Delfino; non sono l'Uomo nero dell'Italici

Delfino; non sono l'Uomo nero dell'Italici Il generale indagato: «Una storia vecchia di mesi ripescata a poche ore da un pronunciamento su di me» Delfino; non sono l'Uomo nero dell'Italici «L'accusa di depistaggioper la strage di Brescia è Vultimo veleno» MEINA (Novara) DAL NOSTRO INVIATO «Cosa posso dire? Che certe mosse proprio non le capisco, o forse le capisco troppo bene. Questa inchiesta di Brescia nei miei confronti è una storia vecchia di mesi, ma torna fuori adesso, a poche ore da una decisione della Cassazione che mi riguarda. Un caso? Io, il generale Delfino che a Brescia, da capitano, ha arrestato golpisti e bombaroli neri, mi ritrovo indagato per collusione, contiguità o non so cos'altro con quelli che ho mandato in galera! Mi dicono che mi ha chiamato in causa un "pentito", sta a vedere'che magari è uno dei pezzi grossi, uno di quelli del tentato golpe del '74, uno che certo non mi amerà mai. 1974, chi se la ricorda più l'Italia di quegli anni? Io stavo, come sempre, ripeto sempre, con le istituzioni. Le stesse istituzioni dove altri, ripeto altri, giocavano un'altra partita. Dice niente la Loggia P2?...». Si fermi, generale. Il 1974 è lontano e lei è qui, agli arresti domiciliali in una villa con vista sulla ferrovia, a disposizione della magistratura che indaga sul sequestro Soffiantini e quel miliardo che lei si sarebbe intascato... «Ottocento milioni, prego. Ma posso spiegare tutto». Generale, non basterebbe un libro. 1974: lei era «Giaguaro Uno», ufficiale stimato, decorato e come capita anche nella Benemerita già piuttosto invidiato. Ora cos'è? «Il mio avvocato dice che mi vogliono far passare per il "Grande Vecchio"». Elei? «A dar retta a quel che leggo sarei l'Uomo Nero di 30 anni di Repubblica italiana». Invece? «Sono in mi momento difficilissimo della mia vita e non posso che reagire con la verità dei fatti». La sua verità qual è? «Che sono stato e sono oggetto di una guerra sporca, unilaterale, che non immaginavo travalicasse i confini della gelosia professionale». Come sostengono i suoi difensori una guerra dichiarata dai Ros, il reparto operazioni speciali dei carabinieri? «Noto che qui si è passati alla ricerca spasmodica di "pentiti" da utilizzare contro di me». Dunque i casi sono due: o lei è un gran mascalzone come sostengono i suoi accusatori, oppure i grandi mascalzoni sono quelli che l'accusano. Sarebbe comunque un bel regolamento di conti nella Benemerita. «E' dal 1993 che vanno avanti queste storie. Ho mandato esposti e denunce, ogni volta che si avvicinava una promozione alt!, ecco l'avviso di garanzia per un'inchiesta che poi finisce in niente. E chi aveva condotto le indagini?». Domanda retorica, i Ros. Ma se è come dice lei tra Arma dei Carabinieri, magistratura e ((pentiti» c'è da star lontani. «Bisognerebbe vedere chi ha avvicinato questi collaboratori, chi sono e chi sono gli investigatori...». Per questa inchiesta bresciana, inchiesta su una strage che non ha colpevoli, corre il nome di Carlo Fumagalli, il capo del Movimento di Azione Rivoluzionaria. Potrebbe essere lui il ((pentito»... «Mi limito a ricordare che il capitano Delfino lo arrestò il 5 maggio 1974. Il 28 ci fu la strage. Per il 12 giugno di quell'anno, giorno del referendum sul divorzio, era pronto un piano eversivo per instaurare in Italia una Repubblica presidenziale. Durante l'inchiesta condotta dalla magistratura bresciana trovarono le prove e il proclama. Ma chi se lo ricorda più il 1974?». L'anno della strage di piazza della Loggia. I bresciani lo ricordano benissimo. «Anch'io. Come nucleo investigtativo raccogliemmo la deposizione del padre di Angiolino Papa. Ci disse che Ermanno Buzzi non solo aveva violentato il figlio, ma aveva a che fare "con le bombo". Da quel momento l'inchiesta è andata avanti con dele¬ ga della magistratura». Come dire che le sue indagini, la sua attività investigativa, non sono mai state autonome e quindi non possono essere né sospettabili né indagate? «Su questo sono stato interrogato, e su mia richiesta, dalla commissione Stragi. Giugno 1997. Una deposizione lunghissima, 200 pagine di verbale tutt'ora in gran parte "sogretati". Ho detto tutto quello che avevo da dire, ho risposto a tutte le domande». Non è che l'accusa può essere quella di aver ùnpedito l'accertamento di altre responsabilità? «Il non aver approfondii o alt re piste, ad esempio quella che portava ad estremisti neri di Milano, a Cesare Ferri ad esempio? Ma non scherziamo! 11 1° giugno l'ho arrestato io, ma due giorni dopo è stato rimesso in libertà dalla magistratura». Generale, e allora perché questa inchiesta? «Ma che ne so! In pochi anni la magistratura mi ha messo sotto inchiesta per il golpe Borghese, come capo della Cia in Italia, come trafficante d'armi, come capo delle Brigate Rosse, come uno in combutta con le cosche della 'ndrangheta per i sequestri di persona, come uno che estorce soldi nella vicenda Soffiantini. E adesso la strage di Brescia». Appunto, è un complotto? «Mi viene in mente una frase di Cossiga, è lui che mi definì un perseguitato politico». Ma perché proprio lei? «Negli Anni 70 il capitano La Bruna (il Sid, ma chi se lo ricorda più il Sid?) disse che avevo "rotto lo uova".. Alla fine degli Anni 80, quando io ero già mipegnato in missioni all'estero, venne fuori che altri uomini dell'istituzione, intendo l'Arma dei Carabinieri, erano dall'altra parte. Se si pensa a quello che è emerso sulla Loggia P2, anche se poi dal punto di vista giudiziario è finito in nulla...». E «quelli» erano i suoi nemici? «Licio Celli in Sud America l'ho scovato io. Roberto Pazienza negli Stati Uniti pure. Sono stato il primo e l'unico a vedere Roberto Calvi a Londra, sotto il ponte dei Frati Neri...». E adesso è qui agli arresti domiciliari, a veder passare i treni. «Sono qui a tentare di rimanere il piti sereno possibile. A combattere contro le falsità sul mio conto, come quella che avrei tentato il suicidio nel carcere militare di Pescliiera. Ho 62 anni, sono stanco e malato, ma non mi arrendo. Perché non sono io l'Uomo Nero, non sono quello che tentano di farmi passare. Non sono io il mascalzone...». Giovanni Cerruti «Sono oggetto di una sporca guerra unilaterale che non immaginavo superasse i confini della gelosia professionale» «Sono alla ricerca spasmodica di pentiti da usare contro di me Ha ragione Cossiga a descrivermi come un perseguitato politico» A lato il generale dei carabinieri Francesco Delfino A destra il procuratore di Brescia Giancarlo Tarquini