«CHIEDO PERDONO»: L'AMERICA PURITANA AMA CONFESSARSI
«CHIEDO PERDONO»: L'AMERICA PURITANA AMA CONFESSARSI «CHIEDO PERDONO»: L'AMERICA PURITANA AMA CONFESSARSI SISTE un nesso tra Clinton, in particolare la sua retorica oratoria, e gli studi dell'insigne professore americano Sacvan Bercovitah? A questa domanda, apparentemente insensata, rispondo decisamente sì. Bercovitah (il cui nome di battesimo è addirittura un acronimo di Sacco e Vanzetti) ha dimostrato come tanta parte della letteratura americana discenda - e si sapeva - dai modelli puritani, ma ha posto l'accento proprio sulla retorica dell'oratoria e della predicazione; anzi, ha privilegiato una particolare «figura», la geremiade, che non è sinonimo di lamentazione, ma abbraccia una vasta gamma di arte della persuasione. Un caso insigne di oratoria si trova, naturalmente, nel sermone di padre Mapple in Moby-Dick di Melville. Affidandosi all'episodio bibli¬ co di Giona e della balena, il severo padre giunge a un quadro temibile del peccato, ma anche della gioia di vincerli: «Gioia a colui che nella verità non dà quartiere, e uccide, dà al fuoco, distrugge ogni peccato anche se tratto di sotto le toghe di Senatori e Giudici» (traduzione di Cesare Pavese). Verrebbe da aggiungere, o dei Presidenti. Qui padre Mapple si apparenta alla più famosa predica di tutto il '700 puritano americano, Peccatori nelle mani di un Dio irato del grande Jonathan Edwards che ebbe a scrivere: «Cristo risorse all'alba per insegnare ad alzarci presto la mattina». La mente rivolta a Clinton, esaminiamo ora l'episodio culminante di un altro fondamentale classico americano, La lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne. A Salem, cittadella puritana della Nuova Inghilterra, teatro dei processi alle streghe, un pastore noto per la sua santità e il suo rigore, il reverendo Arthur Dimmesdale, ha. avuto una segreta relazione con una giovane donna, Hester Prynne, da cui è nata una bambina. Hester, condannata dalla comunità e costretta a portare sull'abito una rossa A, simbolo del suo adulterio, non rivela il no¬ me dell'uomo. Per sette anni il marito di lei, Roger Chillingworth, incalza il reverendo, che la sua mente perversa ma razionale ha identificato; insomma, la «sanguisuga» così si intitola un capitolo del romanzo - riveste la funzione del tignoso procuratore Starr con Clinton. Alla fine il reverendo cede, e in una pubblica confessione, caratteristica istituzione puritana che ben anticipa la televisione, confessa alla comunità la sua colpa: «Popolo della Nuova Inghilterra!» grida con voce «alta, solenne e maestosa:.-, «voi che mi avete amato! Voi che mi avete considerato santo! Ecco, guardatemi. Io sono il più nero peccatore del mondo!» (tr. di Enzo Giachino, edizione Einaudi). Clinton, nella sua prima confessione pubblica, ha tradito Hawthorne, ammettendo la colpa dopo sette mesi, curiosa coincidenza di numeri - ma non dichiarandosi pentito. Ha però provveduto in un secondo tempo: «I am sorry», mi dispiace. Fortunatamente è so¬ pravvissuto alla colpa, laddove il reverendo muore dopo la confessione. La retorica oratoria puritana, peraltro, si riverbera anche sulla storia e sulla politica. Ecco il discorso di Daniel Webster per celebrare i caduti nella guerra di Indipendenza, e soprattutto un altro classico, che ancora viene fatto studiare a memoria ai ragazzi delle scuole americane: il discorso di Lincoln per commemorare i caduti di Gettysburg. La struttura è quella di una predica, insiste molto sull'iterazione e sfocia in vere e proprie formule: «I valorosi, vivi e morti, che hanno combattuto qui, lo hanno consacrato... (il campo di battaglia); questa nazione, sotto Dio, avrà una rinascita di libertà; e il governo del popolo, dal popolo, e per il popolo, non perirà dalla terra». Il referente religioso rimane, come ben si nota, determinante. Non è necessario ricorrere a Walter Benjamin o a Orwell per rilevare in che misura la persuasione pubblicitaria abbia saccheggiato queste tecni- che. Ora, dopo la pubblica confessione clintoniana (il Presidente termina sempre i suoi discorsi con un «Dio vi benedica»), andate a rileggervi il suo discorso televisivo per annunciare il lancio dei missili su Afghanistan e Sudan, e meglio ancora quello, assai notevole, ad Armagli, nell'Irlanda del Nord, per stabilire una linea di continuità fino a Lincoln, passando, s'intende, attraverso Franklin Delano Roosevelt o la «nuova frontiera» di John Kennedy. Rimane fuori, a ben vedere, un altro filone che si intreccia con quello puritano ma non lo contraddice. Ricordo, circa tre anni or sono, un discorso di Clinton alla cerimonia funebre di un vecchio senatore democratico del Sud, in cui il Presidente, prima di passare all'elogio, per rammentare che il defunto era assai spiritoso riferì - in chiesa - una barzelletta che questi gli aveva raccontato. Ma il Presidente ci serve, mi sembra chiaro, come pretesto, e se mai sarebbe opportuno ricollegare l'oratoria puritana e il principio di pubblica confessione alla fortuna tutta americana della psicoterapia di gruppo. Qui, probabilmente, essa si innesta sull'apporto ebraico, e consiglio di tentare l'esperimento, ad esempio, con qualche pagina significativa di Philip Roth. La predicazione, da Edwards a Melville a Lincoln a oggi, non passa soltanto attraverso la letteratura, ma sconfina, coerentemente, nella sanzione religiosa conferita al profitto, al capitalismo quale manifestazione provvidenziale. Non a caso, sui biglietti di banca americani, accanto al ritratto lincolniano o di qualche altro padre della patria si legge In God We Trust, in Dio confidiamo. Claudio Gorlier La retorica oratoria da Melville a Hawthorne, da Lincoln a Kennedy Hawthorne, autore de «La lettera scarlatta»: la confessione pubblica del suo protagonista, il reverendo Arthur Dimmesdale, ricorda quella di Clinton, mentre Roger Chillingworth, il persecutore, ricalca la funzione del tignoso procuratore Starr
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