e scatenata sul tema del trasformismo. Una maggioranza del genere non andrebbe molto lontano e accelererebbe una crisi di governo che, per mancanza di numeri, non potrebbe che condurre ad elezioni anticipate. Se cosi fosse, è possibile immaginare l'avverarsi del disegno-profezia di Cossiga: scardinare entrambi i poli per dissanguarli a spese di una coalizione che ancora non esiste, ma che e nell'aria e che rimetterebbe insieme non già la De, ma semmai una versione ultraliberale del pentapartito, sfrondata dei rami morti. Se questa coalizione apparisse politicamente forte, eserciterebbe un potere di attrazione gravitazionale su una zona dell'attuale Polo delle libertà che morde il freno: questa è la scommessa e la vera partita di Cossiga, il quale nel frattempo ha portato a termine una operazione che soltanto pochi mesi fa sembrava impensabile più che irrealizzabile: quella di farsi restituire proprio da D'Alema la patente di democratico e per di più «super partes». D'Alema, che era sempre stato colto da nausea soltanto a sentire il suo nome, ha infatti riaccreditato Cossiga perché è alla perenne ricerca del partito di destra che non c'è, di cui diventare l'antagonista unico e a sua volta accreditato e incoronato. Questa la partita, la prima mossa adesso è a Cossutta. Paolo Guzzanti nti |