«Ecco perché la Procura mi perseguita»

«Ecco perché la Procura mi perseguita» LE CARTE CONSEGNATE A TINEBRA «Ecco perché la Procura mi perseguita» L'esposto del leader di Forza Italia contro Palermo ROMA ITENGO quindi che, prima di avviare iniziative investigative nei confronti miei e del mio gruppo destinate inevitabilmente ad avere una eccezionale risonanza mediatica, si sarebbe dovuta rilevare la menzogna manifesta del Rapisarda che, amplificata dai mezzi di comunciazione di massa, si è ripercossa inevitabilmente sull'opinione pubblica nazionale e internazionale, determinando danni gravissimi ed irreparabili alla mia immagine e ai miei interessi, nonché turbativa grave alla vita politica del Paese». Così pensa e scrive Silvio Berlusconi su ciò che avrebbe dovuto fare la Procura di Palermo a proposito delle accuse lanciate dal finanziere («sedicente», prescisa il leader di Forza Italia) contro di lui e contro Marcello Dell'Ultri. Invece che cosa è successo? Invece, denuncia Berlusconi, «i pm palermitani, anziché procedere per l'evidente calunnia in base agli innumerevoli quanto evidenti ed immediati riscontri della manifesta e grossolana serie di menzogne, hanno ritenuto di intraprendere indagini pesantemente invasive nei confronti del gruppo Fininvest alla ricerca dell'impossibile conferma di dati contabili che dovrebbero risalire a quasi venti anni fa». Il giorno dopo la deposizione di Filippo Alberto Rapisarda al processo contro Marcello Dell'Utri- senatore di Forza Italia, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa - ecco il testo della denuncia contro quel testimone presentata meno di due mesi fa da Silvio Berlusconi alla Procura di Caltanissetta. Era il 31 luglio, e prima di partire per le vacanze il Cavaliere si recò personalmente in Sicilia per consegnare nelle mani del procuratore Tinebra nove pagine di fuoco contro il «sedicente finanziere» che accusa Dell'Utri (e per suo tramite Berlusconi) di aver intascato denaro mafioso. Ma sono pagine che puntano il dito anche contro la Procura palermitana. Il nome del procuratore Caselli non compare mai, viene citato in un inciso solo un suo sostituto. Ma il fatto di aver presentato la denuncia-querela a Caltanissetta (città dove vengono giudicati i magistrati palermitani), l'estensione dell'atto d'accusa contro chiunque possa concorrere con Rapisarda nella presunta calunnia e alcuni specifici riferimenti all'attività dei pm del capoluogo siciliano, trasformano questo atto formale in un nuovo capitolo della sfida lanciata da Silvio Berlusconi a quella Procura. «Pur tentando di non usare aggettivi gravi - scrive l'ex-presidente del Consiglio -, appare invero strabiliante l'inversione di giudizio sulla credibilità della persona operato da chi, evidentemente, non ritiene di dover rispettare le regole costanti di uno Stato di Diritto e di una Società civile nei quali è un obbligo difendere il cittadino "normale" dalle insidie della calunnia, soprattutto se proveniente da un superpregiudicato per di più bollato per sentenza, fra i pochi in Italia, come delinquente "abituale"». L'obiettivo di una simile repri- menda è piuttosto esplicito, e in un altro passo della denuncia Berlusconi ipotizza anche inconfessabili patti tra Rapisarda e gli inquirenti palermitani: «Considerato il credito che le accuse del Rapisarda mostrano di aver trovato presso la Procura di Palermo, c'è da ritenere che il "superteste" abbia agito per ottenere vantaggi o promesse che, allo stato, ignoro». Poco dopo, tra due parentesi tutt'altro che secondarie, il Cavaliere dà un'altra stoccata all'ufficio di Caselli: «Nel corso di una recente udienza del "processo Dell'Utri" a Palermo, il sostituto Ingroia ha affermato che la negatività malavitosa del Rapisarda costituisce perfino un titolo per la maggior credibilità di lui. Sembra di sognare!». Nel merito delle accuse di Rapisarda, il ragionamento di Ber¬ lusconi è presto detto: i fatti riferiti dal «sedicente finanziere» sono falsi, «consapevolmente inverificati, collocati molto lontano nel tempo, e guarda caso attengono a persone non pili viventi». Lui, il più giovane Cavaliere del Lavoro nella storia dell'Ordine, era uno che già vent'anni fa «l'epoca in cui Rapisarda colloca le sue menzogne» - aveva costruito interi quartieri di Milano, e il suo gruppo ha «sempre goduto del massimo credito commerciale e bancario». I soldi, dunque, li prendeva dalle banche, e non aveva alcun bisogno di rivolgersi alla mafia. Semmai era Rapisarda, accusa Berlusconi, a dover attingere ai fondi di Cosa nostra. Insomma, da una parte c'è un pluripregiùdicato «che vanta nel suo curriculum vitae sino al 1994 ben 58 condanne»; dall'altra un imprenditore che ha messo in piedi un gruppo «oggi ai primi posti in Italia per fatturato, occupazione e per le imposte versate all'Erario». In questa situazione, sostiene il leader di Forza Italia, la Procura di Palermo doveva «procedere per calunnia nei confronti di Rapisar- da» anziché indagare su di lui e sulla Fininvest. Berlusconi scrive di non considerarsi al di sopra della legge, ma «alcuni evidenti criteri logico-giuridici devono informare l'operato dei magistrati dell'accusa ovi! si trovino a contatto con delinquenti incalliti del tipo sopra descritto, in contrapposizione a persone normali, incensurate e appartenenti, con merito, alla società civile e produttiva». Siccome a Palermo Rapisarda non è stato incriminato, Silvio Berlusconi chiede che ciò avvenga a Caltanissetta, dove peraltro si sono già rivolti i pm palermitani che a loro volta si sono sentiti calunniati dal «sedicente finanziere». Al procuratore Tinebra il Cavaliere chiede addirittura l'arresto di Rapisarda, invocando «con la massima urgenza le misure cautelari opportune per evitare che, attraverso l'ulteriore strumentalizzazione di pubblici uffici, le calunnie formulate possano essere portate a conseguenze ulteriori». L'altro giorno, alla riunione tra le due Procure siciliane che più di una volta si sono ritrovate contrapposte, s'è discusso anche di questa denuncia di mezza estate. Che farà Caltanissetta? Come reagirà Palermo? E che dirà, a Roma, Berlusconi? Giovanni Bianconi Francesco La Licata «I pm palermitani, anziché procedere contro le calunnie di Rapisarda, hanno iniziato indagini invasive di enorme risonanza su me e il mio gruppo» «Ci sono stati danni gravissimi e irreparabili alla mia immagine e ai miei interessi, nonché turbativa profonda alla vita politica del Paese» «D'obbligo difendere il cittadino dall'insidia di un superpregiudicato bollato come delinquente abituale» «Evidentemente c'è chi non rispetta le regole costanti di uno Stato di diritto e di una società civile» Il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi e Gian Carlo Caselli capo della procura di Palermo