Rifondazione, l'ultima barricata

Rifondazione, l'ultima barricata Rifondazione, l'ultima barricata Marini: basta giochetti, non ci stiamo più ROMA. L'ultimo assedio di Palazzo Chigi a Fausto Bertinotti è andato in scena poco dopo le nove e mezzo del mattino di ieri. Ci si sono messi in quindici, tra ministri, segretari della maggioranza, più due debuttanti d'eccezione, Marco Minniti in sostituzione di Massimo D'Alema, e il golden boy Gianiù Rivera al posto di Lamberto Dini. Ma non c'è stato niente da fare. All'uscita, tre ore e passa dopo, dicevano tutti di essere speranzosi, ma avevano il buio in volto. L'unico che è entrato ed uscito col sorriso sulle labbra, compreso lo sfottò d'inizio riunione a Minniti, che ha salutato con un «ciao, Massimo», era lui, Fausto Bertinotti. E' entrato di grandissimo buonumore per via dell'ultimo gradimento mediatico, registrato la sera prima a Pinocchio: «Ma ti rendi conto che noi abbiamo fatto oltre il 21 per cento di share, e Romiti ha avuto solo il 10? Vuol dire che il Paese è con noi...», diceva ai fedelissimi che l'accompagnavano in automobile. E poco c'è mancato che non li squadernasse, quei dati, di fronte a un Prodi che lo ammoniva, letteralmente, a prendere in seria considerazione i provvedimenti messi sul tavolo dal governo. Niente da fare: Prodi non ha perso mai la pazienza di fronte a mi Bertinotti più sfuggente e allegro del solito, che non ha mai pronunciato la parola «rottura» ma ha continuamente protestato «è troppo poco, la svolta non c'è». Però, a un certo punto, il premier ha detto chiaro e tondo «guarda Fausto che questa è mia finanziaria fatta per i cittadini, non per chi guarda la tv». Chi la pazienza l'ha persa dav vero è stato Franco Marini, che più volte l'ha interrotto: «Ma co me fai, di fronte a questi provvedimenti, e sono quelli che hai chiesto tu, ad andare in televisio ne e dire che il governo non man tiene oggi le promesse che ha fatto due anni fa?». Franco Marini, il leader dei popolari che viene dalla grande scuola politica del sindacato, ha attaccato il collega di maggiorali za ed ex cugino sindacalista Berti notti in un modo che ha fatto ri flettere Giorgio La Malfa, «forse pensa di avere i voti dei cossighia ni e dei cossuttiani ni tasca». E se il segretario dei popolari davvero crede, come si dice, che la sostituzione di Bertinotti con Cossiga nel governo non possa che essere un bene, perché questo sposterebbe al centro l'asse del centro-sinistra, ieri lo ha dimostrato appiè no. Basta, ha detto a un certo pun to, stufo di sentire Bertinotti che «arzigogolava» rifiuti, adesso devi dirci chiaro e tondo se ti va bene, o no. «Basta con gli scherzi: è momento delle decisioni». Marini deve aver chiesto chiarezza con quella foga che è parte non secon daria del suo carattere, perché Bertinotti, arrotolando la erre già blesa, l'ha pregato, «Franco, via non alzare la voce». E ha colto la palla al balzo: cosa volete che vi dica, la decisione non la prendo io, la prende il Comitato politico del partito, il 3 o il 4 di ottobre. «E al lora il 5, e non oltre, avremo la ri sposta» ha rimbeccato Veltroni «E intanto, noi andiamo avanti con la Finanziaria» ha incalzato duro Prodi. Il più bello è venuto quando Bertinotti ha fatto intendere che non si aspetta ritorsioni, se Rifon dazione dovesse decidere di riprecipitare il governo sull'orlo della crisi. E' stato allora che Veltroni ha minacciato le elezioni anticipate. E figurarsi, ha poi commentato Bertinotti con i suoi fedelissimi, è proprio il vicepremier a temerle, perché è lui, e l'Ulivo, che avrebbero tutto da perdere... Riferisce Giorgio La Malfa di aver avuto la netta impressione che il governo, Prodi e Marini soprattutto, stavolta non vogliano stare più al gioco di Bertinotti, che l'atteggiamento di Minniti sia stato quello del rappresentante di un partito fortemente solidale col governo, mentre nella precedente riunione D'Alema faceva da sponda e da ponte tra le due parti. Co¬ me se Prodi, Marini e Minniti fossero convinti «della ineluttabilità della rottura con Bertinotti». Il quale continua a chiedere «la svolta», avendo ottenuto gran parte di quello che chiedeva salvo l'impossibile, ovvero le assunzioni dirette di decine e decine di migliaia di giovani nella pubblica amministrazione. E non accetta quello che Ciampi, anche dopo un incontro avuto con Nerio Nesi la sera prima, ha proposto: il famoso capitolo aggiuntivo alla Finanziaria, tutto dedicato allo sviluppo del Mezzogiorno. Alla fine, stanco ma ancora adrenalinico, Bertinotti ha riferito alla segreteria nazionale di viale del Policlinico. Ha illustrato provvedimento per provvedimento, limitandosi a commentare di volta in volta «così non va», «questa è elemosina», «non se ne parla proprio». I cossuttiani hanno ascoltato muti la pantomima, poi sono andati a Montecitorio e hanno detto la loro. «La svolta c'è, eccome», dice Oliviero Diliberto. Solo che Fausto non la vuole. Antonella Rampino Veltroni lancia il rischio delle elezioni anticipate Ciampi e Cossutta tentano la mediazione Bertinotti: «Non vedo svolte e il Paese è con noi». Prodi: 4o lavoro per la gente non per andare in televisione» Fausto Bertinotti leader di Rifondazione A sinistra: il presidente del Consiglio Romano Prodi

Luoghi citati: Roma