Elogio del dilettante

Elogio del dilettante LA MEMORIA. Tretit'anni di cultura e di politica nella nuova raccolta di scritti del grande critico Elogio del dilettante piaggio in Italia con Pietro Citati MILANO DAL NOSTRO INVIATO Quando era giovane, Pietro Citati «aveva un cattivo rapporto con l'Italia». Oggi è cambiato: «Da molti anni so che questo è il mio Paese, il mio paesaggio, e gli italiani i miei concittadini. Ora viaggiare in Italia mi diverte più che viaggiare in India. Anzi, mi piacerebbe percorrerla come se fossi uno straniero». E forse un po' l'ha fatto, in questo libro dal titolo L'armonia del mondo che la Rizzoli pubblica proprio oggi, e racconta attraverso vari scritti apparsi sui giornali a partire dagli Anni Settanta (ma c'è anche un articolo del Giorno risalente al '69, che riecheggia il titolo di un suo ce lebre volume, Il tè del Cappellaio matto) una sorta di esplorazione del tempo italiano. Citati, come il suo amatissimo Goethe, viaggia nella cultura, e nella politica, fino ad arrivare al ruolo dello scrittore, a una specie di autocoscienza in quanto uomo di lettere. E viaggiando si pone domande, quelle topiche, in fondo. Per esempio: perché è così complicato essere italiani? Perché il paesaggio, «si copre di grevi e puerili cariatidi di carne» che invecchiando peggiorano, cosicché «il piccolo abilissimo industriale diventa mi goffo presidente della Confindustria; l'onesto e scrupoloso deputato un mediocre sottosegretario, e poi un cattivo ministro, e poi im infimo presidente del Consiglio e, infine, al culmine squillante delle sue glorie, un disgustoso presidente della Repubblica»? Già, perché? Alla domanda il saggista sembra quasi colto da un pentimento: «Guardi, io diffido degli scrittori che si occupano di politica. Lo scrittore deve parlare delle cose che sa; sulla politica dice spesso sciocchezze. Già mi sento colpevole di averne parlato troppo». In realtà le prose «politiche» in senso stretto sono due, su un libro di 280 pagine: due lunghi articoli che vennero - al mo¬ mento della loro uscita sui quotidiani - commentati e discussi, dedicati rispettivamente ai democristiani e ai comunisti. Nel primo, per il quale Citati sceglie il titolo un po' ammiccante e un po' «difficile» di Epicedio della democrazia cristiana, c'è un ritratto feroce e affettuoso dei democristiani, della loro «grigia grazia», del loro «ambiguo veleno». L'Epicedio è il canto in onore dei morii. Citati, li rimpiange, i de? «No. Rappresentano una cosa finita, ma interessantissima dal punto di vista antropologico. La loro perenne nebbia, la sfiducia nella storia e quella sorta di confidenza, invece, nel lasciar fare, nel lasciar accadere... Era un'arte di governo da mandarmi chiesi. Oggi assistiamo alla loro putrefazione, ma devo ammettere che nutro una profonda gratitudine verso di loro per questi 50 anni di libertà: ottenuti grazie a persone miti e mediocri». Lei scrive anche che gli storici «hanno una banale passione per il periodo fascista» ma dei de non si occupano mai. In realtà sono uscite di recente opere come quella di Ginsborg e ancor di più eh Nicola Tranfaglia che se ne occupano eccome. Traufaglia, poi, ha scatenato qualche polemica proprio interpretando questo cinquantennio democristiano all'insegna della teoria del «doppio Stato», dei poteri occulti e criminali. «Non ne so nulla. Generalmente non leggo Tranfaglia. Comunque vedere nel potere democristiano l'Italia dei complotti è da imbecilli». E comunque sia, non moriremo democristiani, secondo mi antico slogan. Ma nello scritto sui comunisti, lei si immagina sul letto di morte mentre vede «balenare per un istante i baffi appuntiti di D'Alema, i baffi folti di Mussi, la molle melanconia di Veltroni». Moriremo post-comunisti? «I comunisti sono immensamente cambiati, se non per una cosa: la presunzione di essere sempre i migliori, il loro senso della "virtù", la convinzione di essere nella storia e quindi poter incarnare tutte le "parti"». C'è di più. Lei ribadisce che anche la letteratura è stata «sedotta dal potere», benché sia «quest'alta rocca da cui si guarda con limpido terrore il mondo». Che rapporto vede tra terrore e potere? «Lo scrittore prova terrore nei confron¬ ti della realtà perché è uno straniero. Viene da altri cieli. E quindi ha terrore del potere; averne è pericoloso, perché "possedere" significa sempre allontanarsi dalla realtà. La cosa peggiore è che ormai tutti abbiamo potere, persino gli scrittori. Mentre non bisognerebbe possedere niente, neppure le idee e tantomeno gli oggetti o gli altri uomini». Di qui il suo elogio del dilettante contro lo specialista. «Sì, perché il dilettante è colui che non possiede nulla ed ha tutti i mestieri, conosce tutte le cose per esperienza, ha l'esperienza del rapporto tra le cose». Lei si sente un dilettante? «Beh, dopo averlo elogiato è difficile rispondere di no. Bisognerebbe essere come i grandi dilettanti del '600 o del '700. Certo, è difficilissimo. Ma lo specialista non capisce più la realtà». La realtà e il mito, ovvero la realtà e ciò che «continua a farcela comprendere». E' forse questa mia delle chiavi del libro, il cui sottotitolo recita: Miti d'oggi. E il termine, che nella nostra cultura è amato con un ardore almeno pari a quello con cui è detestato, compare pochissimo nel testo. Quasi una forma di pudore? «No. Questo libro è dedicato all'effimero, che però cerco di raccontare in modo che ogni cosa effimera sia anche un piccolo sguardo su un mito. Ogni tempo produce miti; questi sono i nostri. E la qualità mitica dell'esistenza, in fondo, viene sempre fuori da sola». Fra i miti d'oggi c'è sicuramente quel vasto complesso di interessi culturali noto come New Age. Molto poco stimato dalla comunità intellettuale. A Citati non dà fastidio. «E' cattiva letteratura, ma non mi imbarazza per nulla. E poi, se la New Age è, poniamo, buddista, dovrei per caso non sentirmi più autorizzato a parlare di buddismo per il resto della mia vita? Via, non scherziamo. Quella è una moda, che passerà, e di cui non sarei preoccupato». Mentre i miti non passano? «Il racconto del mito non finisce mai. Pensi all'incarnazione. Non è un mito cristiano su cui vivono duemila anni di civiltà occidentale?». Mario Baudino «Nutro gratitudine verso i de per questi 50 anni di libertà: ottenuti grazie a persone miti e mediocri» «I comunisti sono cambiati, ma hanno la presunzione di essere sempre i migliori» scrittore ro Citati a Goethe D'Alema Pietro Citati orto con l'Io: «Da molti mio Paese, il aliani i miei are in Italia ggiare in Ine percorrertraniero». E in questo lia del mondo proprio oggi, vari scritti partire dagli anche un arlente al '69, di un suo ce Cappel esplorao. amatissiElopiagg Qui accanto lo scrittore Pietro Citati A destra Goethe e Massimo D'Alema

Luoghi citati: India, Italia, Milano