PREFERIRE I CONCETTI di Piero Bianucci

PREFERIRE I CONCETTI GLI SCIENZIATI PREFERIRE I CONCETTI / testi scientifici soffrono di elefantiasi: meglio sfrondare le nozioni, ridurre gli esercizi e non seguire la moda informatica ULL'ULTIMO numero della nvista Sapere Silvia Tamburini esaminava alcuni libri di fisica per le medie superiori usando come test il concetto di massa. Nel Violino-Robutti (Zanichelli) la massa «è il coefficiente di proporzionalità tra forza e accelerazione che dipende dal corpo». Nel Battimelli-Stilli (Laterza) la massa è spiegata tramite urti tra bocce di vario tipo, dalle bocce molto dure (urto elastico) alle bocce appiccicose (urto anelastico). Ecco due modi estremi di spiegare: astratto, definitorio e convenzionale il primo; concreto, sperimentale c creativo il secondo. Qual è il migliore? Dipende. Il testo vive nel rapporto con l'insegnante che lo usa. Probabilmente con un insegnante tradizionalista funzionerà meglio il primo, con un insegnante innovatore sarà meglio il secondo. E invertire gli accoppiamenti porterebbe a esiti disastrosi. Difficile, quindi, fare un discorso sui manuab scolastici in termini assoluti. «Generalmente - dice Giorgio Celli, professore all'Università di Bologna, autore di trasmissioni televisive, autore di trasmissioni televisive, saggi e anche opere narrative - i libri di scienze naturali oggi sono migliori di quando io studiavo. Le grandi idee della biologia (evoluzione, Dna) fanno da guida al discorso, l'iconografia è curata, buono l'aggiornamento. Vorrei però che fosse più visibile la storia della scienza. Oltre alle scoperte, mi piacerebbe trovare il racconto degli errori: è lì che si capisce come funziona il metodo scientifico. Vorrei anche si chiarisse che la verità scientifica è diversa dalla verità teologica. La scienza giunge a stabilire un'alta probabilità, non una certezza: temo l'antiscientismo stile New Age, ma anche lo scientismo positivista. Vorrei anche che venisse fuori l'importanza dell'intuizione, della creatività dello scienziato. E infine vorrei che gli autori dei manuali parlassero alle due metà del cervello: al cervello destro, che lavora per immagùu e opera le sintesi, e al cervello sinistro, che invece compie le analisi concettuali e le formalizza nel linguaggio». Se l'interazione tra insegnante e libro di testo è sempre importante, nel caso della matematica lo è in modo speciale. «Ma nel tentativo di accontentare tutti - dice Carlo Bernardini, professore all'Università di Roma, direttore di Sapere e membro della Commissione dei 40 istituita dal ministro Berlinguer abbiamo testi di matematica elefantiaci. Ne conosco uno che, per un solo anno scolastico, ha mille pagine: 900 sono superflue, al massimo se ne studieranno 100. Come fa lo studente a orientarsi in questa massa di nozioni? E non parliamo degli esercizi: se non ce ne sono almeno 3000, il testo viene scartato. Gli insegnanti vogliono tutto per riservarsi la possibilità di scegliere. Ma questo non fa bene né al testo né agli studenti». Anche Alberto Conte, presidente dell'Unione Matematici Italiani e professore all'Università di Torino, pone il problema di alleggerire i testi di matematica. «I manuali degli ultimi anni sono fatti bene, tengono conto di aspetti una volta trascurati, come la storia della matematica, la filosofìa della scienza, la logica, la geometria non euclidea. Se hanno un difetto, consiste proprio nel voler dire tutto. Sarebbe meglio sfoltire, fare scelte più mirate all'indirizzo delle varie scuole superiori. E metterei meno esercizi. La loro ripetizione meccanica non fa che allontanare dalla matematica. E' come insegnare a suonare il pianoforte costringendo l'allievo a eseguire esclusivamente noiosissime scale musicali». C'è poi il rischio delle mode. Li Francia, sotto lo pseudonimo collettivo di Nicolas Bourbaki adottato da un gruppo di matematici nel 1939, la teoria degli insiemi è diventata un dogma didattico. Che succede da noi? «Il gruppo Bourbaki ha dei meriti ma, abolendo l'aspetto intuitivo della matematica ed esaltando esclusivamente quello l'ormale, ha prodotto anche grandi guasti. Ora in Francia