Lo sfascio di A. P.

Lo sfascio Lo sfascio Parlano due protagonisti EULLA scuola italiana esiste un libro voluminoso ed esplosivo che forse non sarà mai pubblicato, sebbene sia bell'e pronto per la stampa e abbia già un titolo: Mezzo secolo di scuola. L'autore è il pedagogista Giovanni Gozzer, che cominciò a collaborare con la Pubblica Istruzione nel lontano 1947, dopo essere stato provveditore agli studi di Trento, sua città natale. Nei diversi decenni passati dentro e fuori il ministero si meritò il soprannome di «dimissionario continuo», per il carattere poco propenso agli accomodamenti. Ancora oggi, a 83 anni, non ha perso la buona abitudine di dire chiaro come la pensa. «La scuola italiana è arrivata al punto d'uno sfascio assoluto. Ci ho lavorato cinquant'anni, quindi ho gettato la spugna. Guardandomi indietro domi indietro, devo confessa¬ re che quella della scuola è una storia obbrobriosa, perché non si è mai consentito che l'istituzione operasse dall'interno, con proprie forze, mentre la si è sottoposta a una duplice servitù, dell'amministrazione e dei sindacati, che insieme ne hanno fatto strame, concorrendo a distruggere quel po' di buono che c'era nelle iniziative legislative. Non c'è dubbio che il corpo insegnante, salvo rare lodevoli eccezioni, è stato lo specchio di questo disastro». Il libro racconta i rapporti di questo irriducibile «bisbetico», come egli stesso si definisce, con i vari ministri della Pubblica Istruzione, da Gonulla a Moro, da Medici a Gui. Proprio perché cronaca autentica, con giudizi senza preoccupazioni diplomatiche, come quelli di tante pagelle (ottimo a Medici, insufficente a Moro), Mezzo secolo di scuola è rimasto ancora in un cassetto e probabilmente ci resterà. «Se mai lo pubblicheranno i miei eredi». Per un libro che non esce, eccone invece uno che ritorna: la scorsa settimana l'editore Feltrinelli ha mandato in libreria l'edizione economica di un piccolo bestseller di cinque anni fa: Di scuola si muore di Giovanni Pacchiano, fino al '94 preside a Milano. La nuova edizione comprende anche un nuovo capitolo, «Gli anni del disastro», dedicato al periodo 1993-1998. «E' vero che lo Stato non ha mai voluto formare i docenti - concorda Pacchiano -: si andava all'università e quindi a insegnare, senza preparazione né didattica ne psicologica. Faceva eccezione l'istituto magistrale, che forniva ai maestri una formazione utilissima, tanto è vero che è stato chiuso, malamente sostituito da sperimentazioni socio-psico-pedagogiche. In conclusione, la capacità didattica dei nostri insegnanti e affidata alla buona volontà delle singole persone. Il risultato è che chi va a insegnare fa spesso disastri». Ma la riforma Berlinguer potrà essere un passaggio storico? «In teoria sì. Il ministro Berlinguer ha presentato un progetto che manda all'aria i vecchi cicli della riforma gentiliana, sostituiti da due soli cicli: sei anni di elementari e sei anni di secondarie. Come li riempia, questo ancora non si sa. A me sembra un errore abolire le medie, perché abbracciano un'età di grande discontinuità psicologica fra adolescenza e giovinezza». La questione decisiva, però, è quale idea di scuola debba predominare oggi? «La mia impressione è che l'idea di scuola della riforma berlingueriana tenda a una generica formazione generale, mentre ò supernecessario che la scuola superiore sia concepita come scuola di prima specializzazione. Sennò si trascorrono gli anni delle superiori come quando si passa una lunga malattia esantematica: sperando che finisca». [a. p.]

Persone citate: Berlinguer, Giovanni Gozzer, Giovanni Pacchiano, Gui, Moro

Luoghi citati: Milano, Trento