«Era così la pistola che uccise Marta»

«Era così la pistola che uccise Marta» Nuovo interrogatorio della supertestimone: alcune contraddizioni, ma di nuovo accuse precise ai killer «Era così la pistola che uccise Marta» La Alletto disegna l'arma, presto a confronto con Scattone ROMA. Nell'aula di tribunale dove si processano Scattone e Ferrara c'è nell'aria l'eco delle roventi discussioni che seguirono alla trasmissione in tv delle famigerate videocassette. Apparentemente tutto procede come al solito. I pm Italo Ormanni e Carlo Lasperanza - che presto dovranno andare a discolparsi davanti a una commissione del consiglio superiore della magistratura - sono al loro posto. Gli avvocati presenziano al gran completo. Il pubblico è accorso come non mai. Tutti a seguire il terzo giorno di interrogatorio per Gabriella Alletto, l'accusatrice numero uno. Ma, appunto, è apparenza. Ormanni, solitamente gentilissimo, si fa precedere da una scorta arcigna di carabinieri. Lasperanza perde la pazienza con facilità: «Non intendiamo collaborare con questa difesa», dirà a brutto muso, a un certo punto, all'avvocato Francesco Petrelli, difensore di Scattone. Quanto a Scattone, i suoi difensori chiedono un confronto tra il giovane e la sua accusatrice. Lei, l'Alletto, sarebbe anche disponibile. Ma poi interviene il presidente della corte; signora, lei è stanca? «Un poco». Allora si rinvia. Il confronto, che si annuncia drammatico, comunque si farà. Per un giorno ancora, monopolizzando l'attenzione, protagonista resta lei, l'enigmatica Gabriella Alletto: per un mese disse di non sapere niente, poi cede di schianto, raccontò di aver visto Scattone sparare e Ferrara mettersi le mani nei capelli. Su questo «ribaltone» si appuntano le domande degli avvocati. Comincia Franco Coppi, il difensore del senatore Giulio Andreotti. Qui è il legale del direttore dell'istituto di filosofia del diritto, il professor Bruno Romano. Un fuoco di fila di domande a cui Gabriella Alletto risponde monotona: «Per me è stato un grande travaglio. Io ho avuto un conflitto enorme. E' stato un trauma. Solo il 14 giugno (parlando con i funzionari della Digos, ndr) ho avuto la consapevolezza di ciò che avevo visto e allora ho parlato». Oppure: «La mia coscienza era sicura di dirlo quel giorno. Prima ero piena di dubbi». Però, nonostante tutto, tiene duro sulle accuse: «Il professor Romano, in più occasioni, si è affacciato alla porta della segreteria e ci ha detto: "non hanno niente in mano, noi siamo innocenti, non abbiamo fatto niente". Non un dialogo completo, ma frasi che diceva in maniera estemporanea». E' incalzante anche la sua as¬ sistente, l'avvocato Giulia Bongiorno. L'Alletto ricostruisce: «Quella mattina sono entrata nell'aula 6, ho visto i fatti, sono rimasta senza parole, però non avevo capito subito che cosa era successo, mi sono allontanata per rientrare in segreteria». C'era il professor Romano? «C'era anche lui». Perché non ha detto al direttore dell'istituto di aver visto Scattone con una pistola? «Non l'ho detto». Perché? «Perché mi sembrava una cosa gravissima». Interviene il presidente Amato: scusi signora Alletto, più una cosa è grave e meno la si denuncia? «In quel momento non me la sono sentita». Riemerge con DreDotenza. in¬ somma, la Gabriella Alletto che già si conosceva. Preoccupata innanzitutto di salvaguardare la sua persona e la sua tranquillità. Una personalità calcolatrice che non piace a molti. Anche oggi insiste sul fatto che «non c'è più la solidarietà umana». E quindi lei si difende chiudendosi a riccio dall'aggressione di un mondo ostile. Dice: «Io mi ero incaponita a non parlare. Più mi esortavano ad aprirmi e peggio era». Ma in fondo fa anche mi po' pena questa donna che con il montare delle ore e delle domande si accartoccia sempre più su sé stessa e sembra dover cadere dalla sedia nell'incassare colpi. Si viola allegramente la sua privacy, ad esempio. Si interviene, si commenta e si pontifica sulla sua invalidità civile. L'unico a scusarsi è il giudice a latere, De Cataldo, quando, tirato per i capelli, è costretto a leggere un certificato medico in merito a interventi chirurgici e problemi ortopedici della signora. Ma la questione della invalidità civile - che è alla base dell'assunzione di Gabriella Alletto all'università di Roma - è occasione anche di un durissimo botta e risposta tra i pm e l'avvocato Petrelli. Quest'ultimo vuole sapere a tutti i costi se la signora Alletto è stata indagata come falsa invalida o no. Se esisteva un procedimento penale a suo carico. Oppure se è stato archiviato. Risponde Ormanni: «Io non lo so. Se anche lo sapessi, non potrei dirlo perché violerei il segreto istruttorio». Petrelli: «Vogliamo sapere se alla signora è stata promessa l'impunità». Ormanni: «Ma per cortesia... mica siamo in America». Finisce che interviene la corte: la signora Alletto non è affatto una falsa invalida, ci sono i certificati medici a provarlo. Cade la materia del contendere. Ma l'interrogatorio di Gabriella Alletto riserva ancora qualche sorpresa. Quando il presidente Amato le dà carta e non¬ na e le fa disegnare la pistola che ha visto in mano a Scattone: lei disegna una bolla pistola automatica che poi gli avvocati si passeranno di mano in mano. Oppure quando ammette candida: «Sapevamo di essere intercettati. Avevamo visto la polizia con delle strano apparecchiature. Al mattino trovavamo i mobili spostati. Io mi ero immaginata anche di essere intercettata al telefono». L'udienza termina con la visione della videointercettàzione. Immagini (meglio, brandelli di immagini) che tutti hanno visto e che però la giuria popolare non conosceva. Francesco Grienetti «Nell'aula numero sei c'era anche il professor Romano Ci disse: noi siamo innocenti, non hanno prove» «Mi ero incaponita a non parlare. Sapevamo tutti di essere intercettati, pensavo che controllassero il telefono» i a A sinistra i genitori di Marta Russo. A destra Gabriella Alletto. Sotto Scattone e Ferraro

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