PIAZZA RUSSIA: NESSUNA VERITÀ

PIAZZA RUSSIA: NESSUNA VERITÀ PIAZZA RUSSIA: NESSUNA VERITÀ GIÀ' uscendo dal cortile si sentiva la voce rauca, tonante, che urlava nel megafono: cosa urlasse, però, non si capiva, il fragore del traffico la sommergeva, e forse, chissà, non c'era neanche molto da capire... Svoltarono l'angolo del boulevard, e davvero era come aveva riferito il vecchio, la bandiera bianca, rossa e blu sventolava, e intorno si accalcava la folla; il vecchio, però, si fermò di botto, si grattò la testa stupito: be', disse, prima non erano mica così tanti, si son già moltiplicati, che il diavolo li porti! A forza di gomiti, Mark s'intrufolò tra la calca, facendosi largo fin quasi alla bandiera che pendeva, floscia, da un palo della luce; c'erano effettivamente, lì, due giovanotti travestiti con le divise dello zar, ma nessuno badava a loro, tutti fissavano a bocca aperta l'uomo grande e grosso, con la barba striata d'argento, che si appoggiava a un'icona dorata di San Sergei di Radonezh, e strillava con tutte le sue forze nel megafono. L'uomo portava una specie di maghetta militare, d'un verde mimetico; ai piedi aveva una borsa piena di volantini, al braccio una fascia giallo-marrone, e appuntato sul petto un distintivo con gli stessi colori; intorno a lui, notò Mark, s'erano assiepate soprattutto femmine di mezza età, e lo ascoltavano a bocca aperta. Un po' in disparte Mark notò cinque o sei tizi dall'aria poco rassicurante, grandi e grossi pure loro, e subito li scambiò per druzhhiniki, volontari di polizia; cosa volete? Se ne stavano lì in un angolo, con le braccia conserte, e parevano proprio i tipi giusti: uno per esempio, con gli avambracci tatuati, la guancia sfregiata da una cicatrice, doveva essere mi operaio di fonderia; l'altro, con i baffi e un inizio di pancetta - un istruttore di ginnastica... Ma poi Mark aguzzò lo sguardo: la fascia rossa al braccio non ce l'avevano, altro che vo- lontari! A guardar bene, sulle maghette sudaticce portavano pure loro il distintivo giallo e marrone, insomma era tutta un'unica banda... «Dmitrij Donskoj» strillava ^uomo dall'icona «ha salvato la Russia dai tartari, noi salveremo la Russia dagh ebrei! Tutti i veri russi sono con noi, facciamo vedere agli ebrei chi sono i padroni del Paese!». (...) In seguito, ripensandoci, Mark avrebbe voluto persuadersi che per quel delinquente e i suoi complici giallo-marroni aveva provato solo ripugnanza. Ma non era mica vero: quale ripugnanza, era paralizzato dalla paura! E se mi riconoscono? Pensò. Il cervello, intorpidito dalla calura e dalla vodka, non riusciva a pensare ad altro. E se mi riconoscono? Poi, con un soprassalto, si costrinse a calmarsi: siamo in Unione Sovietica, sono a Mosca, sono un cittadino sovietico, qui c'è la milizia che li tiene d'occhio... Già, la milizia! A due passi di h era davvero parcheggiata mia camionetta, l'uomo al volante sonnecchiava, un altro sbadigliava sul sedile posteriore; il terzo, mi capitano, era sceso in strada, ascoltava l'oratore a braccia conserte, le gambe allargate, gli stivali piantati in mezzo alla strada; ascoltava senza fare mia piega, e ogni tanto prendeva appunti su un taccuino... «I giudei e i massoni sono la rovina del Paese» continuava a berciare l'oratore. «Sono la rovina di Mosca, cittadini! Ecco, noi abbiamo studiato la pianta dei nuovi quartieri che stanno sorgendo in periferia, quartieri orribili dove l'uomo non può vivere, colate di cemento che seppelliscono la nostra foresta russa, e abbiamo scoperto che, visti dall'alto, i casermoni di quei quartieri s'incrociano, formano la stella di Davide. Ebbene, è da non credere, gh architetti che hanno progettato quei quartieri sono tutti ebrei!». Ecco, pensò Mark ipnotizzato, è come un viaggio indietro nel tempo: a Monaco, negli Anni Venti, è cominciato tutto con degli energumeni come questi, e dei boccali di birra [...]. «Compagni», incalzava barbastriata, «sono gh ebrei la rovina del nostro Paese! La Russia sarebbe ricca senza di loro! Chiedete mi po' agli ebrei dov'è finito il raccolto di grano dell'anno scorso! Chiedetegli un po' come mai al tempo dello zar la Russia vendeva il grano a tutto il mondo, e oggi deve importarlo dal Canada! Sono loro, capite, che ci speculano, i bastardi, e coi soldi nostri si costruiscono le dacie; dentro, non si può raccontare cosa ci suc¬ cede! Sono loro che ci vogliono asservire all'America, là gli ebrei comandano da cent'anni; c'è perfino stato un certo presidente, da loro, che era ebreo, si chiamava Abramo, solo il cognome se l'era cambiato, si faceva chiamare Lincoln, proprio come se lo cambiano gli ebreucci nostri! Ma quando noi saremo al potere, non gli sarà più permesso di nascondersi come sorci nei loro buchi; alla luce del sole li staneremo! Anzi» aggiunse, con un subitaneo mutamento di tono, e volgendo lo sguardo intorno minacciosamente, mentre sull'uditorio calava mi senso di gelo, «se per caso ce ne sono qui in mezzo a noi, di compagni ebrei, si accomodino qui dietro mi momentino, con loro possiamo cominciare anche subito!». Alessandro Barbero

Persone citate: Alessandro Barbero, Dmitrij Donskoj