In Laos il vero tempio di Shiva

In Laos il vero tempio di Shiva Missione archeologica italiana risolve uno dei grandi enigmi della civiltà khmer In Laos il vero tempio di Shiva Nel cuore della foresta il sacro Lingam E| ROMA / il vero tempio di Shiva, quello di cui parlano gli storici antichi, il sancta 1 sanctorum dei Khmer». A Patrizia Zolese, direttore della missione archeologica della Fondazione Lerici in Laos, brillano gli occhi mentre parla dell'ultima, sensazionale scoperta, annunciata alcune settimane fa in Malesia al congresso internazionale della Indo-Pacific Prehistory Association. Per raggiungere il tempio, gli archeologi hanno dovuto scalare una montagna di 1416 metri, il Lingaparvata (lett. montagna del fallo di Shiva), così chiamato nelle iscrizioni sanscrite per la sua particolare cima a forma di Lingam (in sanscrito, simbolo fallico). «Non è stata impresa facile - racconta Zolese -, l'intricata foresta sembrava non lasciare passaggi. Giunti sul piccolo pianoro alla base del Lingam naturale, subito la prima sorpresa: un altare e un Lingam in pietra sul suo basamento. Erano probabilmente caduti dalla cima dove, arrampicandoci per la roccia scoscesa, abbiamo rinvenuto le fondamenta del tempio». La scoperta getta finalmente luce su quanto affermato in un passo della cinese Storia dei Sui (VI secolo d.C). Vi si narra infatti che nei pressi della capitale della regione del Chenla (l'attuale piana del Bassac, sulla riva destra del Mekong) sorgeva la montagna sacra Ling kia po p'o, e sulla sua cima mille soldati custodivano il tempio del dio P'o to li. Qui una volta l'anno, durante il plenilunio, il re sacrificava una vittima al dio Agli inizi del nostro secolo Henry Parmentier (il padre degli studi sulla civiltà khmer) portò alla luce il famoso complesso monumentale khmer di Wat Phu, situato alle pendici del monte, e lo identificò con il tempio citato nelle cronache. «Restava però da chiarire spiega Zolese - perché le cronache menzionassero con precisione due aspetti caratteristici della regione, una capitale e la cima del monte. Non dimentichiamo poi che, fra le divinità indù, i khmer prediligevano proprio Shiva rap- presentandolo, in qualità di dio della creazione e della fertilità, sotto forma di Lingam. Sua dimora erano le montagne, e i santuari khmer riproducevano con l'architettura la forma di un monte. Ma il Lingaparvata è già un monte, e sulla sua sommità c'è il Lingam naturale: lì dunque era la dimora del dio». In quest'ottica il complesso di Wat Phu assume un significato diverso. «Mentre sulla cima del monte erano ammessi solo i bramini e il re, in quanto dio lui stesso - continua Zolese - Wat Phu, più a valle, era il tempio destinato al culto dei fedeli, di tutti coloro che non avevano diritto di accesso al sancta sanctorum. Ma che della presenza del dio e di ciò che si compiva sulla cima percepivano il riflesso diretto. A partire dal grande sacrificio che il re eseguiva an¬ nualmente, e che forniva l'occasione per una grande festa, il festival di Wat Phu». E' questa una tradizione tuttora viva, che raccoglie ogni anno al tempio durante il plenilunio di febbraio fedeli da tutto il Laos. Anche se oggi è la statua di Buddha a campeggiare dove un tempo era il grande Lingam di Shiva. Il sacello sulla cima del monte non è che l'ultimo anello di una catena di scoperte di grande interesse. Della regione infatti gli scavi precedenti, interrotti cinquantanni fa a causa degli avvenimenti politici, avevano portato alla luce solo Wat Phu e alcuni templi vicini. Gli archeologi italiani, giunti in Laos nel 1993, hanno subito esteso le ricerche oltre il complesso monumentale. Con gli strumenti della Fondazione (ha sede a Roma ed è l'unico istituto italiano che da cinquantanni è specializzato in prospezioni geofisiche per l'archeologia), hanno battuto a tappeto la foresta monsonica trovando i resti di una grande città sulla riva del Mekong: l'antica capitale citata nelle cronache cinesi. E' a tutt'oggi l'unico esempio di impianto urbano così antico (VVIII secolo) sopravvissuto integralmente nel Sud-Est asiatico. Attorno alla città, hanno trovato villaggi e templi, e più lontano un'altra città fortificata. E' risultato dunque chiaro come la sacralità del luogo (ma anche la fertile pianura e la prossimità al Mekong) avesse dato vita a un'area urbanizzata molto estesa, popolata ininterrottamente per quasi un millennio. Del resto, proprio lì oggi si sta costruendo il grande ponte sul Mekong, punto nevralgico della principale arteria della peni¬ sola indocinese. L'importanza delle scoperte ha suscitato il tempestivo intervento dell'Unesco (sotto la cui egida la missione italiana ora opera) che ha messo sotto tutela un territorio di ben 400 kmq. E, nella prospettiva dell'ingresso del sito nella World Heritage List, gli esperti della Fondazione hanno da poco terminato di redigere il Master Pian di un grande parco archeologico, comprendente tutta l'area già sotto tutela. «Vogliamo che diventi un parco vivo - conclude Zolese -. Non solo per proteggere un'area così unica, ma anche per aiutare lo sviluppo economico delle comunità locali, che da una pianificazione corretta dell'agricoltura come del turismo potranno trarre grandi benefici». Cinzia Dal Maso Finora il santuario era stato individuato alle pendici del monte, dove si trova il complesso di Wat Phu Al dio della fertilità ogni anno si sacrificava una vittima e poi ci si abbandonava alla festa I Sopra e a sinistra due immagini del complesso monumentale di Wat Phu: prima della scoperta archeologica italiana si riteneva ospitasse il tempio di Shiva

Persone citate: Henry Parmentier, Ling, List, Patrizia Zolese, Shiva

Luoghi citati: Laos, Malesia, Roma