IL RISTAGNO DEI MANUALI

IL RISTAGNO DEI MANUALI MERCATO E POLITICA IL RISTAGNO DEI MANUALI Oltre le polemiche sul caro prezzi, è l'incertezza sulle riforme dei programmi a frenare innovazione e sviluppo dei libri di testo libri di testo si beccano sempre grandinate, sospetti e accuse. Ieri, negli Anni 60 e nei primi 70, erano marchiati come ldt, le loro tre lettere iniziali, come fossero una droga intellettuale e civile. Adesso si levano puntuali, a ogni inizio d'anno scolastico, gli allarmi sul loro costo, e stavolta s'è aggiunta la voce dello stesso ministro Berlinguer: i libri di testo pesano in modo intollerabile sui bilanci familiari, e gli editori, secondo le associazioni dei consumatori, fanno i furbi aumentando i prezzi più dell'inflazione. L'impressione è che sui libri di testo si scarichino tensioni più generali, malumori obliqui che riguardano l'intera scuola, un mondo che ribolle anche se in apparenza ogni inizio d'anno è uguale al precedente. Cominciamo dai prezzi. Gli editori non ci stanno. «Noi non facciamo giochini, non trucchiamo le statistiche», s'inalbera il direttore della loro associazione, l'Aie, Ivan Cecchini. Dice che una volta sola hanno aumentato i prezzi più dell'inflazione, e fu quando raddoppiò il costo della carta. Tuttavia questa polemica ricor- n a i rente vorrà pur dire qualcosa «Vuol dire demagogia, cattiva informazione, pregiudizio ideologico», butta giù duro il direttore commerciale della Rcs-Scuola, forte dei marchi Fabbri, Bompiani, Sansoni e Nuova Italia. E' Vincenzo Rizzo, che spiega così: «Siamo visti come ingordi profittatori. Il danno maggiore di tutta questa campagna non ricade comunque su di noi, ma sugli studenti, che si ritrovano un'altra ragione per non affezionarsi ai testi, per venderli o per buttarli». «Non capisco e non giustifico nemmeno tanto quest'atteggiamento ostile ai libri di testo - è la reazione di Federico Enriques, amministratore delegato della Zanichelli -. Per essi gli italiani spendono quanto per il cenone di fine anno, e sei, sette volte meno che per le scommesse ippiche. La verità è che alla base c'è un disprezzo per l'educazione: la cultura media italiana è familistica e dientelare, vuole cioè che i posti migliori vadano a familiari, amici e clienti, mentre con un buon sistema educativo i posti migliori vanno ai più bravi. Perché non si denuncia invece lo scandalo che i libri pagano più Iva dei giornali?». La disputa sui prezzi reca facilmente con sé la richiesta di un qualche intervento pubblico. Berlinguer ha preannunciato che la prossima Finanziaria conterrà «un sostegno alle spese delle famiglie per l'acquisto dei libri di testo in relazione al reddito e al numero dei figli». «Era una richiesta di Bertinotti», ricorda Rizzo, della Rcs-Scuola. E in Parlamento giacciono alcune proposte, che chiarisce Ethel Porzio Serravalle, consulente dell'Associazione editori, ex insegnante ed ex sottosegretario alla Pubblica Istruzione nel governo Dini: «Una è di Rifondazione comunista e una di An, e sono pressoché uguali nell'indicare la soluzione nel conodato d'uso: le scuole comprano i libri e li danno agli studenti, che li rendono l'anno seguente. Un'altra proposta è dell'Ulivo, che ripensa la gratuità totale, come avviene per la Sanità: alcuni studenti pagano i libri, altri no. Una specie di "scuolometro". Infine, nella legge sulla parità scolastica, il governo punta alla detrazione fiscale: per noi, la soluzione migliore». Il multiforme sfondo politico rende ancor più inquieto il mondo editoriale. Già il mercato è angusto, perché cala la popolazione scolastica. Soprattutto pesa l'incertezza di quel che accadrà con le riforme che ha in mente il ministro Berlinguer. Con i nuovi cicli scolastici