L'EDITORE CHE VOLO' DALLA GHIRLANDINA

L'EDITORE CHE VOLO' DALLA GHIRLANDINA L'EDITORE CHE VOLO' DALLA GHIRLANDINA Il suicidio «antifascista» di Formiggini CHE la vita di Angelo Fortunato Formiggini - operoso editore di singolarissima impronta culturale e civile, umana e politica nei primi decenni del nostro secolo - meriti, prima o poi, di essere ricostruita per il più vasto pubblico e con una vasta biografia degna del personaggio non c'è dubbio alcuno. Ma la sua tragica fine - avvenuta sessantanni fa, quando colpito dalle leggi antiebraiche leva la mano sopra di sé, e, lanciandosi dalla torre Ghirlandina, esprime la sua irriducibile protesta contro i responsabili di quei nefandi provvedimenti - è degna di un grande romanzo. 0 di rivivere nelle immagini di qualche grande del cinema. «Ghirlandeina dam un cocc/ pr'ajutèrm a fèr al bocci fi diran: cus'é 'so fagot?/ To! L'è al pover Furmajot...»: «Ghirlandina dammi una spinta/ aiutami a fare il botto/ La gente dirà: cos'è questo l pfagotto?/ Toh, è il povero Formiggini»: Formiggini ci aveva scherzato su, con serietà e ironia estrema, sulla sua dipartita. E quando si sentirà «costretto a intraprendere un viaggio molto lungo in regioni molto remote» lo pianificherà con la stessa serena e guizzante intelligenza con cui, a partire dal 1908, ha dato vita ad un'impresa editoriale durata trent'anni - incoronata da due memorabili collane come «I classici del ridere» e i «Profili» salutati da un vastissimo successo di pubblico - e tuttavia testardamente riluttante a conformarsi supinamente ai criteri del lucro e del commercio. Del resto non poteva essere che così visto come l'interessato narra l'avvio della sua impresa; «Un bel mattino di maggio, nel 1908, svegliandomi mi accorsi che avevo le mani come prima, il naso come prima, tutto come prima, pur essendo completamente diverso: non ero più uno studioso, ero diventato un editore...». Due lauree in tasca, un patrimonio di famiglia al quale attingere (non senza dover registrare sensati dissensi da parte dei familiari, giustamente sicuri che l'editoria fosse un modo pressoché sicuro con cui i ricchi possono - divertendosi più che al casinò o con le ballerine garantirsi la povertà) Formiggini sarà sempre un dilettante: pur mettendo assieme nel corso della sua avventura editoriale un catalogo di settecento opere e un bouquet di autori da far invidia ai colossi della carta stampata di allora e di oggi. Dilettante, sì, ma pieno di geniali idee - anche sul piano della comunicazione editoriale per la quale inventa il periodico «Italia che scrive» - che di questi nostri tempi, in cui si parla molto di crisi del libro e della fuga dei lettori, forse non sarebbe male rivisitare. Certo che la sua idea di editoria - almeno quella che traspare nelle sue note autobiografiche pubblicate a cura di Gabriele Turi nello scritto «Trent'anni dopo» e nei testi delle «circolari» che fa pervenire ai librai - parte dalla convinzione che i lettori si conquistano pubblicando buoni libri che «riescano con la loro grazia esteriore e con la loro intrinseca bontà a scuotere l'apatia ostinata del pubblico il quale è assolutamente refrattario a comprare libri». Umorale, intuitivo, colto (e affiancato da un'amatissima e ascoltata consorte, Emilia Santamaria, di solida formazione filosofica tanto da far affermare a qualcuno che Formiggini, la filosofia, se l'era portata in casa editrice sposandola) l'editore modenese che trasferisce ben presto la sua attività, dopo una tappa genovese, in quel di Roma concepisce lo sviluppo della sua attività soprattutto come costruzione di collane, all'interno delle quali i singoli testi si concatenano come elementi di un'architettura in elegante e permanente sviluppo: «Ho il torto - scrive nel 1928 di non saper concepire libri iso- lati: amo le collane, i battaglioni, le squadre di libri. E' un concetto che ha i suoi pregi, ma riconosco che è anche una grande fesseria». I «Profili» - veloci ritratti biografici affidati quasi sempre alle penne di studiosi di grande valore come Attilio Momigliano (suo il profilo di Carlo Porta), Concetto Marchesi (scrive su Marziale), Ernesto Buonaiuti (che ripercorre vita e opere di San Girolamo e Sant'Agostino) - compongono un insieme di 129 titoli dei quali, molti, vengono ristampati più volte. E' la conferma della giustezza dell'intuizione formigginiana che vuole presentare ai lettori spiega nella sua nota editoriale - «non aridi riassunti eruditi, ma vivaci, sintetiche, suggestive rievocazioni di figure attraenti e significative scelte senza limiti di tempo o di spazio». Ma sono soprattutto i «Classici del Ridere» (oltre un centinaio di volumi in catalogo) a farlo conoscere dal grande pubblico. La chiamata alle armi - per un editore come Formiggini che riassume in sé praticamente tutta l'azienda editoriale -. sembra spegnere la sua avventura: «Fate quello che potete» scrive, ai suoi collaboratori, prima di indossare la divisa e partire per il fronte. Ma anche da lì bombarderà di idee, suggerimenti, intuizioni che nascono proprio dal contatto con l'Italia dei soldati giunti da ogni provincia, dai giovani ufficiali e sottufficiali avidi di apprendere e privi di proposte editoriali capaci di parlare loro con semplicità ed efficacia. L'avvento del fascismo renderà - per un uomo libero come Formiggini, tutt'altro che disponibile a farsi inquadrare nella ampie schiere dei «chierici» pronti a tradire, come spiega Julien Benda in un famoso saggio di quegli anni, la loro testimonianza intellettuale piegata al conformismo arrogante dei totalitarismi - le cose sempre più difficili. E la pubblicazione della «Ficozza filosofica del Fascismo», nel 1923, non gli ha spianato certo la strada vista l'irrisione contro Gentile. Al suo ultimo viaggio Formiggini si prepara con serenità assoluta. Parte da Roma, per Modena, con un biglietto di sola andata. Prima del salto fatale dalla torre cena - come afferma in una delle ultime lettere di buon appetito: «Cotoletta coi tartufi e lambrusco». Dorme «meglio del solito» e quindi invia le sue ultime lettere. Sotto la Ghirlandina incontra un conoscente e non rinuncia alla sua personalissima ironia:«Salgo lassù per la scala; scenderò dall'esterno. Sarà meno gravoso...». Chi lo ascolta pensa stia scherzando. Non è cosi: Formiggini pochi minuti dopo vola via, libero per sempre. Starace, infame, commenterà: «E' morto da vero ebreo, senza voler comprare nemmeno un veleno per uccidersi». Oreste del Buono Giorgio Boatti Sessantanni fa, colpito dalle leggi antiebraiche: diventò famoso con i «Classici del ridere» ed anche in punto di morte non rinunciò al sorriso Angelo Fortunato Formiggini A destra: la Ghirlandina Testi citati: A. F. Formiggini Parole in libertà Edizioni Roma Roma 1945 Autori Vari A. F. Formiggini un editore del Novecento a cura di Luigi Balsamo e Renzo Cremante // Mulino. Bologna 1981 Julien Benda Il tradimento dei chierici Einaudi, Torino G. Turi Il fascismo e il consenso degli intellettuali //Mulino, Bologna. 1980

Luoghi citati: Bologna, Italia, Modena, Roma, Torino