«In Italia la legge ci blocca» di Susanna Marzolla

«In Italia la legge ci blocca» «In Italia la legge ci blocca» // chirurgo: in attesa milioni di persone LUCI E OMBRE DEL «MIRACOLO» MILANO OTTOR Lanzetta, innanzitutto come sta il paziente? «Bene, benissimo. E' andato tutto nel migliore dei modi». La voce del giovane medico italiano - Marco Lanzetta ha 36 anni e dirige il centro di chirurgia della mano all'ospedale San Gerardo di Monza - rivela tutta la soddisfazione per l'eccezionale intervento eseguito l'altra notte. E perfettamente riuscito. «Il paziente - racconta - ha voluto subito vedere la "sua" nuova mano. E ha fatto qualche movimento con le dita. Si è commosso e anche per noi, mi creda, è stato un momento particolare». Voi, appunto: un'equipe internazionale che per prima ha eseguito il trapianto di una mano. Com'è che vi siete messi insieme? «La nostra è un'equipe formata da medici di quattro Paesi: Francia, Inghilterra, Australia e Italia. Nella comunità scientifica internazionale c'è dialogo, scambio di informazioni. Abbiamo scoperto che stavamo tutti lavorando in quella direzione e così abbiamo cominciato a coordinarci per raggiungere l'obiettivo. C'è chi ha studiato i problemi connessi al rigetto, chi la tecnica chirurgica vera e propria, lo, ad esempio, mi sono dedicato a modelli sperimentali di trapianto». Non ci sono solo chirurghi nell'equipe... «No, certamente. Ogni trapianto presenta problemi complessi. Il nostro gruppo è formato da immunologi, anestesisti, trapiantologi, microchirurghi, psicologi». Anche psicologi? «Sì: l'apporto di questi colleghi è fondamentale». Venite da quattro Paesi, come mai è stata scelta la Francia? «Perché a Lione si erano create le condizioni giuste. I colleghi avevano lavorato molto bene dal punto di vista organizzativo ed anche sul piano giuridico. La questione dei permessi legali è importantissima quando si esegue un'operazione per la prima volta, e qui è stata facilmente superata». Ma il paziente come è stato scelto? «In un certo senso si è scelto da solo. Ha avvicinato il gruppo di microchirurgia di Sydney e ha insistito affinché ci si muovesse in fretta a sperimentare il trapianto. Le sue insistenze sono state uno stimolo al nostro progetto». Che, concretamente, come si è realizzato? «Una decina di giorni fa il paziente è stato trasferito a Lione. Per quattro-cinqui; giorni è stato sottoposto a tutti i test od esami necessari. Quando si è dimostra¬ to in grado di affrontare l'operazione abbiamo lanciato l'appello per trovare un donatore. Che è stato individuato in un uomo in coma irreversibile per cui la famiglia aveva già dato il consenso ad un multitrapianto di organi: abbiamo chiesto loro se erano disponibili anche a questa operazione sperimentale; hanno detto sì e abbiamo operato». Dottor Lanzetta, un trapianto di questo genere sarebbe possibile anche in Italia? «Tecnicamente, più che possibile. Abbiamo raggiunto grandi competenze in questo campo; abbiamo una grossa esperienza in operazioni di autotrapianto. Sono molto fiero di quello che facciamo: anche vedendo come si lavora all'estero credo che non abbiamo nulla da invidiare. Non siamo così indietro come spesso si legge di noi. Quello che si presenta come grosso ostacolo è invece la questione giuridica: vedremo se sarà possibile avere anche in Italia i permessi necessari a una simile operazione». Un trapianto di questo genere interessa molte persone? «Milioni direi. Pensate a quanti hanno perso la mano sul lavoro, a chi nasce senza mani, alle vittime delle guerre, a tutti quei bambini mutilati dalle mine. Per loro un'operazione così è una speranza di qualità della vita che prima neppure sognavano». Susanna Marzolla «Nel nostro Paese abbiamo raggiunto grandi competenze nel campo dei trapianti» Il chirurgo Marco Lanzetta

Persone citate: Lanzetta, Marco Lanzetta