bisognerà reimpostare e ridistribuire gli argomenti, ma non si sa ancora come saranno i programmi. E sarà varata l'autonomia: ogni istituto diventerà una sorta di repubblica indipendente, deciderà da sé i temi da approfondire. Già nsgadesso, con le tante sperimentazio- ni avviate nei singoli istituti, non è sempre facile per gli editori rispondere a esigenze molto diverse. Anche per questo i manuali sono così grossi, dunque costosi: devono offrire, oltre a un sapere di base, ricchezza di percorsi, di scelte, e spesso contribuiscono ad aggiornare gli insegnanti, li mettono in condizioni di affrontare i dettati ministeriali. La situazione è complessa e sospesa, percepita come vagamente minacciosa, però, a quanto pare, non produce ristagno, paralisi. Gli editori soffrono l'attesa, questo wait and see, questo aspetta e guarda, ma nel frattempo non rinunciano a investire: «Basta sfogliare i cataloghi - osserva ad esempio Giuseppe Covone, direttore generale de La Scuola -. Produ¬ ciamo libri coraggiosi, che cercano di anticipare le tendenze. Aggiungo che noi editori cattolici non incontriamo difficoltà particolari, anche se le scuole cattoliche non passano un buon momento. I nostri testi sono prevalentemente adottati nelle scuole pubbliche». L'interrogativo più ampio riguarda le nuove tecnologie. Berlinguer sta spendendo mille miliardi per comprare computer, entro il 2000 è previsto il collegamento telematico fra tutte le scuole. Come dovrà cambiare il libro di testo? Che cosa devono fare gli editori intanto? «Darsi da fare, inventare», è l'invito di Roberto Maragliano, coordinatore dei «saggi», cioè della commissione incaricata dal ministro di individuare «le conoscenze fondamentali su cui si baserà l'apprendimento dei giovani nella scuola italiana nei prossimi decenni». Un entusiasta, Maragliano, pedagogista a suon di bit, autore di un pamphlet velocissimo e pungente, Tre ipertesti (Laterza), contro chi non capisce le meraviglie e le necessità dell'istruzione via computer. «Agli editori dico: Osate, fratres! Inutile aspettare ancora il biberon dal ministero, perché le indicazioni sui nuovi programmi, fra alcuni mesi, saranno aperte, apertissime. Nulla sarà più come prima. In prospettiva il mercato dell'editoria scolastica in senso stret¬ to scomparirà, farà tutt'uno con quello della divulgazione. Nulla è più garantito. Ci saranno più rischi e più opportunità. Nessuno può dire che cosa faranno le scuole. Già oggi è più formativa a volte un'edicola di una libreria scolastica. Un paradosso? Mica tanto. Vista la cassetta d'inglese allegata a Topolino? Siamo sicuri che non sia meglio di tanto materiale apprestato dalla nostra cosiddetta parascolastica?». Perplessità, imbarazzo sul fronte editoriale. «I libri di testo resteranno comunque - ne è sicuro Covone -. Li adegueremo. E non saremo presi alla sprovvista: già oggi produciamo buoni supporti informatici». «Ci daranno poche indicazioni? Magari! - replica Enriques -. Gli ultimi programmi delle professionali indicavano 49 obiettivi d'apprendimento. Una follia. L'estensione dei programmi ministeriali è aumentata ben di più di quella dei libri di testo. Il rischio vero è un altro, è che si finisca con l'andare troppo in là sulla strada della descolarizzazione. Io dico che l'apprendimento fuori dalla scuola c'è sempre stato e che non va mitizzato. Quanto alla scomparsa dell'editoria scolastica, forse è una meta, ma per ora è meglio restare coi piedi per terra». Claudio Altarocca Gli editori si difendono: «Noi investiamo, ma le proposte del ministro creano solo incertezze» Replica Maragliano, °jto di Berlinguer: «Chi aspetta il biberon è destinato a sparire» l'esper

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