«Una ferita inguaribile»

«Una ferita inguaribile» «Una ferita inguaribile» Igenitori di Marta-, e la verità sfugge LA DISPERAZIONE DI UNA FAMIGLIA LROMA A madre di Marta Russo, Aureliana, sorride solo una volta: quando parla della fondazione che porta il nome della figlia e che si interessa di trapianti di organi e ricerca scientifica, cui «in un giorno - dopo che la tv ha trasmesso il numero di telefono sono arrivate quindici chiamate!». Il padre, Donato, sorride solo una volta: quando parla dell'altra figlia, che ha 26 anni e sta per laurearsi, «è all'ultimo esame, ha fatto Lettere con indirizzo Archeologia: vuole fare l'archeologa!». Poi il velo di tristezza che ricopre i loro volti e in cui sono immerse le loro giornate sembra farsi ancora più fitto. Nell'aula bunker - affollata fino aU'mverosimile, con la gente che non viene fatta entrare per mancanza di posti - sembrano soli. Si muovono cedendo a tutti il passo, siedono composti l'uno vicino all'altra, mai hanno un moto di stizza quando i flash dei fotografi si fanno martellanti. Il dibattimento dura mattina e pomeriggio, e loro non perdono una battuta. Nel breve intervallo all'ora di pranzo vanno a mangiare un panino al bar della casa dello studente, dietro l'edificio dove si processano i presunti assassini di Marta. «Stare qui è un'esperienza di dolore. Queste ore di interrogatori, battute, silenzi, non ci portano nessuna consolazione. Riattizzano anzi la sofferenza per ima ferita che non si è chiusa. E chissà se si chiuderà mai», dice la madre. Torna in silenzio. E il marito le cinge le spalle senza una parola. Tutto il rumore che intorno al caso sta crescendo di giorno in giorno li turba, li sconcerta. «Noi siamo gelosi del nostro dolore. Non voghamo portarlo in piazza, non voghamo esibirlo e neppure parlarne. E' qualcosa di assolutamente privato. Lo custodiamo. Sappiamo viverlo solo così: questa è l'unica maniera che conosciamo», dice il padre. Un lutto tanto atroce arriva in Parlamento, ne parla il presidente del Consiglio, diventa un caso politico, investe e amplifica il sentire privato. La madre osserva: «Non voglio fare commenti. Dico solo: troppe persone hanno parlato, troppe persone che conoscono poco i fatti. Farebbero bene ad ascoltare, ad informarsi prima. Questo non ci aiuta. Quanto sta accadendo è diverso dalla solidarietà della gente qualsiasi: quella sì ci dà calore». Gabriella Alletto parla, si contraddice, non ricorda, confonde. Donato e Aurehana Russo non giudicano, non commentano. «Lo faremo dopo. Ora non abbiamo niente da dire. Il processo lo si fa nell'aula, lo fanno i giudici, i periti e i testimoni. Non lo si fa con le parole che tutti si sentono autorizzati a dire. Noi abbiamo fiducia nella giustizia. Chiediamo giustizia», dicono, quasi mettendo a capire quello che si dovrebbe fare, difficile è farlo. Perché tanta gente scappa, quando vede davanti a sé un incidenti;? Io sono un pedagogo. So che la coscienza dei propri diritti o doveri, il sentirsi cittadino c non suddito è qualcosa che si costruisce, con fatica e con pazienza. Non sempre e non dovunque, purtroppo». Loro hanno l'atto la donazione degli organi della figlia, hanno dato agli inquirenti tutta la loro fiducia, non hanno mai pronunciato parole di odio ispirate dal desiderio di vendetta. Un esempio di civile e dolente testimonianza. Che adesso si misura con i complicati rituali della giustizia. «Ci sono tante cose che non capisco osserva Donato Rvisso -. Ad esempio, perché l'imputato non presta giuramento? Perché può diro oggi questo e domani quello? E perche il teste viene invece martellato sulle suo dichiarazioni come se fosse un imputato?». Il giovane che forse è un suo ex allievo insiste: «E, allora, perché uno degli inquirenti ha detto che loro non daranno nessuna collaborazione alla difesa? Un processo non è il luogo dove si cerca la verità anzitutto7 La verità non è l'obiettivo da raggiungere?». La madre di Marta Russo si allontana per tornare al suo posto. Il padre replica: «La collaborazione si può dare quando ciascuno assolve ai propri compiti con correttezza, rispettando quanto gli altri fanno. Qui non è successo. La difesa ha rotto lo spirito di collaborazione. Guardi cosa è successo con il famoso video. Loro se ne sono impossessati e ne hanno diffuso un brano soltanto. Una frase estrapolata da un articolo, da un libro, può tradire il senso dell'articolo, del libro. Se io prendo un prowedimento di espulsione dall'aula di un alunno, vengo condannato da chi non conosce, e non vuole conoscere, tutti i precedenti di quell'alunno. Adesso il video arriva a tutti. Tutti possono giudicare. Le reazioni dettate dall'emotività e non dalla conoscenza non sono un bene. Per la difesa questo video può diventare un boomerang». Liliana Madeo confronto l'atroce assurdità di quel colpo di pistola che li ha privati ad un tratto - in una mattina di primavera - di una figlia ventenne, e il bisogno di un punto di riferimento in cui credere e da cui sentùsi sostenuti. «Non conosce il valore delle parole che dice, usa termini a caso», ammette il padre, che pure mai pronuncia il nome di quella che secondo gli inquirenti è la principale teste d'accusa. «Sconcertante. Una persona sconcertante, professore. Una donna che non ha un briciolo di senso sociale, di senso di appartenenza alla società. Che parla solo di sé, dei benefici o degli svantaggi che possono venule dal dire quello che conosce, che sceglie di accusare o di difenderò a seconda del grado di parentela che la lega alla persona inquisita», incalza un giovane, forse un suo ex allievo. E Donato Russo corregge il tiro: «Ogni persona va vista nel suo contesto, in quelio che è il suo livello di cultura, la sua capacità di comunicazione, la capacità di dare ascolto al suo sentire: è facile «Stare in quest'aula è una esperienza dolorosa e per nulla consolatoria» «La difesa ha rotto 10 spirito di collaborazione 11 video? Un boomerang»

Persone citate: Donato Russo, Gabriella Alletto, Liliana Madeo, Marta Russo