MEDIOEVO MANGIATO di Alberto Papuzzi

MEDIOEVO MANGIATO GLI STORICI MEDIOEVO MANGIATO Per studiare il nostro secolo si penalizzano ipiù antichi E Veccesso di apparati fa perdere il senso della narrazione COME sembra lontano il tempo in cui era magistra vitae. Ora si dice che la storia sia la materia per la quale gli studenti delle superiori sono meno motivati, a parte forse quelli del liceo classico. Perciò è anche la materia più difficile da insegnare, o almeno quella in cui gli insegnanti fanno carte false per invogliare gli studenti a interessarsene. Questa è la ragione per cui i manuali offrono sempre più spazio a documenti, letture, esercizi, questionari. «Faretre» li chiama il medievista torinese Giuseppe Sergi, «perché sono pieni di freccette». Gli autori rivelano spossanti bracci di ferro con gli editori: i primi cercano di difendere il primato della scrittura argomentata, i secondi contestano che i volumi devono piacere agli studenti se si vuole che siano adottati dagli insegnanti. A queste difficoltà intrinseche alla materia, bisogna aggiungere le novità introdotte dal ministro dell'Istruzione, che ha fissato una nuova periodizzazione dei programmi, essenzialmente per dedicare l'ultimo anno di tutti i corsi al nostro secolo. Nel biennio si studia la storia antica, che non si ferma però alla caduta dell'impero romano ma arriva fino in piena età me dievale. Il 1350 e il 1650 sono le date indicate dal ministero come inizi dei programmi del terzo e quarto anno. Gli autori dei manuali saranno d'accordo con questa periodizzazione? Ci si domanda, per esempio, se abbia senso spezzare a metà l'epoca medievale e se si possano separare le battaglie risorgimentali e la grande guerra. Interrogativi che fanno parte di una questione più generale: come studiare la storia oggi. Il primo problema è la forma dei manuali: tradizionale e sequenziale o ricco di apparati, prevalentemente scritto o abbondantemente grafico. Molto critico sulle nuove formule è Giuseppe Sergi: «I manuali di storia stanno diventando operazioni didattiche e magazzini di esercitazioni. Dal punto di vista dell'educazione alla lettura sono tutte sperimentazioni dannose. Ci si dimentica che il manuale di storia è il solo libro di testo che prepari alla lettura della saggistica non letteraria. In particolare introduce alle scienze sociali. Senza questo allenamento, gli studenti proveranno sempre un crescente senso di noia di fronte a testi tradizionali. Sono d'accordo con Umberto Eco che si rischia una nuova distinzione di classe: fra chi legge libri e chi consulta Cd-Rom». Opposta la visione di Peppino Ortoleva: «Io concepisco il manuale, arricchito di box e dossier utili per il lavoro in classe, come l'elemento portante e centrale di un sistema didattico che valoriz- zi tutte le potenzialità offerte dai nuovi media: archivi, cd-rom, video, siti Web». Se Giovanni Sabbatucci riconosce gli eccessi del rinnovamento editoriale, perché lo studente finisce «per smarrire il senso della narrazione», e propone piuttosto «una struttura modulare, che preveda fascicoli su singoli argomenti», come accade col suo manuale, ecco Giorgio Spini suggerire un'idea originale di pedagogia attiva: «Integrare il disegno generale della storia con un testo che aiuti e stimoli lo studente a guar darsi attorno nella sua regione, imparando la storia da quel che vede». Una volta la storia era soprattutto ricostruzione delle vicende politiche e istituzionali. Deve essere ancora così? Ortoleva: «Non è possibile fermarsi alla storia politica. Bisogna usare l'economia e la sociologia, anche l'antropologia. Un maestro come Anthony Giddens avverte che la storia sociale è la vera cultura del Novecento. Purtroppo i testi offrono spesso un'applicazione scolastica di queste nuove acquisizioni della storiografia». Sabbatucci: «Nel nostro manuale ci sono capitoli sulla società di massa, sulla società dei consumi, sulla cultura postindustriale. E' giusto uscire da vecchie e rigide gabbie cronologiche, tuttavia la storia politica, sfrondata da certi eccessi, rappresenta un'ossatura difficilmente ricostituibile». Quali sono gli errori vistosi dell'attuale manualistica? Sergi: «Di fronte alla necessità di comprimere i programmi, la questione cruciale è che cosa raccontare. Bisogna avere il coraggio della selezione. Scegliamo dei temi, la rivoluzione industriale, l'organizzazione curtense, la grande crisi, le forme del potere, e diciamo che queste cose bisogna conoscerle bene. Invece vedo manuali cursori, che vogliono dire tutto su tutto». Ortoleva: «Noto una perniciosa tendenza a sostituire il racconto dei fatti con i giudizi degli studiosi: Tizio o Caio hanno detto... Questo sbattere la storiografia in faccia agli studenti non mi convince. Bisogna assumersi la responsabilità di raccontare. La dimensione narrativa nella storia è inevitabile». Sulle nuove scansioni imposte dal ministero (1350 e 1650), Spini ricorda con lo scetticismo del modernista che tutte le periodizzazioni sono arbitrarie: «Esse risalgono alla Riforma protestante. Fu allora che si fissarono un'età antica, dei cristiani veri, il medioevo dei papisti, e l'età moderna che coincideva con la Riforma. Arbitrio per arbitrio, si faccia chiaro agli studenti che sono date fideistiche». Ma la cesura del 1350 (invece del 476) irrita Sergi: «Siamo due anni dopo la grande peste e dal punto di vista dell'immagine del Medioevo è un'enfatizzazione pazzesca: lo si comincia a studiare come enorme macchia scura. Queste letture eternamente fosche non sono un bel contributo alla conoscenza del passato. Il Medioevo finale è forse il peggiore che si possa incontrare». Sabbat.ucci è d'accordo sia con Spini («Ogni periodizzazione è arbitraria, ma anche le vecchie lo erano»), sia con Sergi («Effettivamente il Medioevo è stato un po' mangiato dall'antichità»), ma difende la scelta di dedicare solo al nostro secolo l'ultimo anno: «In primo luogo per un fatto pratico: è l'unica possibilità di studiare gli ultimi cinquant'anni. Dalla fine della seconda guerra mondiale è ormai passato più tempo di quanto ne fosse passato dalla prima guerra mondiale quando andavo a scuola io. Certo sarebbe meglio cominciare dalla rivoluzione francese o dalla rivoluzione industriale, ma bisognerebbe avere quattro ore di lezione alla settimana. Per me il Novecento è una felice periodizzazione. Le altre due scansioni sembrano abbastanza bizzarre». In ogni caso, il manuale non è decisivo, come avverte Peppino Ortoleva: «Decisiva veramente è la situazione di classe: lo strumento didattico principale è il rapporto fra docente e allievi. Un ottimo manuale con un mediocre insegnante serve a poco. Un mediocre manuale in mano a un buon insegnante diventa uno strumento straordinario». Alberto Papuzzi