Bertinotti pronto all'opposizione di Antonella Rampino

Bertinotti pronto all'opposizione Bertinotti pronto all'opposizione Nesi: ormai è decisala rottura con Romano ROMA. Ma quale partito antagonista, di squatter, spontaneisti, sindacalisti dell'estrema allo sbaraglio, più spezzoni dell'intellighezia che fa capo al manifesto... Non è questo il partito nuovo che Bertinotti in queste ore va immaginando, il «progetto politico» di cui tutti parlano e che sta facendo implodere il partito, con devastante effetto di trascinamento sul governo Prodi. No, Bertinotti, se davvero rompe, e c'è chi come Nerio Nesi è convinto che il gioco sia già deciso, ha in mente un'altra cosa: non l'antagonismo radicale, che pescherebbe voti nella fascia ampia del non-voto, ma un partito d'opposizione. Di più: «Noi faremmo opposizione responsabile» assicura Franco Giordano, braccio destro di Bertinotti nelle politiche sociali e per il lavoro. L'«opposizione responsabile», dopo la richiesta delle riforme di struttura che stamattina Bertinotti avanzerà a Prodi, è fonnula che fu il cavallo di battaglia del pei ai tempi, mitici, di Enrico Berlinguer. «Se passassimo all'opposizione, noi voteremmo con il centro-sinistra quei provvedimenti che riterremmo utili per il Paese e condivisibili per la nostra politica», dice ancora Giordano, spiegando i progetti di Fausto. Lo scenario in cui s'inserirebbe Rifondazione è evidente. Bertinotti non crede affatto, come Cossutta, che Scalfaro potrebbe dare le dimissioni per farsi rieleggere e sciogliere le Camere, «Voglio vederli, i deputati che votano Scalfaro al solo scopo di permettergli poi di mandarli a casa» dice infatti Giordano. E dunque, se davvero il governo Prodi andasse in crisi, Rifondazione non si farebbe spaventare da scenari elettorali. Al presidente del Consiglio non resterebbe che recarsi al Colle. In quel caso, non importa se nasce un Prodi-bis o se cambia il premier: quello che importa a Rifondazione, è che la Finanziaria finirebbe nel cassetto, per un bel po' almeno. I comunisti potrebbero andarsene all'opposizione, con una bella rendita di posizione, almeno fino alle prossime elezioni. Meglio ancora, naturalmente, se al governo Prodi arrivassero gli uomini di Cossiga, «e che tutt'al più potrebbero mettere Mastella all'Istruzione» dice un colonnello bertinottiano. Le elezioni certo ci sarebbero comunque, «ma dopo 6, 8 mesi: e allora, ce lo vedete D'Alema rinunciare ai nostri voti?», dicono a viale del Policlinico. Dove, peraltro, si è assolutamente consapevoli, e altrettanto determinati, a vivere la turbolenza fortissima che, in caso di rottura, ci sarebbe con i cugmi di Botteghe Oscure. Un calice amarissimo, per Rifondazione, che dovrebbe portare interamente sulle proprie spalle la colpa grave di aver seppellito il governo dell'Ulivo. Ma, appunto, forti di un progetto politico. Se saremo costretti a rompere, ipotizzano ancora i rifondatori bertinottiani, avremo raggiunto un risultato, «evitare che si stabilizzi la linea di politica economica liberista del governo». Perché, e qui il ragionamento si amplia fino ad abbracciare l'orizzonte internazionale, il super-Ulivo mondiale esiste eccome: «E' il capitalismo moderato, il liberismosoft di Blair, Clinton e Prodi che propongono uno Stato sociale minimo, e appena un po' di protezione per le fascie sociali deboli». Un asse che è solo una delle due tesi «della sinistra moderata in crisi di egemonia irrisolta», per dirla sempre con Giordano. L'altro asse è ancora una scommessa. Punto fermo la Francia, dove Martin Aubry ha appena varato la legge sulle 35 ore e s'appresta a far assumere direttamente dallo Stato 350 mila giovani. E pedina variabile la Germania, dove Schroeder potrebbe anche vincere le elezioni, e nel suo programma elettorale c'è il ritorno alle politiche di intervento diretto dello Stato in economia. Lo scenario è ancora allo stadio progettuale. Bertinotti non ha deciso la rottura per il semplice motivo che continua a premere per la svolta. E perché, comunque, occorre attendere la battaglia vera del Comitato politico nazionale, il 3 e il 4 ottobre. Ma anche lì, i bertinottiani che hanno stravinto l'altroieri in direzione nazionale, si sentono sicuri di portare a casa il risultato. A quel punto, i giochi all'interno del partito saranno aperti. I bertinottiani temono quel che i cossuttiani hanno già dichiarato che non faranno mai: alzarsi e votare per la Finanziaria, anche contro le decisioni del Comitato politico. Un gesto grave, che nella storia della sinistra in Italia, e in particolare in quella breve di Rifondazione, ha sempre portato a scissioni. I voti cossuttiani in Parlamento, che è come dire il fronte lungo cui si combatterà la battaglia per la Finanziaria, sono 21. Un nu- mero pericoloso, perché la soglia per costituire un gruppo politico a sé stante è di 20 parlamentari. Ma tranquilli, dicono a viale del Policlinico, la campagna acquisti è già iniziata. E tra i bertinottiani vengono già annoverati Giuliano Pisapia, presidente della commissione Giustizia, e la vicepresidente del gruppo, Maria Carazzi. Antonella Rampino Il leader di Rifondazione Fausto Bertinotti

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