La redenzione dei Cattivi

La redenzione dei Cattivi La redenzione dei Cattivi Si riaprono i giochi con Libia e Iraq ABBIAMO sempre scritto che l'Italia è una inedia potenza, che trovavamo patetico certo protagonismo velleitario, che non era possibile, per il nostro Paese, aspirare a una grandeur sudista. Il realismo che dettava codesto giudizio ci autorizza, oggi, a scrivere (con soddisfazione) come a questo ribaltone positivo abbia contribuito la «nuova politica estera» del governo Prodi. Centrata sul seguente assunto: il fatto che Washington sia la mono-super-potenza non significa che a tutti gli altri Paesi da sempre legati agli Stati Uniti tocchi, fatalmente, un ruolo «da alleati subordinati». Il viaggio di Dini a Teheran, discende da questa inedita, per noi, visione della realtà internazionale. E rientra, la nostra «nuova politica estera», nell'inedito, affascinante spazio di manovra chiamato Unione Europea. La soddisfazione per la caduta di quello che chiameremo il «Muro di Rushdie», non deve tuttavia consentire un abbandono all'euforia. Il difficile (forse) comincia adesso. La crisi ultima tra l'Iran e l'Occidente nasce dalla crisi fra la Gran Bretagna e l'Iran. La crisi scoppia il 14 di febbraio del 1989 quando l'imam Khomeini, Guida Spirituale dell'Iran e punto di riferimento del cosiddetto «terrorismo irredentista», promulga la fatwa che, in fatto, condanna a morte lo scrittore anglopakistano Salman Rushdie, autore di un libro, a nostro giudizio mediocre: Versi satanici, un libro che offende vergognosamente Maometto. 11 vecchio imam viveva in quaranta metri quadrati, passando la giornata fra la stuoia-letto e la poltrona. Pregava e leggeva, «ascoltava il mondo» con un piccolo transistor tutto incerottato. Un giorno sentì che a Karachi la folla aveva dato alle fiamme un libro blasfemo, scritto da uno scrittore inglese «nato musulmano». Khomeini chiama il figlio-segretario Ahmed e gli chiede lumi. «Uno stupido libro che da noi nessuno ha comperato», è la risposta, ma il vecchio ordina: «Voglio un riassunto». C'è da dire che in quell'inverno del 1989 la rivoluzione khomeinista stava sfilacciandosi all'interno di un Paese tormentato da una cattiva congiuntura economica, offeso dal «tradimento» di non pochi Paesi arabi, mentre perdurava lo sdegno universale per la sistematica violazione dei diritti dell'uomo da parte della Teocrazia iraniana. Ma nel riassunto di Rushdie, l'imam trova l'ennesima carta vincente. Sfila dal suo turbante una classica procedura coranica: un mullah si rivolge a Khomeini, giuresperito per eccel¬ lenza, e gli domanda il suo alto, incontestabile parere: a chi, come Rushdie, offende il Profeta, e quindi commette apostasia, quale punizione spetta. «La morte per forca», risponde Khomeini, citando il precedente di un poeta condannato a morte per avere offeso, con i suoi versi, il Santo Profeta nel tempo dell'Egira. (Khomeini tacerà che Maometto, su implorazione dei congiunti, graziò il poeta antesignano, in qualche modo, del povero Rushdie). La notizia della fatwa (parere) invade il mondo. E' un pugno nello stomaco per l'Occidente, è una scarica di adrenalina per i «figli della rivoluzione a numi nude» subito travasata negli hezbollah che, a loro volta, la mutano in un vento terribile di odiosi attentati al blasfemo Rushdie e ai suoi «complici». Cioè gli occidentali (e naturalmente gli israeliani). Di più: una fondazione «privata»; «IR Khordad» (la data del primo scontro fra Khomeini e lo Sciai motte sul capo di Rushdie una taglia di 2,5 milioni di dollari. Ieri, a New York, il ministro degli Esteri iraniani! ha detto che il suo governo «si dissocia» dalla mortale inizia¬ tiva e assicura di non avere intenzione di assistere chiunque nutrisse «insani propusiu». «Tutto ciò significa per me la libertà, dopo dieci anni disperati», Ila commentato il povero Rushdie. lo non ne sarei tanto sicuro, gli raccomanderei un minimo di prudenza, ancora. Viene fuori, infatti, che alla/fl twa in qualche modo «attenuarle» in forza dell'interpretazione sciita, avrebbe latto seguito una vera e propria condanna a morte: la hokm, in arabo coranico sentenza (di morte). Saremmo curiosi di sapere quando come e chi abbia pronunciato codesta sentenza. Del caso Rushdie, parlammo, a Teheran, più volte negli anni passati con l'alloru presidente Rafsanjani. «lo non po^so revocare la fatwa - mi disse - , posso però dare un consiglio ai giornalisti anglosassoni in partii o lare: non ci chiedete più di Rushdie. Che lui si penta puo avere importanza, chissà, ma più importante ò il silenzio. Perché porta all'oblìo». («Rat' non mi parlò mai di otkm»). 11 silenzio lo ha rotto Khatami, il presidente che ha tradotto Tocqueville, un moderato che vuole salvare il suo Paese giovine (il 70 per cento della popolazione ha meno di 27 anni) dall'isolamento, dalla devastazione economica. Certamente, per quel po' che io conoscemmo quando era il ministro dell'Orientamento, Khatami non è Gorbaciov poiché non vuole sfasciare nulla. Vuole soltanto correggere «gli eccessi» d'una rivoluzioni; invero storica, a mani nude. Sono gli altri, i cosiddetti «fedeli alla linea dell'imam» che vogliono sfasciarlo; lui dico: Khatami. Il difficile comincia adesso anche se la strada non è più tutta in salita IgUl iVIall LA FATWA DELL'AYATOLLAH KHOMEINI ■ Voglio informare ìfieri popoli musulmani in tutto il mmulo che l'autore de I Versi satanici, un libro contro l'Islam, il Pro/ila e il C'orano, è ora condannato a morte- •d'ulti i musulmani, ovun (lue siano, hanno l'obbligo di giustiziare Salman Rushdie e i suoi editori Se periranno nella missione, diverranno martiri■•Ut condanna deve venire eseguita rapidamente, affinché nessuno osi più. in avvenire, offendere l'Islam» LA TAGLIA ••Se ad eseguire la sentenza di morie sarà un cittadino iraniano percepirà un compenso di Jl)f) milioni di rial (quanto miliardi di lire), se sarà uno straniero riceverà in premio un milione di dollari (un miliardo e300 milioni ili allora)".