SE IMPARASTE DAJALICOURT
SE IMPARASTE DAJALICOURT IL PEDAGOGISTA SE IMPARASTE DAJALICOURT La lettura e iprofessori PER discutere di pedagogia della lettura conviene partire dai ricordi del mese di agosto, in una grande spiaggia popolare: tempi molto lunghi, noia ovunque evidente, e nessun libro, se si esclude il corposo volume esibito da una signora, il cui titolo rimanda a una delle grandi icone dell'estate italiana: Come allevare e curare un cane. Sì, perché, nell'ombrellone li accanto, ecco un giovane padre nascosto dietro una delle testate sportive che quotidianamente forniscono notizie agli appassionati. Il volto celato ha un'espressione accigliata, anzi torva: lui desiderava un cane, e invece gli è nato un bambino, ora collocato non distante da lui, e pieno di buon senso e di buona volontà, per i suoi quattro anni. Infatti abbaia, con insistita dedizione, insomma cerca di rimediare. L'icona si completa con una madre che parla con le amiche dei viaggi che avrebbe potuto fare se non fosse arrivato quello lì, l'abbaiante. E' l'icona della sacra famiglia dei non lettori diseducatori. I giornali, denigrati, umiliati e offesi, si occupano, invece, globalmente, di pedagogia della lettura, e lo fanno con intelligenza e con acume didattico. Ho visto, per esempio, e accuratamente ritagliato e raccolto, una serie di raffinate interpretazioni di una certa immagine e poi analizzata, storicizzata, immersa nel suo contesto. Si «leggono» le immagini, e si comprende quanto ampio, complesso, insostituibile sia il procedimento che rende lettori. E poi c'era la storia, e il senso della storia. Un magazine offriva antiche interviste a grandi personaggi, e accostava al testo il ritratto. Più di un quotidiano ha collegato uno scrittore ai suoi luoghi più emblematici, e un suggerimento da accogliere, anche questo. Insomma: c'era da restare stupiti per un così ricco materiale, che veniva componendo una unitaria proposta metodologica. Ma poi c'è l'ombra truce dello spreco: chi li usa, chi si lascia coinvolgere? Ho provato, ancora una volta, a sperimentare su di ine una forma di pedagogia della lettura. Ho pensato di rileggere, per la terza volta, la Recherche, in quanto avevo trovato una buona ragione per farlo. La prima volta, negli Anni Cinquanta, avevo aspettato di possedere i sette volumi einaudiani, acquistati al mercato dell'usato. Alla fine degli Anni Sessanta, rilessi la Recherche perché avevo appena terminato la famosa biografia di Proust scritta da Painter e volevo rientrare in quel mondo. La ragione, il motivo, la scusa per questa terza lettura li ho trovati nella traduzione di Raboni e nelle note dei volumi apparsi nei «Meridiani» di Mondadori. Nella nuova traduzione ho trovato meglio evidenziata tanto la componente sottilmente umoristica della Recherche, quanto quella erotica. Prendendo nota dei libri per ragazzi offerti dalla nonna al Narratore (mi segno sempre gli elenchi di questo tipo che trovo nelle opere che leggo), e avendo notato Frangoi le champi di George Sar.d, ho rammentato che la scrittrice affermava che non c'erano opere «stendane», nella letteratura francese. E se la Recherche fosse un libro «stendano»? Le note mi hanno reso felice, perché prolungano il testo con infinite finezze cercate e trovate da Daria Galateria e Alberto Beretta Anguissola. E poi c'era l'introduzione di Carlo Bo che ha fornito il pretesto vero per un'autopedagogia della lettura in cui ero io anche l'allievo. Bo accennava acutamente a una specie di libro parallelo alla Recherche: I Thibault, di Roger Martin du Gard, un testo quasi altrettanto corposo, composto di volumi scritti dall'autore tra il 1922 e il 1940. Possiedo i Thibault, sono due grossi volumi dei vecchi «Omnibus» mondadoriani, e la traduzione è di Camillo Sbarbaro, nientemeno. Ho trovato il giudizio secco e severo di Bo non convincente. Dentro i meandri spesso disperati de / Thibault, c'è il ritratto cupo, dolorosissimo, della borghesia francese lino alla conclusione della Prima Guerra Mondiale. C'è un senso come di ferite aperte, di dubbio, eh dolore, che possono spingere la riflessione lino a trovare in queste pagine un antefatto di Vichy. E le morti dei due fratelli protagonisti, uno nel tentativo di lanciare manifestini pacifisti sui belligeranti, l'altro colpito dall'iprite, rappresentano metafore che riportano a sofferenze attuali. Le mie riflessioni sulla pedagogia della lettura si sono soffermate sul ritratto di un professore universitario che è riuscito ad avvincere uno dei due fratelli Thibault, quello che detesta gli studi accademici. Ecco il ritratto: «Quel JalicourtL.Era il solo per cid ai nostri occhi mettesse conto. Sapevamo i suoi versi a memoria. Ci riportavamo l'un l'altro certe sue uscite; si citavano le sue parole. I suoi colleglli erano invidiosi di lui. In un ambiente come quello dell'Università lui era riuscito a far accettare non solo il suo genere d'insegnamento: lezioni ch'erano lunghe improvvisazioni Uriche, piene di vedute ardite, di digressioni, d'improvvise confidenze, di parole crude; ma pure la causticità dei suoi frizzi, la sua eleganza di vecchio gentiluomo, il monocolo; persino quel suo spavaldo cappello di Don Giovanni! Un tipo entusiasta, lunatico, stravagante; ma d'una natura ricca e generosa, una grande coscienza moderna; quello che, ai nostri occhi, aveva dato una risposta a tutti i quesiti che più ci assillavano». Il professor Jahcourt era una specie di monumento della pedagogia della lettura. Non so se ce ne siano di docenti così, nell'Università italiana di oggi. Però, se ne trovano mio, i discepoli stiano zitti, non facciano come il giovane Thibault: quel Jahcourt italiano verrebbe subito ucciso dai colleghi. Antonio Faeti Le illustrazioni di questo speciale sono di Jose Ortega Antonio Faeti ritrova antichi classici dell'infanzia attraverso la rilettura della «Recherche» di Proust (qui in un disegno di Dariush)
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