BASTA CON IBOUVARD E PECUCHET: MEGLIO RILEGGERE CHE COPIARE

BASTA CON IBOUVARD E PECUCHET: MEGLIO RILEGGERE CHE COPIARE BASTA CON IBOUVARD E PECUCHET: MEGLIO RILEGGERE CHE COPIARE ne co: _Jall HI non ricorda la voce, premurosa o minacciosa, del professore negli ultimi istanti, allo scadere del tempo concesso per il compito in classe?: «Rileggete, prima di consegnare». Rileggete: errori di concordanze, apostrofi, congiuntivi malcerti, molto era affidato all'ultimo sguardo di quel «rileggete». Ma perché quell'iterativo Rileggete, quando tra frasi da tradurre, nervoso compulsare il vocabolario, bigliettini passati al vicino di banco, c'era appena il tempo di accertare se era stata saltata qualche riga della versione o della brutta? Eppure credo di non aver mai udito: «Leggete, prima di consegnare», bensì sempre: «Rileggete». E giustamente, aggiungo ora. L'affetto che mi lega ai miei ricordi di liceo, mi farebbe miei ricordi di liceo, mi farebbe pensare alla spiegazione «alta», più fidente e più bella: «Avete letto e inteso il testo d'origine - greco o latino, francese o inglese -, rileggete ora il vostro; vedete se c'è congruenza, complicità, affiatamento; se quel Cicerone o Tucidide o Zola o Dickens continui a farsi leggere nella vostra versione. Rileggete, per vedere se il classico e, con esso, la scuola siano ancora lì, vivi, nelle vostre mani». Ma è vero anche quel rileggete - nel senso più umile e verosimile: si comincia a mettere sul foglio, come nei cruciverba, un vocabolo certo: Caesar, poi si corre ad agmina, si cerca il verbo, si legge il latino, si torna all'italiano, si sosta e si riprende. Il soggetto, il verbo, i circostanti, la frase, il periodo. Il disegno, il colore, il ritratto. O ancora: lo scafo, l'albero, le vele: e la nave va. Prima di rileggere, davvero si era letto, costruito, decostruito, fatto, disfatto, ricomposto, dieci, venti volte un periodo. C'era stata tutta la strategia e la tattica, il calcolo e il sondaggio, la meccanica delle strutture e la chimica delle più subdole giunture, l'impennata e la gomma, l'intuizione e il pentimento. Stupendo corpo a corpo con la più lontana alterità dei secoli o, nei temi, con il ribollente intimo di noi stessi: c'era capacità di previsione e memoria di frasi fatte, af¬ fondo intorno ai punti di screpolatura del testo, divinazione e deduzione, geometrìe e finesse, non meno che buchi e papere, in definitiva tanto più amati quanto più inusitati. In due ore di composizione o di versione, non solo si era lettori, ma strateghi, disegnatori, esploratori, naviganti, matematici di probabilità, filosofi del linguaggio. La rilettura si concludeva, appagata o disarmata: ma la guerra era stata combattuta. Ci lamentiamo ora che i giovani leggano con avarizia e con difficoltà: è vero, ma si chiede loro d'acchito - e come primo - quell'atto che per noi era l'ultimo: si chiede loro di leggere subito quello che per noi era l'ultimo rileggere: E appunto non si legge più perché non si scrìve più, né a casa né a scuola, né ad amici, né auguri, né diari, né versioni, né temi. E già ci attende l'ultùna umiliazione berlingueriana, della scrittura e della lettura: la sostituzione del tema (e delle versioni?) con quiz, pigiature di uvaggi senza tempo di fermento, lacerti testuali senza invenzione, disegno, sintassi del mondo (ne discutono ora Claudio Magris, Ezio Raimondi, Cesare Segre, nell'imminente fascicolo di «Lettere Italiane», L, 3, Firenze, Olschki, settembre 1998). Ma la lettura soffre non solo perché è stata strappata alla scrittura, ma anche perché non si sa più chi leggere. Flaubert ha perfettamente compreso e anticipato la parabola del nostro tempo: non basta essere scrivani per essere scrittori. Bouvard e Pécuchet sono ottimi copisti, imparano tutto quello che debbono delle nuove scienze positive. Avessero saputo, avrebbero certo frequentato tutte le scuole di scrittura che altri copisti di successo hanno oggi aperto un po' dappertutto nel mondo. Ma Flaubert che è vero e grande romanziere, li fa alla fine ritornare scrivani delle loro copie, e lascia nuovamente scrittore e lettore nella loro smisurata solitudine, nel loro misterioso inesauribile dialogo, anche a prezzo del non-finito da una parte, e del non-ccmpreso dall'altra. Oggi Bouvard e Pécuchet sono risorti e hanno vinto: scriva¬ ni, più o meno premiati e tradotti, copiano, copiano, smerciano e catturano consensi. Il guaio è che se nella scrittura scrivano e scrittore han potuto a tempo disgiungersi, nella lettura non c'è - ancora - il leggitano, che s'impasticca di scrivani, e il lettore che lotta e vive con la scrittura dello scrittore. Era previsto, dalla saggezza delle lingue, sole il lettore. Forse non c'è più, o non parla, ritirato alle pendici delle montagne remote dei suoi scrittori. Forse, assiso allo schermo di Internet, è già nato, tra fax e email, tra siti e «cliccate», il leggitano. Mi domando solo se sia il figlio del piccolo scrivano o del grande Leviatano mediatico che si mangia libertà in cambio di veline, di brutte copie di copie. E dunque, giovani amici, nell'anno che comincia, ancora una volta rileggeremo «Vides ut alta stet nive candidum I Soracte»; meglio un errore di latino nello svettare di quei candidi silenzi, che mille punti in vani quiz politically correct. Carlo Ossola

Persone citate: Bouvard, Carlo Ossola, Cesare Segre, Claudio Magris, Dickens, Ezio Raimondi, Flaubert

Luoghi citati: Firenze