In piazza col Cancelliere tra fans e contestatori

In piazza col Cancelliere tra fans e contestatori Nessun lasciapassare, nessun invito: è facilissimo avvicinare il «monumento» dei tedeschi In piazza col Cancelliere tra fans e contestatori COLONIA DAL NOSTRO INVIATO Arrivano per «guardare il monumento da vicino», arrivano per lanciare fischi e pernacchie, arrivano perché «è l'ultima occasione di vederlo prima che si accomodi e si sgonfi». Arrivano perché Helmut Kohl è entrato nei libri e nella storia di un Paese che potrebbe presto rinchiuderlo, nei libri e nella storia. E perché - paradossalmente soltanto in apparenza - è un dinosauro facilissimo da avvicinare: per ascoltare e vedere un Cancelliere che risorge soprattutto quando è allo stremo e che soltanto nella sfida ritrova l'artiglio e il graffio, non bisogna passare controlli all'ingresso di una fiera, di un auditorium o di uno stadio. Per vedere un uomo che i tedeschi considerano un avanzo di passato o una garanzia per il futuro non servono lasciapassare né inviti: basta «entrare in piazza», basta accomodarsi accanto al palco bianco che nell'iconografia televisiva della campagna elettorale è diventato la tenda nomade del capo ubiquo piuttosto che un sarcofago o meglio ancora un mausoleo. O accontentarsi invece di uno sguardo da lontano: dove la gente magari è rada e a chi è di passaggio basta una sosta. Dove la piazza, non importa se della chiesa o del mercato, esaurisce la sua allegoria di luogo aperto alla tenzone e alla giostra, alla battaglia mimata, alla discussione e al baratto, al gioco. Helmut Kohl ha fatto della banalizzazione un'arma, in una campagna elettorale dominata al suo avvio dalle scenografie cinematografiche dell'avversario Schroeder. Per i suoi «incontri in piazza» - cadenzati abilmente fra l'Ovest e l'Est di un Paese del quale alita conformità e ripulse - ha scelto l'esaltazione della normalità domestica, il tono sobrio ai limiti della mono tonia e dell'ovvietà. Fin dal linguaggio, che non si esaurisce nella pur curata ostentazione del passato: si tratti della Riunì ficazione, dell'Unione monetaria e del cammino di avvicina mento all'Euro, o del dispiega mento dei missili a medio raggio in funzione di contenimento antisovietico. «Incontri con la storia» nei quali Schroeder «si na scondeva dietro la siepe». A Colonia come a Dresda, sul Baltico e in Renania Helmut Kohl parla - qualche volta - come il vecchio di casa che vuol spartire le lezioni di una vita, qualche volta come il professo re che si affatica a strapazzare allievi chiassosi, incomodi, ino lesti. Qualche volta come il vici no di scrivania appena più av veduto. Quando si accosta agli uomini e alle donne della re pubblica piccolo borghese della quale vuole essere il garante per esempio: e con le 15 mila persone davanti a lui passa al «noi», «noi che votiamo», «noi che ci aiutiamo», «noi che vo gliamo conservare la nostra tra dizione dei valori», «noi che non vogliamo rovesciare il mondo nei suoi fondamenti condivisi». Quando paragona il Paese ad una casa «che dopo cinquantanni bisogna rimettere un po' in ordine senza buttare tutto all'aria». Quando ripropone uno slogan già diventato un culto, «i temi a scriverli è la vita»: non tanto per affrontarli poi davvero, i temi, quanto per ricordare a un popolo sospettoso degli esperimenti che «non è questo il momento per affidarsi a esperimenti». Fra gli invitati volontari a questi incontri, capita spesso d'incontrare gente che non è venuta ad ascoltare ma che è qui soprattutto per vedere e «assistere», per «esserci»: per guardare in faccia una volta, almeno, l'ultimo politico di una generazione tutta passata e logorata dagli anni o dagli eventi, in Germania ma anche in Francia, in Inghilterra, in America, nel mondo. Capita spesso - quando ancora le piazze sono invase dalla confusione e dalla quotidianità - d'incontrare persone in attesa dal mattino per un incontro che avverrà nel tardo pomeriggio o a sera: affacciate alle transenne intorno al palco per difendere il privilegio di una contiguità non necessariamente d'ideologia e di partito. Quel che paradossalmente è riuscito a Kohl, con questa catena di riunioni anti-spettacolari a cielo aperto, è l'effetto moltiplicatore della spettacolarità: come se il palco bianco fosse uno schermo e il Cancelliere vi fosse proiettato, una sera dopo l'altra. Lo hanno capito a proprie spese gli avversari più aggressivi che qua e là lo salutano fischiando, che gli fanno il verso o esibiscono mascheroni cadaverici di un Kohl esagerato, gonfio; che ribattono ritmando una sua frase di profilo infelicemente basso e che contribuiscono loro si - a trasformare la serata in happening: «Un particolare benvenuto a voi», li precede anche questa volta Kohl con cortesia amabile, sorniona. Servendosi delle presenze più inquiete come di un'introduzione al tema: «Quella bandiera rossa li, un'altra c'è soltanto a Cuba ormai». Il vecchio di famiglia alita veleni: non è forse vero che, a chi lo apostrofava con un «nonno» insinuandoci un'offesa, Kohl ha ribattuto appropriandosi di «un grado di parentela che non è per niente mia posi- zione d'inferiorità, ina semmai il contrario))? Non è forse vero j che è l'autosuggestione sugge- i stiva a guidare spesso il discorso antiretorico del Cancelliere ! fra gli elogi alla «famiglio che ' viene prima di tutto», le lodi alla «Bundfiswehr che è garante ! della pace», l'encomio alla «po- ; lizia che è certezza della nostra sicurezza», ma anche l'autocompiaciuto apprezzamento di «un Euro che parla tedesco» e toglie la Germania a l'Europa dall'incomoda posizione «dell'asino di Buridano»? Tutto senza l'apparente garanzia di una trama, senza modulare effetti ed emozioni ma affidandosi all'arbitrarietà del salto, al passaggio casuale e sbadatamente sovrapposto: il contrario della composizione suggestiva che mira all'elo- [ quénza e si affida a un progetto stilistico e formale. Il segreto degli incontri sulla piazza è qui, nel disprezzo compiaciuto della telecrazia e delle sue norme, nella rivalutazione del colloquio sull'eloquio, nell'apprezzamento e nella sensibilizzazione dell'ascoitatore-ospite. Se lo sfidante Schroeder ha creduto soprattutto nell'immagine e nel potenziale visionario che la grande arena o lo stadio valorizzano al meglio, il campione in carica ha preferito affidarsi alla peculiarità dello spazio urbano, aperto e circoscritto dalla presenza umana. Anche il saluto di chiusura è sottoesposto: nessun segno spavaldo di vittoria ma un leggero sventolio con la destra. Come il vecchio di casa, come l'insegnante che ha finito, il vicino di scrivania, un nonno. Emanuele Novazio Parla il linguaggio della normalità: il Paese è «una casa da rimettere in ordine dopo cinquantanni senza buttare tutto all'aria» Ai fischi risponde cortese: «Un benvenuto particolare a voi. Che cos'è quella bandiera rossa? Ormai ce n'è solo un'altra, a Cuba» m 1 ( m IA GERMANIA AL VOTO li cancelliere tedesco Helmut Koh! con il sindaco di Berlino Eberhard Diepgen (accanto a ! A sinistra Kohl in piazza attorniato dai suoi sostenitori lui)