SCUOLA due secoli di battaglie

SCUOLA due secoli di battaglie Dal 700 a oggi: fra crisi degli insegnanti e burocrazia, un saggio traccia la storia della pubblica istruzione SCUOLA due secoli di battaglie ERA le bizzarrie che costellano la storia della scuola pubblica italiana, memorabile è l'appello che cento anni fa, esattamente nel 1898, l'allora ministro della Pubblica Istruzione Guido Baccelli, del governo Pelloux, rivolse alle scolaresche delle classi elementari: «Torniamo ai campi!». In nome di un'istruzione che non disamorasse i ragazzini dal lavoro contadino, s'era varato (con infelici esiti) il «campicello scolastico», in dotazione alle sedi perché gli alunni potessero familiarizzare con le pratiche manuali del mondo rurale* come se ne avessero avuto bisogno. Dietro l'episodio si staglia il conflitto tra educazione e istruzione e tra formazione culturale e formazione professionale, che segna l'intera storia della nostra scuola pubblica, dalla riforma Casati del 1859, ancora ai tempi di Cavour, al nuovo anno scolastico che si è iniziato la scorsa settimana in tutta Italia. Questo cammino, faticoso e tortuoso, più ricco di speranzosi progetti che di effettive realizzazioni, è ricostruito dal pedagogista Giovanni Genovesi, dell'Università di Ferrara, autore di diverse ricerche su problemi e vicende dell'educazione, in un volume che esce dall'editore Laterza: Storia della scuola in Italia dal Settecento a oggi, corredato da un'appendice statistica e cronologica. E' straordinario come una vicenda burocratica nasconda nelle pieghe formidabili tensioni, perché la scuola si rivela il campo di battaglia dove si sfidano opposte concezioni della società, progressiste e conservatrici, laiche e confessionali, fin da quando, negli Stati e staterelli dell'Italia preunitaria, i movimenti liberali pongono le basi di una scuola pubblica, vincendo la tenaci resistenze dei ceti conservatori «che indicano nelle scuole il disastro dei troni e dell'altare». L'atto di nascita della scuola italiana è la legge che porta il nome del conte Gabrio Casati, ministro dell'istruzione del Regno sardo nel gabinetto Lamarmora, promulgata il 13 novembre 1859. Subito emergono due limiti, destinati a diventare un carattere permanente della neonata istituzione: un pregiu dizio classista, per cui i ceti su balterni non meritano una vera istruzione, ma soltanto i rudi menti che contribuiscano a fare dei figli del popolo sudditi fedeli; l'inefficienza amministrativa, per cui i migliori propositi, come quello dell'obbligatorietà, vengono frustrati da mancanza di fondi e strutture inadeguate Dopo l'unità, «stretta tra l'incudine del pregiudizio e il martello della penuria - scrive Geno vesi - la scuola si estende ma non si fortifica». La riforma Gentile del 1923 è il secondo passaggio chiave. Secondo Genovesi, è un progetto di stampo liberal-borghese, che il fascismo subisce obtorto collo: «La prende in prestito ma sostanzialmente non la capisce». L'impronta gentiliana permea soprattutto il ciclo delle superiori: si acuisce la divi- sione, già evidente in epoca giolittiana, fra studi classici riservati all'elite e studi tecnici per i ceti subalterni. Il ministro filosofo «crede che la scuola sia soprattutto uno sforzo intellettuale» e che serva a formare la classe dirigente che guida le masse: in questo senso «il meglio è rappresentato dal ginnasio-liceo». Impostazione travasata nella scuola del dopoguerra: la media unica (1962) è una svolta democratica che, però, non scalfisce l'assetto delle secondarie. Oggi siamo alla vigilia di un nuovo passaggio storico, se andranno in porto i mutamenti annunciati, talvolta con un eccesso di enfasi rispetto ai progetti concreti. Ma i problemi accumulatisi in un secolo e mezzo sono una zavorra di cui non sarà facile liberarsi. I mali endemici della scuola italiana sono, per Genovesi, l'occasionalità, la disomogeneità, la se¬ parazione dal territorio e l'improvvisazione didattica. Il fenomeno in cui si rispecchiano più drammaticamente è l'inadeguatezza del corpo insegnante. Se c'è un filo grigio che unisce tutte le vicende della scuola pubblica nel nostro Paese, questo è l'inefficienza della classe docente. La tesi è pesante. I fermenti pedagogici sono stati ignorati o contrastati, vedi nel corso del secondo dopoguerra le diffiden- ze o ostilità per il Movimento di cooperazione educativa (con i famosi Quaderni di lavoro), per le esperienze di don Milani, per l'antipedagogia di De Bartolomeis. Fin da quando maestri e maestre erano nominati casualmente dai sindaci, la storia della scuola italiana si rispecchia nella crisi di questa figura professionale, ancora oggi: «La scuola avrebbe bisogno di docenti più preparati e meglio pagati», scrive Genovesi. Invece esibisce dei «lavoratori a metà», che tendono a rifugiarsi nel privato e rifiutano l'impegno civile. Il deficit insegnanti, con i concorsi non banditi o quando sono banditi assaltati da migliaia di candidati comunque destinati a disoccupazione o sottoccupazione, è la crepa più vistosa d'una scuola che le ultime pagine del libro descrivono in «evidente degrado», pervasa oltrettutto da «frequenti casi di intolleranza e razzismo», senza contare lo «sciocco moralismo» e i «furbeschi escamotages» o gli «espedienti truffaldini» di docenti e allievi. Che cosa dovrà accadere perché il pachiderma possa rimettersi in moto? Genovesi riconosce a Berlinguer «una «forte volontà di rinnovamento», anche se è in parte critico con una concezione tendenzialmente utilitaristica. Il punto chiave, a suo giudizio, è il recupero di un'idea precisa di scuola: che cosa debbe essere, in che rapporto con la società. Casati e Gentile questa idea forte l'avevano, perciò le loro riforme misero radici profonde. Alberto Papuzzi Un'istituzione dove si sfidano le concezioni progressista e conservatrice, laica e confessionale della società, fin dai tempi dell'Italia preunitaria Dopo la rifonna Casati, nel 1859, i problemi si sono accumulati: improvvisazione didattica, separazione dal territorio, disomogeneità Il conte Gabrio Casati, ministro dell'Istruzione del Regno di Sardegna II ministro della Pubblica Istruzione Luigi Berlinguer. A destra, Giovanni Pacchiano : fra crisi degli insegnanti e burocrazia, un saggio traccia la storia della publMèct

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