si sta facendo marcia indietro. Noi in certo senso ci avvantaggiamo del ritardo: non si deve tornare indietro da luoghi dove non si è mai stati. Il problema in Italia è piuttosto che spesso i professori di matematica non hanno una laurea in matematica...». Quando si entra nel mondo del lavoro, serve la matematica imparata a scuola? «Non conosco dei nostri laureati disoccupati. Certo ci si può domandare se non sia opportuno introdurre nuove nozioni, come quelle attinenti all'informatica». Lucio Russo, cattedra di Calcolo delle probabilità all'Università di Roma Tor Vergata, vede quattro gravi malanni nei manuali per la scuola: la dimensione eccessiva, il cedimento alle mode, l'idea che basti il corredo di un floppy disk a rendere buono un testo, la scarsa attenzione per i concetti fondamentali. Sono temi che ha discusso anche nel suo ultimo saggio, Segmenti e bastoncini (Feltrinelli). «L'eccessiva dimensione - dice Russo - porta a una divaricazione sempre maggiore tra il manuale e ciò che viene effettivamente studiato. Le mode sono dannose perché il manuale deve badare all'essenziale, alle nozioni più consolidate. I supporti informatici sono una di queste mode e in più c'è l'aggravante che quasi sempre sono di qualità scadente: si fanno per il mercato, ma poi molti insegnanti e studenti non li toccano neppure. Quanto al livello concettuale, è la mia preoccupazione maggiore. Assisto a un vero e proprio crollo dei concetti, rimpiazzati da nozioni operative e descrittive. In matematica è ancora più grave: qui i concetti sono tutto, tolti quelli non resta nulla». In definitiva Lucio Russo vede nei manuali scientifici la deprecabile tendenza ad essere, ognuno nella propria disciplina, «il libro dei libri», mentre dovrebbero essere una bussola che orienta verso la lettura di altri testi. Le cose vanno meglio nelle materie umanistiche conclude Russo - «perché quasi sempre i testi di storia, di filosofia e di letteratura vengono da accademici di alto livello; i manuali delle materie scientifiche, invece, spesso sono scritti da insegnanti di scuola media, e quindi soffrono di una visione tutta interna alla scuola». Carlo Bernardini, fisico, è parti- colarmente critico verso i manuali della sua disciplina. «Gli editori lavorano per un insegnante conservatore, che preferisce interrogare su una definizione, per esempio sull'enunciato della legge di gravità, perché è più semplice. Così vengono fuori libri pedanti, che non trasmettono il gusto della ricerca. Io ho una mia idea: che bisognerebbe insegnare la fisica per problemi, come si fa per la filosofia (etica, estetica, ...). In altre parole, bisogna rendere culturale l'insegnamento della fisica. Non serve introdurre nuove discipline, non serve il mito dell'ùiformatica: queste cose nuove possono essere insegnate meglio spiegando i fondamenti delle discipline classiche». L'astrofisica Margherita Hack ha una proposta radicale: «Il cielo - dice - è un laboratorio ideale per insegnare tutta la fisica: si può partire dai pianeti e dalle stelle per spiegare l'ottica, la meccanica, la fisica nucleare, fino alla relatività. Invece l'apporto dell'astrofisica alla cultura contemporanea è quasi ignorato dai testi scolastici, talvolta ancora fermi alla "geografia astronomica". Non credo molto, invece, ai mezzi multimediali: sono abituata a studiare sui libri succhiando una matita e prendendo appunti...». Eppure fare i conti con l'attualità è necessario, dice il biologo Giusto Benedetti, autore di un testo di scienze per le scuole medie (Ambienti, SEI). «Sono d'accordo che floppy disk e cd-rom servono a poco se non si conosce già la materia. Ma non dimentichiamo che oggi la prima fonte di informazione per i è la tv, seguita dai giornali, e spesso nel caso delle scienze si tratta di informazioni sbagliate. Un testo deve quindi essere contmuamente aggiornato per sfatare miti ed errori dei media». Piero Bianucci Valutazioni concordi degli esperti universitari da Celli a Bernardini da Russo a Benedetti da Conte alla Hack: «Un miglioramento c'è stato, ma si educa poco (dia ricerca»

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