Romolo e Remo alla gogna sotto gli occhi del duce

Romolo e Remo alla gogna sotto gli occhi del duce LA MEMORIA. Così in pieno Ventennio una rivista uscì con un'invettiva contro la romanità Romolo e Remo alla gogna sotto gli occhi del duce w t|NA invettiva contro la romanità stenterebbe a passare anche oggi, sulla I maggior parte dei giornaV Ili italiani. Nel 1927, fascismo imperante, in piena sagra di Campidoglio e sacro alloro, non poteva sicuramente apparire. Eppure, per quanto a noi possa sembrare incredibile, venne pubblicata. Fu uno scandalo clamoroso, sanguinoso; ne rise - o ne pianse - tutta Roma. La storia, rimasta nascosta per 70 anni, è stata riscoperta da Carlo Federico Russo, che la presenta sul prossimo numero di Belfagor: ed è una delle beffe più sinistre giocate al regime. L'autore del colpo è Gino Doria, scrittore napoletano vissuto a lungo in Sud America, storico, letterato, curioso di tutte le curiosità; legato al mondo di Benedetto Croce ma soprattutto a quella «repubblica vomerese» che a Napoli riuniva gli spiriti liberi del tempo, da Luigi Russo a Flora, da Omodeo a De Ruggiero. Nel 1927 Doria aveva 39 anni, aveva alle spalle pochi saggi che lo rendevano noto a una élite di colti, sconosciuto ai gerarchi. E mandò alla giovane Fiera letteraria di Umberto Fracchia un testo intitolato «Romolo, Remo e C.» che fin dall'esordio suonava come una provocazione: «Ho un segreto terribile che mi pesa sulla coscienza; il quale, come tutti i segreti terribili, vuol essere divulgato. Io - ma non facciamoci troppo sentire -, io non amo i Romani. Li detesto, non li ho in nessunissima stima, li tengo oggetto della mia più fiera antipatia e avversione». Fracchia era un onestuomo; come ex interventista in politica e antidannunziano in letteratura poteva giocare su due tavoli; e andava cercando comprensibilmente un po' di rumore intorno al suo foglio. Prese il pezzo di Doria e lo passò come articolo di fondo, nel numero del 20 feb braio. Forse nell'ingenuo tenta tivo di coprirsi le spalle, gli piazzò sotto un intervento di Giuseppe Bottai su «I compiti dell'Accademia d'Italia». Precauzione inutile. L'articolo di Doria conteneva dinamite, era un attacco frontale a tutta la politica culturale del regime. Perché fosse ben chiaro, subito, qual era il suo obiettivo, lo scrittore napoletano precisava di non avere nulla contro gli abitanti moderni di Roma e provincia, «potenti divoratori di abbacchio, insigni bevitori di Marino. Questi sono fratelli miei, sangue mio, civiltà mia, non meno degli odierni galli cisalpini che passeggiano sotto i portici di via Po». No, i suoi nemici erano i romani antichi, «quelli che succhiarono il latte della lupa», e imposero ai popoli italici la pax Romana e la clementia Romana: «Il mostruoso equivoco di supporre una nazionalità là dove una minoranza feroce raccoglieva sotto la sferza della sua pax e della sua clementia un'accolta di popoli diversi, tutti della penisola, tutti prostrati». Questo equivoco poteva ancora giustificarsi nel secolo di Au¬ gusto, «quando il gallo cisalpino Livio manipolava la storia secondo le velleità patriottiche e imperialistiche dei padroni che lo pagavano». Ma lo scrittore non sopportava la falsa retorica sulla romanità, che stava esplodendo ai suoi giorni; «Quando io vedo la incredibile folla di Livietti, che ci riempie le orecchie e le tasche della "unità" romana, e la addita augurabile modello della nostra, e in far questo falsifica la storia con la più impudente sfrontatezza, sento un curioso bisogno di menar le mani». Lui, Doria, romano non voleva proprio essere chiamato. «Ma che romano! Io sono osco, oscissimo. Potrò avere anche, se mai, qualche stilla di sangue greco e certo mi sento assai più portato a venerare Posidone, nel bel tempio di Pesto, che a deificare qualche spelato imperatore romano». Perché l'allusione non sfuggisse a nessuno, citava più avanti «Cesare, il detestabile». Quando il giornale arrivò sul tavolo di Mussolini, lettore attento della Fiera, scoppiò la tempesta. Come si erano permessi in quella redazione, nell'anno quinto dell'Era Fascista, di avallare una simile mascalzonata. Passi per i Livietti, passi per le bestemmie contro la pax romana. Ma «Cesare il detestabile» era un colpo basso direttamente a lui. E la deificazione dello «spelato imperatore», pensando al crapone del romagnolo dominante su tutti i muri, un colpo più basso ancora. Il Duce, furibondo, prese tre provvedimenti. Ordinò a Maurizio Maraviglia, uno fra i corsivisti più brillanti del regime, di scrivere un articolo per La Tribuna, dove il povero Doria veniva liquidato con gli epiteti, ritenuti ingiuriosi, di «osco» e di «wilsoniano». Chiamò a rapporto lo smarrito Fracchia e gli impose di pubblicare lo stesso pezzo di Maraviglia nello stesso spazio dove era uscito quello contro Romolo e Remo. Fece radiare Doria dall'albo dei giornalisti. Come immediato contraccolpo, la Fiera divenne il giornale più cercato d'Italia; il numero con l'articolo incriminato fu presto introvabile, ne circolarono perfino copie manoscritte. Doria si dedicò ai libri e fondò tre anni dopo, con Lauro De Bosis e Umberto Zanotti Bianco, un gruppo antifascista, che battezzò (c'è infine un po' di giustizia, nella storia) Alleanza Nazionale. Nel 1944, dopo la liberazione di Napoli, lo scrittore raccolse i cocci di quell'episodio, rievocando con humour gli attacchi ricevuti; e facendo una palinodia in difesa di Roma: la Roma italiana, la Roma universale, «perfino la Roma papale». Bastian contrario recidivo, adesso che nessuno imponeva più il sacro alloro, poteva manifestare il suo affetto, lui super-osco, anche per la Roma antico-romana. Giorgio Calcagno Pesanti ironie contro il «gallo cisalpino Livio» e i suoi emuli: «Quando si falsifica la storia così sfrontatamente, sento il bisogno di menar le mani» Sul nuovo numero di «Belfagor» riscoperta una clamorosa beffa ordita dallo scrittore napoletano Gino Doria Nell'articolo, un attacco frontale alla politica culturale del regime Mussolini lo lesse e scoppiò la tempesta ! Così in pieno Ventennio una rivista uscì con un'invettiva coSul nuovo numero Belfagor» riscoperta na clamorosa beffa rdita dallo scrittore oletano Gino Doria articolo, un attacco ontale alla politica ulturale del regime Mussolini lo lesse scoppiò la tempesta ! La lupa capitolina con Romolo e Remo. A destra, Giulio Cesare e Benito Mussolini.

Luoghi citati: Italia, Napoli, Roma, Sud America