la guerra del Kosovo n Tirana

la guerra del Kosovo n Tirana Agguato nella notte al responsabile della Difesa (e dei guerriglieri anti-serbi) la guerra del Kosovo n Tirana Ucciso un ministro-ombra TIRANA DAL NOSTRO INVIATO Si muore ancora così, qui a Tirana, dove la vita vale il prezzo di un proiettile. Una raffica di Kalashnikov al petto, quando tutt'intorno è buio, le strade sono deserte, i cani abbaiano alla luna e tu stai per raggiungere la soglia di casa e, forse, per un momento ti sei illuso che la tua guerra, quella che si combatte oltrefrontiera ma si gioca qui, almeno per questa notte sia lontana. Ahmet Krasniqi aveva quarant'anni, era nato nel Kosovo ed era stato colonnello nell'esercito jugoslavo, poi aveva combattuto in Croazia e in Bosnia. Era il ministro della Difesa del governo ombra kosovaro. L'hanno aspettato in quella viuzza dove l'8 novembre del 1941 fu fondato il partito comunista albanese, nel quartiere di Medreseja, quello della scuola dei mujahiddin. Abitava qui da tre settimane: troppe, per essere sicuro di non correre rischi. Eppure, l'auto di scorta lo ha lasciato all'inizio del vicolo e i killer erano lì, ad attenderlo. La raffica lo ha scaraventato a terra, e poi tre colpi di grazia, due alla testa, uno al collo. Le tenebre hanno protetto gli assassini, altrove, in città, scoppiavano bombe: più baccano che danni. Ma lontano, lassù in Kosovo, la situazione era tornata incandescente con i serbi che avevano scatenato i blindati a Ovest di Pec e quelli dell'Uck, l'esercito irredentista, che avevano catturato nove politici e due giornalisti, pare, considerati collaborazionisti. Naturalmente l'agguato viene letto e, se possibile, sfruttato da destra e da sinistra. Sali Berisha, l'ex presidente accusato di aver trascinato i suoi nel tentativo di golpe, ha dichiarato che «è probabile che si sia trattato di un'azione combinata fra i Servizi segreti dell'Albania e quelli della Jugoslavia, gli stessi che in passato hanno avuto ottimi rapporti di cooperazione soprattutto nella notte, quando cominciano a lavorare per far fronte all'imperialismo americano ed europeo». Poi, per essere più chiaro: «Nessuno dubita che il governo stia organizzando atti di terrorismo di Stato». Gli sembra ovvio legare l'agguato a quello in cui è caduto Azem Hajdari, suo fedelissimo, e così, per oggi, lancia un appello a tutti gli albanesi: «Appuntamento alle 17, in piazza Scandarbeg». Ma i suoi nemici, i socialisti, sono stati altrettanto rapidi a piangere quell'uomo venuto dal Kosovo. Sabit Brokaj è consigliere militare del presidente Rexhep Mejdani, ma fu anche cardiologo di Ènver Hoxha ed è considerato un irriducibile, rappresentante ostinato dell'ala dura del partito. Ha detto: «Lo scopo strategico di quest'assassinio è destabilizzare l'Albania e in questo modo colpire la fratellanza fra albanesi. Insomma, si tratta dell'assassinio più antinazionale dell'intera storia del nostro Paese». Ai medici del pronto soccorso dell'Ospedale numero uno, la Clinica universitaria, Iliaz Ramajli, ambasciatore del Kosovo, aveva appena detto, gli occhi lucidi: «Ci hanno colpito ancora». Come se conoscesse gli assassini. Ora che la via di Tropoje e Bjram Curri è sbarrata, come quella di Kukes, più a Sud, la gente che fugge dal Kosovo punta su Scutari. Nei boschi attorno a Djakova, appena al di là della frontiera, sono in cinquanta, forse sessantamila che aspettano. Sono diciotto-ventimila i profughi qui in Albania, disseminati un po' dappertutto. Considerati non soltanto un problema ma anche un business. «L'80% paga l'affitto delle case che occupa, fra i trenta e i trecento marchi mensili», osserva Alessandra Morelli, responsabile per l'Alto Commissariato Onu per i rifugiati dell'Albania del Nord. «Tutti mostrano un desiderio enorme di tornare; del resto, ha detto qualcuno, "la più grande povertà del profugo è perdere la propria terra"». A Scutari sono in quattromila, altri seimila a Durazzo, in riva al mare, con la tentazione di raggiungere Lamerica che p:ù dell'Italia sono la Germania e la Svizzera. «Là hanno parenti, amici. Qualcuno parla già il tedesco. Vogliono ritornare, ma vorrebbero anche una vita decente», diceva ieri Silvio Tessali, responsabile della Caritas. Ad Arra e Madhe, il Grande Noce, parrocchia francescana, quattrocento persone aspettano e ricordano. Ali Gajeri, che ha quarant'anni, tre figli e faceva l'operaio, lassù a Junik, nel suo paese, ricorda: «Sono arrivati la notte, hanno saccheggiato e incendiato. Serbi, con i me- gafoni ci hanno ordinato di andarcene». E' scappato subito, a piedi, con la moglie e il figlio più piccolo stretto al petto, hanno camminato per tutta la notte e quella dopo, sempre con il cuore in gola, perché alle spalle udivano i blindati e il bosco era disseminato di mine antiuomo. Quando quelli del partito demo¬ cratico hanno fatto il loro corteo, nella piazza 2 Aprile di Scutari, inneggiando a Berisha, c'era il sole ed era caldo e pareva una festa. Ma cinquecento fantasmi, s'è saputo a sera, si avvicinano ad Anni Hoti, che è poco più a Nord, ed è il confine con il Montenegro. Vincenzo Tessandori Interviene Pretoria, 40 morti JOHANNESBURG. Le truppe del Sudafrica sono penetrate ieri mattina alle cinque (locali ed italiane) nel regno del Lesotho, Stato monarchico incuneato nel cuore del Sudafrica. Ieri sera a Maseru, la capitale, si combatteva ancora. Sono almeno una quarantina i morti e una sessantina i feriti nei combattimenti tra le truppe sudafricane e i militari e civili del Lesotho. Sono cinque i soldati di Pretoria uccisi; una ventina i feriti. Molti gli arresti. Ufficialmente i 600 soldati sudafricani (più 200 del Botswana) compiono un'operazione per conto del Sade, l'organismo che raggruppa i Paesi dell'Africa Australe. Al Sade l'intervento era stato chiesto dal governo (vincitore di elezioni contestate dall'opposizione) per contrastare una sedizione di militari. Il Sudafrica afferma che l'operazione riporterà l'ordine e riaprirà le trattative con l'opposizione: «Non dialoghiamo - è stata la risposta - sotto la pressione di un'invasione armata». [Ansa] arìtas Shqiptar Un edificio occupato da profughi del Kosovo alla periferia di Scutari